È da diverso tempo che in relazione a come alcuni amici si comportino finisco a pensare a quanto siamo tutti diversi. Non nel senso Disney, bensì nel senso di quanti diversi bisogni abbiamo, punti deboli, ferite da curare.
Mai come in questi giorni penso a quanto è strano che quello che per alcuni è scontato, per altri non solo non lo è affatto, ma è pure difficile. Vista in quest'ottica, l'idea di "costruirci" giorno per giorno mi sembra ogni momento più complessa.
E come spesso succede quando hai queste riflessioni un po' vaghe, ad un certo punto cogli che non si trattava solo di una "riflessione vaga", ma di un qualcosa di preciso, un cerchio che ad un certo punto... zak, si è chiuso.
Ho capito all'improvviso un'impostazione mentale che ho sempre avuto. Ho sempre pensato - sempre - che gli altri sapessero qualcosa più di me. E non mi riferisco alle cose importanti, ma più alle cose stupide. Cose come un modo più veloce per rifare il letto, come fare pipì nel water senza fare rumore, come apparecchiare e sparecchiare più efficientemente, tagliarsi meglio e con più praticità le unghie della mano destra, e via dicendo.
Non so da dove possa essermi venuta fuori quest'idea. Ogni volta che penso alla mia famiglia e a come sono stato tirato su, credo che in mezzo a tantissime cose belle, fortunate e giuste ci sia stato anche qualcosa di "sbagliato" da qualche parte nella mia formazione umana, ma si tratta di un terreno un po' nebuloso, per ora.
Eppure quest'idea me la sono portata dentro per davvero tanto tempo.
Gli altri erano sempre un passo avanti a me, indipendentemente da chi fossero, che scuola facessero, quali cose preferissero fare nel finesettimana.
Ad un certo punto, è successo che nel mio percorso abbia voluto comunque cominciare a lavorare per migliorarmi. Eppure ero sempre, ancora, inevitabilmente dietro a tutti.
Credo che tutto questo abbia cominciato a finire ad Arbatax, nella mia prima stagione nell'animazione, estate 2010. In uno Staff di più di 50 persone, ero fermamente convinto che avrei dato il meglio di me, ma che sarei (ovviamente) stato una nullità in confronto agli altri, che erano sicuramente meglio disposti, più bravi, con più esperienza, e via dicendo.
Lì è cambiato tutto. Dopo una settimana, ricordo ancora la sensazione di: "Ehi... però non sto andando così male."
E al contrario tanti altri intorno a me non ce la facevano, si dovevano fermare, mollavano addirittura.
Non è un post su come è poi andata l'estate 2010, ma penso di poter dire che quella è stata probabilmente la parentesi in cui sono andato più forte, nella mia vita. Il motto del nostro capovillaggio era: "Siete tutti delle merde". E ci pigliava, io in effetti mi sentivo una merda ogni volta che dovessi rivolgere la parola a qualcuno.
Eravamo tutti delle merde, ma il risultato si doveva portare a casa, e dovevamo dare il meglio di noi. Ogni errore veniva cancellato di settimana in settimana, perché con gli ospiti nuovi nessuno sapeva quello che avevi sbagliato la volta prima. Valeva anche l'opposto: ogni settimana perdevi le tue certezze, misurarti costantemente col nuovo e venirne sempre a capo. Ed era davvero un continuo migliorarsi.
Vedere che, in fondo, non me la cavavo così male, è stato semplicemente fondamentale.
E sto capendo in questi giorni - in effetti, l'ho capito ora, con questa "chiusura del cerchio" - che abbiamo diverse necessità che neppure comprendiamo davvero. E queste necessità ci portano a fare cose anche piuttosto strane.
Ho capito quest'imposizione mentale, ma non credo proprio di averla completamente superata.
Non so da dove mi sia venuta, ma io ho vissuto con una paura che potenzialmente mi bloccava in ogni azione. A oggi, se provo a ripensarci, ho ancora tantissimi strascichi di questa cosa.
Ho paura di parlare al telefono, per esempio.
Sono assolutamente incapace di chiedere aiuto, anche quando c'è bisogno.
Più che "imparare a cavarsela da soli", la vita è capire la guerra che hai dentro.
Quelle fuori, sono solo piccole battaglie che ti aiuteranno a vincerla.
venerdì 2 novembre 2012
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