... In fondo, non saprei farveli in modo migliore, che con la musica, i miei migliori auguri!
Sempre più convinto di quello che ho scritto un anno fa, a Natale scorso.
Anzi, forse quest'anno è tutto ancora più valido e forte, perché le situazioni sono tutte un po' peggiorate...
Bisogna un po' trovare il Natale in ogni giorno, credo.
Come bisogna un po' tirarlo fuori da noi stessi.
Una sorta di 50 e 50.
E c'è un'altra cosa che ho scoperto piacermi, del Natale.
In pratica, siamo a una settimana da Capodanno, il periodo in cui si tirano le somme per eccellenza. Ecco, mi piace che ci sia una festa così, subito prima. È un po' come celebrare degnamente l'anno che se ne va, senza pensarci, per l'ultima volta, e senza avere i propositi per l'anno nuovo che bussano alla porta. I giorni saranno gli stessi, certo, ma è inutile negare che comprare calendario nuovo ti faccia lo stesso pensare a quello che hai fatto negli ultimi dodici mesi.
Perciò... ecco. Manca ancora ben una settimana. Abbiamo da preparare regali e cenoni, tombole e pictionary... il tempo per tirare le somme verrà. Oggi, staremo bene, insieme.
(Tra parentesi, quest'anno mi sono divertito proprio tanto a fare i regali, e da non so quanto tempo sono rimasto diversi minuti al giorno al buio a guardare le lucine dell'albero di Natale!!!)
... Sì, è un modo vagamente storto che ho, forse, per cominciare a tirare fuori qualche altro discorso. In questi ultimi mesi è successo tanto, sto cambiando tanto, e non vedo l'ora di fare due conti, o di tirare le somme.
Ieri sera sono stato a vedere Midnight in Paris, l'ultimo film di Woody Allen, e l'ho trovato - in una sola parola - delizioso.
Non sono uno di quei fan sfegatati di Allen, nel senso che ho visto qualche suo vecchio film, ma non l'ho mai seguito in maniera particolare.
Prima di proseguire: non credo di scrivere nessuno spoiler particolare, quindi potete tranquillamente andare avanti a leggere, se non l'avete visto e volete vederlo. Qualora mi accorgessi di stare scrivendo qualche cosa di rilevante ai fini della trama, ve lo segnalerò opportunamente... :-)
C'è questo Gil, scrittore di sceneggiature americane di successo, che si trova a passare del tempo a Parigi con la sua fidanzata Inez. Gil, innamorato di Parigi, sta provando a cimentarsi nella stesura di un romanzo, in cui il protagonista, da quello che ne sappiamo, è proprietario di un negozio-nostalgia, in cui vende oggetti vecchi di epoche addietro.
Una sera, la fidanzata se ne va a ballare con alcuni amici, e lui fa per tornarsene all'albergo, a piedi, vagamente alticcio.
Si perde per le strade di Parigi, e allo scoccare della mezzanotte viene passato a prendere da una macchina d'epoca. I suoi proprietari lo portano ad una festa dove conosce "Scott. Scott Fitzgerald."
Poco a poco, passa a conoscere anche Hemingway, Gertrude Stein, Picasso, Bunuel, Dalì, Degas, Gauguin, Eliot... si trova in qualche modo trasferito indietro nel tempo, proprio nella Parigi degli anni '20 da lui, americano del 2010, considerata "l'epoca d'oro".
E se nel "presente" non aveva fatto leggere a nessuno il suo romanzo, per l'incapacità di gestire le critiche, di fronte ad artisti di questo calibro si lascia andare. Fa leggere il libro alla Stein che gli consiglia di far volare un po' di più la fantasia: i mezzi li ha, ma l'artista non deve essere quello che si lascia andare alla paura della morte: è quello che trova la soluzione, si costruisce le ali per volare, trova il modo di tappare questo drammatico buco che ci si apre, dentro.
E Gil continua a girare Parigi, incontra quei grandi che oggi ammiriamo, si siede semplicemente al bar e parla con loro, delle sue turbe, dei suoi pensieri, delle sue emozioni, senza limiti o freni.
Il bello è che quelli, proprio perché artisti di livello, lo stanno ad ascoltare attenti. Sanno che è in quei momenti che nasce la creatività ed è di quei momento che, per primi, hanno massimo rispetto. A prescindere da chi abbiano davanti, se una persona che a malapena conoscono o uno scrittore che nulla ha a che vedere con le loro arti.
Ecco, uscito dalla sala mi sono chiesto che cosa mi fosse davvero piaciuto del film. E credo che mi abbia fatto impazzire questo ambiente, questa dimensione culturale in cui si conosce il valore di un'emozione pura, e la si rispetta al massimo, sia essa andata a realizzarsi in due parole scritte come in uno scarabocchio su una tela, in cui le stranezze passano in secondo piano, perché l'emozione vera è di gran lunga più interessante.
Ma c'è di più.
Credo ci sia in mezzo tutto il mio rapporto con l'Arte, la letteratura, la musica, la pittura, queste figure che ti ispirano e sono lì a portata di mano come persone qualunque.
E ancora la voglia di viaggiare, di andare lontano, nello spazio come nel tempo, perdendosi tra i ricordi di età che non si sono mai vissute.
E poi la storia d'amore...
Forse devo rivederlo.
Mugugni di piacere in particolare per tanti bei dialoghi.
Mi piacerebbe riportarne un paio, ma di andare a memoria, ovviamente, non se ne parla...
Gli altri li aggiungerò qua e là. Magari ci faccio proprio altri post. Devo decidere.
Gil: "Vedete, io in realtà... vengo dal futuro. Appartengo ad un'altra epoca. Eppure, contemporaneamente, mi trovo qui." Bunuel: "E allora? Vivi in un mondo nella tua testa, e in un mondo che invece è il tuo presente. Non ci vedo niente di strano." Gil: "Sì, ma questo perché tu sei un surrealista! Io sono una persona normale!"
Insomma, sapete che film vi consiglio di andare a vedere!
PS.
E mi ha fatto venire voglia di ballare un lento.
"A volte le cose, gli avvenimenti, sembrano accadere per caso, ma il caso non è mai casuale, è li che ti aspetta a modo suo. Vuol dire che alle volte il caso aspetta proprio te e non per caso, ma per destino appare come caso. Cogli il positivo che il caso per destino ti offre."
Sono parole che mi hai scritto un po' di tempo fa. Parole che mi avevi scritto su Skype, che ti erano capitate sotto gli occhi e che ti avevano fatto pensare "a me e alla cavalletta".
(Alla cavalletta-drago, aggiungerei io, ma tralasciamo!)
Lì per lì, non credo di aver veramente capito quello che intendessi. Non fino in fondo, almeno.
Questa musica mi fa ripensare a te: a quello che è stato affacciarsi alla finestra di quello che chiamare "un mondo magnifico e colorato" non sarebbe mai sufficiente.
Devo per forza aggiungere: "un mondo che non sarebbe mai potuto essere il mio".
Ma non prendete questa frase per ciò che non è: nessun tono lamentoso, niente lagne, solo una constatazione dopo una decina di mesi.
Ho riletto questa frase che mi avevi scritto, lo ammetto, per caso.
(Me l'ero naturalmente salvata.)
Oggi, mi ha aiutato a dare più un senso a quello che è stato.
Se mi guardo indietro, sento di poter dire con serenità che è stato bellissimo, forse i giorni più belli di questo 2011 che sta per finire... ma effettivamente il tuo mondo era (ed è) troppo diverso dal mio. In tutti i sensi.
Ne ero rimasto sconvolto e affascinato come non mi era mai capitato prima, e forse è anche per questo che il nostro stare insieme mi sia rimasto così dentro. Forse, il capire che le diversità sono torri elevate, ma le basi di mattoni sono uguali per tutti. Forse, il capire che qualcuno ti vede sempre, mentre sei invisibile.
Uno è così tanto preso dal mondo che gira intorno a lui, che si dimentica di guardarsi dentro.
Quando lo fai, rimani a bocca aperta nello scoprire a poco a poco che già solo il tuo mondo interiore è enormemente più grande di quanto potessi minimamente sospettare, e che quelli che credevi solo angolini bui e polverosi (francamente trascurabili), in realtà nascondono intere dimensioni.
Beh, allora cominci l'esplorazione di questo tuo mondo interiore.
... Per questo, la sorpresa è ancora più grande quando riesci a cogliere un piccolo baluginare di un altro mondo interiore, quello di un'altra persona.
Che poi oh, dai, cioè, quanto diverso potrà mai essere dal nostro?
In fondo siamo tutti e due esseri umani, tutti e due di Roma, tutti e due con una bella e fondamentale esperienza come lo scoutismo alle spalle...
Ecco. Era totalmente diverso.
Come un intero nuovo paradigma per affrontare le cose e vedere il mondo come una nuova realtà, ogni cosa come una diversa entità.
E poi, in particolare per noi, c'erano tante altre cose in più. I silenzi, il mettere da parte aspetti di noi, il ritrovarsi.
Ma più di tutto, secondo me, il buttarsi.
Abbiamo deciso di buttarci.
Per cui, come niente il destino di cui sopra non è quello che davvero immaginiamo comunemente.
Forse a volte il "destino" si smuove anche solo per piccole cose, piccoli gioielli d'ambra su un tronchetto infelice un po' adombrato dalla grandezza della quercia.
Mi sono sempre immaginato "il caso" come l'Occasione da prendere al volo e rendere magnifica: l'irripetibile che ti passa davanti e da non lasciarsi sfuggire. E tenerselo stretto per sempre.
Oggi credo che, semplicemente, può anche non essere così.
Ci siamo incontrati.
Ci siamo buttati.
E ci siamo persi.
Il tutto in quanto tempo?
Un niente... eppure, quello che oggi conta e che ancora ricordiamo, è che ci siamo buttati.
Abbiamo fatto qualcosa di assurdo... due mondi lontani, due modi di vivere diversi... e, cavolo, a dirla tutta, anche 2.000 chilometri in mezzo, che non è che siano proprio roba da poco!
Però l'abbiamo fatto, davvero.
E allora forse eccolo, il vero messaggio: eccola, la vera occasione.
Eccolo, il senso dell'umorismo del tuo "destino".
Ci siamo incontrati per vivere quelle emozioni intensissime solo per avere il tempo di capire alla fine delle righe che... dobbiamo buttarci!
Non siamo stati insieme per molto altro, a dire il vero.
Trovo davvero ironico che quella parentesi di emozioni fortissime non sia stato altro che il tramite per capire questo messaggio: guarda quanto ti stai perdendo.
E quella sera, su quella panchina, con forza, stridendo contro i nostri modi d'essere e contro le nostre logiche, ci siamo voluti andare a prendere tutto questo.
E io ascolto ancora questa canzone - ricordo ancora benissimo quando me l'hai raccontata - e ripenso al mio mondo che scopriva il tuo, al mio paradigma che scopriva il tuo, al carbonio a cui vengono a dire che adesso non è più unico come credeva, e che la vita può crearsi anche in altri modi.
Ricordo l'odore nella tua macchina.
Ricordo il tuo profumo ("ti piace?? ... Beh, è da uomo!").
Ricordo i tuoi capelli (più aggrovigliati delle liane nella giungla).
E, beh, sinceramente ricordo tante altre cose tenere che forse in un post del genere è meglio non precisare oltre che non "il portone sotto casa tua"... :-)
Ripenso a quello stomaco chiuso che non voleva saperne di far entrare niente, anche se brontolava di brutto.
Ripenso a quel sonno devastante che avevo addosso, eppure la sensazione di non essere mai stato più sveglio.
Ripenso a quando veniva il momento di dormire, che non se ne parlava... l'unico modo era smettere di combattere quell'istinto che ti voleva fuori dalla mia testa: convincermi che non avevo bisogno di farti uscire dai pensieri per dormire... per farmi dormire!
E oggi ripenso anche a quella prima volta che sono tornato a casa dopo averti accompagnato... dai, oggi voglio condividere quel momento solo mio con tutti i lettori appassionati di questo seguitissimo blog: quando ho suonato il volante come un tamburo lanciando strani versi deliziati...
Non ho la presunzione di poter capire appieno quello che è stato, né tantomeno (magari l'hai pensato?) ti giudico per le tue scelte... come mi piace dire, i giudizi lasciamoli ai giudici. Io, mi limito a prendere posizione.
Siamo stati solo un piccolo gradinonella grande scala della vita dell'altro. Spero, e credo, un gran bel gradino. Ma le nostre scale erano un po' troppo diverse, e soprattutto non vanno per niente dalla stessa parte. Ma lo sapevamo già allora! Perciò è giusto che sia stato ciò che è stato, e oggi, dopo tanti mesi, posso dire con sicurezza di non avere più rimorsi.
Per l'ultima volta da amante (perché ti ho amata davvero): grazie. Per la prima volta da amico sincero: qua la zampa,sorè!
Non so se tu sei arrivata alle mie stesse conclusioni, né so se riusciremo mai a ribeccarci.
A me sarebbe piaciuto dirti queste cose (e darti la zampa!) di persona, ma credo di aver riscontrato qualche difficoltà di troppo, in questo senso, da parte tua. Pazienza. Non è davvero importante, se l'hai superata, in un modo o in un altro.
Una volta passavi da queste parti, magari - chissà quando - ti capiterà ancora, e leggerai queste righe!
Tu continua per la tua strada, che è quella che hai preso e quella giusta per te: ecco, a questo punto magari tu c'eri già arrivata da un sacco, io invece, da bravo maschietto, ci ho messo un po' di tempo in più.
PS. Ganesha è ancora qui, in camera mia, proprio sopra il tuo fazzolettone. Certe cose non sono affatto "ferite" e non credo di doverle mettere via. ;-)
Solo un veloce saluto qui per scrivere due paroline...
Ho appena finito di lavorare sul regalo che farò domani alla mia sorellina (auguri, Ghinghe!), una full immersion durata sulla carta quasi dodici ore, in quanto ho cominciato poco prima di mezzogiorno e finito poco prima di mezzanotte.
Che non vi stiate a preoccupare, non sono comunque diventato all'improvviso un workaholic, in mezzo ci stanno sempre tutte le pause del caso, leggi pranzo, cena, dessert, merenda, seconda merenda...
Sì, ho passato praticamente tutta la giornata a sistemare questa cosa. Una piccola scemata... scegli le immagini da internet, ridimensionale, stampale, poi prepara quel cartellone, taglia qui, accorcia là, fai i bordi di 3 centimetri per lato, occhio che la riga si è spostata, e poi dov'è la spillatrice? Eccola: prendi lo scotch che ovviamente cade quelle quattro-cinque volte, e ogni volta devi ritrovare l'estremità.
Alla fine, insomma, ho speso tanto tempo per un effetto sorpresa che durerà pochi secondi.
Ma sapete una cosa?
Sono proprio contento di averlo fatto.
Mi sento proprio bello stanco, e ho le ginocchia che mi fanno male, dopo aver passato la giornata per terra a tracciare linee a matita sui cartelloni.
È molto più soddisfacente di quanto ricordassi, il lavorare per qualcuno. Il fare qualcosa partendo da zero, il crearlo dando forma a quello che la tua capoccia suggerisce.
Dal nulla, con un po' di tempo e fatica, ti compare questo qualcosa davanti agli occhi, e lo hai fatto per una persona a cui vuoi bene...
Cosa significano allora tempo e fatica, quando è tutto volto e dedicato a una persona che ami?
Acquista tutto un altro senso. Quel tempo, quella fatica, le hai spese per lei - no, di più: con lei.
Si tratta di mettere a disposizione di quella persona il meglio che puoi dare in quel momento - in quel momento, con colla stick e forbici, ti stai prendendo cura della persona a cui vuoi bene, e non di un semplice cartellone.
Chissà, forse il mio prossimo passo in quest'ottica sarà imparare a cucinare per davvero! :-)
Ne è valsa davvero la pena, anche se era un giorno di festa in cui potevo andarmene in giro a fare altro.
Scelta giusta. Bel lavoro.
Speriamo che almeno le piaccia!
AGGIORNAMENTO DEL 9 DICEMBRE!!!
Beh, sembra che la cosa, caccia al tesoro compresa, ti sia piaciuta, Livietta!
Come sono stato contento... anche più di quanto potessi sperare!
Qualche documentazione fotografica, perché possiate capire che cavolo mi sono messo a fare!
La scacchiera di memes (ribattezzata "Trollscacchiera") in tutto il suo magnifico splendore...
Carrellata sui Neri: il re è ovviamente "AAAWWWWWYYYYYEA" (mentre per i Bianchi è "Trollface")
Notare che nessuno ha voluto in squadra con sé il povero "Forever Alone"...
... e notare anche il pedone d'avanguardia, quello che, almeno quando gioco io, è quasi sempre il primo che viene mangiato... "Ah, sono io? POKER FACE..."
Il secondo "ricordo" di cui sento fortissimo bisogno di scrivere è strettamente legato a questa canzone dei Toto.
Si tratta di quella che definisco l'esperienza più importante, forte, vera e formativa che abbia mai fatto da tanti anni, e, forse - forse esagero, ma se il dubbio viene, già è significativo - in assoluto.
Lo direste anche voi, se solo all'ascoltare questa canzone vi venissero in mente il blu, l'odore di eucalipto, lo stremo, fisico e mentale, il sudore, i vestiti appiccicati addosso, le divise, le mani arrossate, promiscuità di ogni genere, mangiare di corsa, l'acqua dolce, l'acqua salata, il cielo azzurro al mattino, il cielo viola al tramonto, dormire poco, persone, tante persone, spunti, spunti ovunque, e chissà cos'altro mi verrà in mente, che sicuramente aggiungerò. Estate 2010. Arbatax Park Resort.
A oggi, ancora non posso dire di aver compresototalmente quell'esperienza, e cosa me l'abbia resa così speciale. Forse, semplicemente, il fatto che c'è stato tutto.
Una full immersion di tre mesi e mezzo in un ambiente prosciuga-forze, in mezzo a così tante persone diverse... sia ospiti, alcuni dei quali davvero speciali, sia ragazzi dello staff - d'animazione e non, giardinieri, cuochi, eccetera. Gli spettacoli serali,
Il punto è, credo, che in un ambiente del genere si tratta di sopravvivere o spezzarsi. Ed è in situazioni del genere che viene fuori il tuo vero "io": non puoi fingere di essere chi non sei quando sei in giro venti ore su ventiquattro, e continuamente a contatto con qualcuno che vuole sempre qualcosa da te.
Io, in questo posto, mi sono sentito a mio agio.
Mi sono sentito me stesso, non ho dovuto fingere niente: e alla sensazione, meravigliosa, di capire sulla propria pelle che ogni giorno ne uscivo più forte, irrobustito, si univa l'altrettanto splendida consapevolezza di quando capisci che stai vincendo una corsa.
Quella consapevolezza che puoi avere solo lì, in quel momento, quella pura, genuina, sincera sensazione di gioia mentre non solo ti rendi conto che stai andando bene, ma che stai staccando gli altri, e stai andando a vincere - no, vincerai, perché a quel punto ti è chiaro, sei il migliore, devi solo fare quello per cui sei nato, lo stai già facendo, devi solo portare a termine l'opera che già ti riesce.
Un'esperienza che, dal primo giorno, è stata una parabola ascendente. L'unica volta in tutta la mia vita in cui ho fatto qualcosa di importante, dall'inizio alla fine, senza pensare minimamente di mollare.
E la consapevolezza che non avrei davvero potuto viverla meglio.
Spesso ci sono rimpianti nel ricordare qualcosa, ma stavolta sono convinto di aver vissuto tutto il vivibile: se mi guardo alle spalle non cambierei assolutamente niente.
Con questo non intendo che ci siano stati solo momenti positivi: ma quando ci sono stati quelli negativi, abbiamo fatto le spalle larghe e li abbiamo sistemati.
Avrei voluto semplicemente che durasse di più. Tre mesi non sono sufficienti.
Chi fa quest'esperienza, come chi fa gli Erasmus, può capirmi.
Mi domando spesso da dove venga la fiducia in noi stessi. Ancora non credo di saperlo, ma so che lì, quell'estate, quella fiducia l'avevo, e non mi ha mai abbandonato: anche queste sono cose che ricordo con una forza devastante.
La certezza di fare bene. La sicurezza di saper fare bene, di saper fare la cosa giusta, e di saperla fare meglio, sempre meglio.
Quello che credo sia impressionante è soprattutto la forza, la densità dei ricordi che avverto, quando ripenso a quei mesi. Non è come quando dici "sembra ieri": è qualcosa di diverso. Mi verrebbe quasi da dire "sembra oggi, poco fa". Tutto si è piantato in me. Ancora oggi me ne salto fuori con ricordi nuovi di quella stagione, e ancora oggi non ricordo solo le parole, o i fatti: se respiro, riesco a sentirne anche gli odori. Riesco a sentire quell'aria sulla mia pelle, quella pressione nelle orecchie... come se fossi davvero ancora lì.
E ogni volta che ci ripenso, torno a emozionarmi ogni volta. E magari mi sembra davvero di essere di nuovo lì.
Insomma, non serve sottolineare ancora come questa esperienza mi abbia marchiato in maniera devastante. Doveva essere un'esperienza one shot: non sono riuscito a renderla tale. Tale è stato il segno che la mia prima stagione mi ha lasciato, che sono dovuto ripartire per una seconda stagione.
Non sono tornato ad Arbatax: questa è un'altra storia, che racconterò in un altro post, ma vi basti sapere che sono sempre rimasto in contatto con quel posto e chi invece ci era tornato. Mi sono sentito dire: "Le cose non sono come l'anno scorso, Fra. Più brutto, meno speciale... alla fine, tornando, mi sto solo sovrapponendo queste brutte sensazioni a quelle meravigliose che abbiamo provato insieme lo scorso anno."
Sarà. Io con tutto che a dirmi queste cose è stato un gigante dell'estate 2010, non ci credo. Non posso crederci. Non mi è possibile.
Ma, come dicevo, è una storia per un altro post.
Dopo un po' di temporeggiamento, decido di seguire il suggerimento dell'amica Beba e di provare a fare lo stage per entrare nell'agenzia di animazione Art Swiss Entertainment. Come al solito, mi sveglio all'ultimo, non c'è neanche il tempo di sostenere il colloquio orale con i responsabili dell'agenzia. Per mia fortuna, Beba lascia passare: "Ormai ti conosco, dai".
Lo stage, ad Aprile, è una boccata d'aria fresca.
Stare in mezzo alla gente a regalare emozioni: fare animazione è una di quelle cose che non si può mai davvero capire se non ci sei dentro. Un po' come tante altre esperienze. Soltanto che questa ne racchiude a sua volta talmente tante... relazione, spettacoli, cabaret, ballo, organizzazione, dietro le quinte, prove notturne, prove pomeridiane, e poi gli after, il trovarti a pensare nei vaghi momenti liberi a cose come "cosa mi spinge davvero ad andare avanti a farlo?" e il trovare la risposta solo quando riprendi a farlo...
Al termine della settimana a Djerba, in Tunisia, mi dicono di volermi proporre subito un contratto con destinazione. Non nascondo che sperassi di finire, in un modo o in un altro, al Cormoran, dove ho conosciuto Beba (e molti altri...) e dove ho lasciato un pezzettino di me...
La destinazione, invece, è tutto l'opposto: sarà Arbatax Park Resort.
In pratica, tutto l'opposto del Cormoran, che è piccolo, intimo, riservato... contro la gigantesca mole di Arbatax. Ettari su ettari di spazio. Un parco naturalistico con animali selvatici. In 55 nello staff d'animazione.
All'inizio, spaesamento.
Poi, la voglia pazzesca di mettersi alla prova.
Sapevo che sarebbe stata un'esperienza devastante, che avrebbe richiesto tutto quello che avevo, magari di più. E solo dopo capisco che era proprio quello di cui avevo bisogno.
La data è martedì 15 Giugno.
Trovo un volo diretto Fiumicino-Arbatax. L'aereo deve partire alle 8.30, alle 8 tutti e cinque i passeggeri sono su questa specie di alioscafo, e si parte lo stesso.
Ovviamente ricordo l'arrivo con la stessa intensità di quando l'ho vissuto lì.
Mi "riscaldo" col tassista facendomi fare uno sconto sulla tariffa, e arrivo a questi grandissimi cancelli.
Il tempo è nuvolosissimo. Non c'è uno spicchio di azzurro, in cielo.
Telefono a Marika, comunico l'arrivo, e mi dice di seguire i cartelli e raggiungerla in piscina centrale.
Ho due valigie. Passo in portineria e mi trovo all'entrata. Davanti, un lago con cigni. Alla mia sinistra e alla mia destra, due salite, con cui costruirò il solito rapporto di amore/odio.
Dove andare?
Cominciamo ad orientarci, cominciamo a sentire quei nomi che saranno CASA in tutti i sensi per molti mesi.
A sinistra, BorgoCalamoresca.
A destra, Telis Village.
Imbocco la via a destra.
Sapevo che il posto fosse grande e comincio a scoprirlo di persona. Mentre seguo disperatamente i cartelli con le due pesanti valigie al seguito, mi chiedo quanto ci metterò a imparare tutte quelle strade. Pochissimo, per la verità.
Sì, parliamo di strade: sembra davvero di essere in un villaggio di quelli veri, in un paese, ed ecco che ho il primo impatto con gli eucalipti del posto, che ormai sono presenti in qualunque ricordo.
La prima persona che incontro è Lara. Le chiedo qualche dritta su come arrivare in piscina centrale. Mi accompagna. Per strada incrocio Paolo. Lui fa Young Club. Io sono venuto per fare Young Club. Un tipo simpatico, sembra. Mi si accende subito un piccolo bagliore di competizione dentro, celato da sorriso e stretta di mano. Proseguo verso la piscina.
La piscina centrale è un posto speciale. Perché, lo impari vivendoci, è un po' il fulcro della vita quotidiana, laggiù. Un po' come le classiche piazze di paese, è dove tutti si incontrano, dove tutti si fermano... un crocevia con una grande piscina, un grande albero al centro e tanti fiori.
E, insomma, è andata. Subito, appena mollate le valigie dietro al Bar Centrale, la prima sigla, completamente improvvisata. Poi l'approdo con Marika al Bronx.
Sarebbe il dormitorio dello staff.
Bronx.
Fatevi due conti.
Sono artefice del mio destino: scelgo la camera 909, che è proprio di fronte ad un'altra camera vuota, ribattezzata "Sesso Point".
La camera comprende due letti e un armadio: prendo il letto contro il muro ed è gioia nel vedere che il muro è ricoperto di muffa, che si staccano pezzi di vernice, che ogni tanto cade qualche goccia dal soffitto.
Prima di pranzo, pronti via, c'è da accompagnare un gruppo di ospiti (ragazzi, si chiamano OSPITI, non CLIENTI!) in giro per il Parco Naturale. CHE? Sì? Accompagnarli? Manco ci sono mai stato? Sì baby, l'improvvisazione dovrà diventare la tua arma migliore! Ma tranquillo, ci sono altri ragazzi con te...
Conosco Cristiano Pota, saliamo insieme e vedo la Betta e Giulia. Sono solo pochi dei 55, ma è così bello scoprire che sono tutti distinguibilissimi, tutti diversi, ognuno con una sua storia e un suo passato, nessuna possibilità di sbagliarsi...
E poi il pranzo, seduto accanto a quello che poi diventerà una delle tre ispirazioni maggiori, Alessandro.
Più tardi, quella giornata, ci sarà anche il primo acquazzone dell'estate. Inzaccherato dalla testa ai piedi mentre corro assieme a Paolo da una parte all'altra del villaggio, per prendere stavoltanonmiricordocosa.
Quel giorno arriverà anche Roberto, canoista. Lo conoscevo dallo stage e sono felice di scoprire che si piazza in stanza con me: le nostre storie saranno molto diverse. Se io ho una parabola ascendente, lui forse non decollerà mai.
Difficile, in generale, dimenticare la prima riunione con Andrea Catavolo.
Ho detto di non voler fare nomi, ma qui è obbligatorio. Un po' perché, in fondo, appartiene al mondo dello spettacolo, e non credo di fargli danno, a parlarne, un po' perché se lo presentassi semplicemente come "Andrea" non renderebbe tutto il carisma e tutta la forza che invece il nome intero, compreso di cognome, trasuda.
Un cognome che apriva tutte le porte...
"Ciaaaaao, scusa se ti disturbo, mi serve questo..."
"Eeeeh vabbè ma non si può fare!"
*Sorrisetto* "Ma l'ha detto Catavolo..."
"Prego, fai pure!"
Parlerò ancora di lui. Per forza.
Riunione in anfiteatro Telis. Mi guardo intorno. Sto avendo un impatto devastante, tantissime facce nuove, e lui, al centro, in piedi, braccia incrociate, che ci scruta. Uno sguardo che potrebbe disossarci dalla testa ai piedi.
Mi da il suo benvenuto.
"Francesco, da oggi passi a Contatto."
Subito, secco, prima riunione, neanche ci passo per lo Young Club. Ma, oh, quanto mi emoziono a ripensarci! Questo cambio di settore, a esperienza neanche iniziata, sarà decisivo, fondamentale, sarà quello che mi cambierà tutta l'estate. Non in meglio. Di più.
Se dovevo cominciare la scalata, diciamo che mi era stata appena messa davanti la scala giusta.
Contatto vorrà dire tanto microfono, stare proprio in mezzo alla gente, non solo coi ragazzi... e tanto altro.
"Stasera faremo un cabaret. Chi vuole starci?" chiede.
Alzo la mano.
Ecco, credo che sia stato quello, il momento in cui ho veramente cominciato la scalata. Bello che sia stato proprio il primo giorno.
Mi guarda, occhiata veloce, e mi dice di mettermi da una parte, assieme ad altri che hanno alzato la mano.
Lo staff da 55 persone ha ovviamente dei Responsabili che sarebbero capivillaggio un po' in tutto il globo: e sono loro i protagonisti degli spettacoli dell'Arbatax Park. Andrea Catavolo, Pina, Fabio, Marika sono quelli che sono lì al momento. Mattia arriverà a breve. E ce ne saranno altri due, Marco e Svetlana, di importanti... che arriveranno ancora più in là.
Per cui, la mia storia nel cabaret comincia con uno sketch abbastanza scemo, ma piuttosto divertente.
Si chiama "If", ed è la storia di uno staff di animazione mancato. A turno, ognuno di noi esce sul palco e dice: "Se non avessi fatto l'animatore, avrei fatto qualcos'altro. Se non avessi fatto l'animatore, avrei fatto..." e qui partiva un mestiere random, tutto con una sua gestualità e una sua mimica.
Io sono stato ilciclista.
Lo sketch gioca molto sull'andare a tempo e sull'interazione dei diversi mestieri (per esempio, tra il fotografo e il maniaco...), e così dobbiamo provarlo due-tre volte, perché c'è chi non lo conosce.
Alla seconda volta, imbrocco "come fare il ciclista". :-)
Ridono tutti :-) mi ricordo le risate di Giulia, e soprattutto quella di Pina.
Andrea no. Andrea non ride. Andrea scruta. Andrea è il capo. Andrea guarda oltre. Guarda se funziona, non se fa ridere. C'è differenza.
Credo abbia funzionato, in quel momento.
Quella sera, il cabaret va benone. Faccio il mio compitino e ricevo i miei applausi. Solo un'impressione, o i miei si sentono un pochino di più di quelli di un paio di altri?
Dal cabaret successivo, da una sola parte scema, passerò a due parti sceme.
Dal cabaret dopo ancora, da due parti sceme, passerò a una parte da comparsa e una parte scema.
A fine stagione, sarò fianco a fianco con Andrea e Mattia nella commedia "Il Vizietto" a interpretare il ruolo di loro figlio, punterò la pistola contro Andrea ne "La Rapina" e condividerò il palco con lui nel ruolo di Mangiafuoco nel musical di Pinocchio.
Il gioco caffè, l'appuntamento di punta in piscina centrale, lo condurrò io.
Ah, e l'ultima volta che faremo "If" sarò il maniaco, il ruolo "finale" dello sketch.
A fine stagione, in una delle ultime riunioni pomeridiane, i primi complimenti di Andrea, e non me ne servono per la verità molti altri: "Francesco, ho visto pochissimi prima stagione come te. Sei migliorato tantissimo da Giugno. Al microfono sei migliorato tantissimo, forse te la giochi con Alessandro. Ciccio è da mo' che l'hai superato..."
Sono soddisfazioni. E sono cose che cerco di ricordare e a cui ripenso ogni volta che mi sento demotivato, o semplicemente un po' giù. :-)
E sono soddisfazioni se ripensi che eri davvero un prima stagione. Partivi da zero, e ti sei costruito così, in un colpo solo. Certo, sono anche consapevole del fatto che se ci fossero stati nello Staff altri personaggi con più esperienza, avrei senz'altro fatto più fatica a farmi notare. Ma anche la situazione più favorevole, nelle percentuali di riuscita, non sale oltre al 50%: il restante 50% dipende solo da te, e io credo proprio di avercelo messo. Forse è una regola generale: se parti sapendo di essere il migliore, allora il tuo 50% è già quasi in piedi.
Ma torniamo al nostro primo cabaret...
L'emozione è immensa.
Sono stanco morto, e non riesco a dormire.
Vorrei raccontare a qualcuno, ma nel Bronx, giù nel Bronx, il cellulare non prende.
Devo farmi una bella salita per arrivare dove prende.
Mando un paio di sms e torno indietro.
Passerò del tempo nel Bronx con Marzia, Roberto, Giulia e Paolo.
E poi a dormire.
La sveglia che terrò nel breve tempo in cui mi tratterrò al Bronx è "Autumn Leaves" di Bill Evans.
Ricordo anche come forse non c'è stata una singola volta in cui mi abbia effettivamente svegliato: ero sempre sveglio da prima, da molto prima a volte, e dovevo anche sbrigarmi a silenziarla, per non svegliare Roberto.
Sì, mi mettevo la sveglia una mezz'oretta prima del necessario, forse. Ma bisognava essere puntuali. Per non parlare del fatto che la colazione andava fatta con calma... tazza di latte al cioccolato a go-go!
Mi lavo e mi vesto, incrocio Paolo che si fa la barba, e via.
Riunione di mattina presto. Con tutto che sono io a dover tirare Roberto, sono subito stenti per lui, e arriva in ritardo.
Andrea mi assegna al mio "tutor", quello che sarà un altro importantissimo punto di riferimento per tutta l'esperienza: Kelly, dominicano puro, di quelli veri, che non c'è niente da fare, non puoi competere con la loro energia, stanno troppo avanti.
Con lui, starò nella Spiaggia Merengue, un altro polmone del Telis, assieme anche ad Alessandro e Mirko.
Ricordo bene l'impatto con il Merengue - si chiamava così la spiaggia, non mi riferisco al ballo... - ma curiosamente non ricordo affatto l'impatto con le prime persone che lì ho incontrato.
Kelly mi insegnerà cosa vuol dire appartenere al settore Contatto: andare in giro, parlare, scherzare, ridere, tirare su di morale, ma anche captare gli umori, capire cosa si può fare per migliorare, quali sono le critiche e le idee degli ospiti... raccogliere e incassare. Essere un vero e proprio elastico: sia fisicamente, che mentalmente.
Giro appiccicato a lui.
Ricordo alla grande la TERZA persona da cui ci fermiamo.
Era nella caletta sotto la cabina regia...
Una vecchiettina all'apparenza simpatica, ma che...
"Buongiorno signora!"
"Andate via, vi trovo davvero fastidiosi, lasciatemi in pace!"
"O_O"
Immaginatevi un palloncino abbracciato da un cactus e avrete la mia situazione in quel momento.
Ma non serve lasciarsi andare, mi spiega un Kelly sorridente. C'è anche chi fa così. Basta crearsi uno scudo. Con l'esperienza, certe cose non passeranno più.
Aveva ragione.
Le prime giornate sono di una densità pazzesca.
Ricordo bene come la sensazione fosse quella di svegliarsi, giorno dopo giorno, potendo davvero AVVERTIRE quanto avessi imparato rispetto al giorno prima.
Ricordo bene anche la mia predisposizione alle mazzate: ero sicuro che in un posto così grande avrei trovato gente d'esperienza che, per forza di cose, mi sarebbe stata davanti. Ero anche sicuro che avrei faticato a stare dietro ai ritmi del posto.
Mi sorprendo nel notare che, invece, riesco a stare bene in carreggiata. Reggo bene i colpi.
Faccio di tutto, tranne Young Club, quello per cui ero partito: mi si affida un torneo di Beach Volley e uno di Saltinmente. Il primo va alla grande e mi scopro a commentare il match in maniera divertente. Il secondo lo faccio assieme a Marika e a Ludovica, una gran gnoccona, ma che subisce troppo la pressione. Mi mette in difficoltà, criticando i miei criteri di arbitraggio davanti ai partecipanti del torneo. Prima difficoltà però superata senza troppi problemi: gli insegnamenti di Kelly e il supporto di Marika tornano davvero utili.
Marika è stata una delle figure chiave per il mio buon inizio.
La conoscevo dallo stage, era una delle responsabili a Djerba, ed è una persona che di suo non incute timore: la combinazione di questi particolari la rendevano la mia figura di riferimento, una coniugazione di aspetti come la fermezza nel comandare, prendere decisioni e l'essere semplicemente una persona amichevole.
Agli inizi è stata senza dubbio quella con cui mi sentivo più a mio agio nel parlare di problemi del posto, quella con cui fossi più in confidenza.
Era a capo di un settore, quello delle hostess, che in un posto come l'Arbatax Park è destinato a prendersi tanta, ma tanta merda, e pochissime soddisfazioni. Le hostess sono quelle che stanno all'Info Point (diventato poi "Ninfo Point"!) e danno informazioni agli ospiti: di fatto sono anche quelle che si beccano un sacco di lamentele, e se bene o male le lamentele ce le prendiamo anche noi di Contatto, almeno noi abbiamo le nostre soddisfazioni nell'essere punti di riferimento, nel preparare giochi, attività e spettacoli. Loro, semplicemente, non avevano quest'aspetto...
(Provate vagamente a pensarci... siete incazzati neri perché qualcosa, nella vostra vacanza che avete pagato, non funziona. Logica vorrebbe che andaste alla reception, non certo dall'animazione, che si occupa solamente di... animare, appunto, e non della logistica. Ma essendo noi quelli in giro, quelli vestiti diversi, quelli riconoscibili, beh, ecco che le lamentele arrivano a noi, in tutta la loro genuina incazzatura...)
Quando sono arrivato il 15 Giugno, in diversi erano già lì e già stavano provando il primo spettacolo "grande" che avremmo fatto, trattasi del sempreverde Grease, con le coreografie della mitica Pina.
La "prima" di Grease ha il compito di inaugurare il Teatro Bellavista, un gigantesco all'aperto (capienza di tipo 2500 persone) a metà strada tra Telis e Calamoresca. Io, che ero arrivato relativamente tardi per provare - e poi, diciamocelo, non è che sia comunque 'sta gran punta nel ballo... - faccio da maschera, aiuto la gente che arriva da Telis (in basso) e Calamoresca (subito sopra) a prendere posto in maniera ordinata e poi, dalla prima fila, mi godo lo spettacolo, curiosissimo perché non avevo mai assistito a uno spettacolo di quelle proporzioni, in villaggio.
Sono spazzato via.
Catavolo che fa Danny, Pina che fa Sandy, l'apice del "rimanere a bocca aperta" l'ho durante Greased Lightning, quando Andrea torna in scena cavalcando una vera macchinetta elettrica e poi salta sul tettuccio a continuare a ballare l'ultimo ritornello.
Finito lo spettacolo, vado dietro le quinte entusiasta a congratularmi con tutti, e appena metto piede dietro le quinte sento un'aria strana, pesante: c'è qualcosa che non va.
Musi lunghi a palla di cannone, chiedo: "Ma cos'è successo???"
Mi si risponde: "Eh, Andrea era incazzatissimo, dice che è venuto una merda..."
Si è trattato del mio primo impatto con la critica di Catavolo, ed è un qualcosa che mi ha profondamente segnato. In positivo.
Non era mai contento. Mai. E si accorgeva di tutto.
L'ho sentito incazzarsi con Terence per delle luci su un balletto di Pinocchio, quando in teoria lui era concentratissimo a ballare e recitare.
Nella mia ingenuità avevo sempre creduto che si dovesse essere o positivi o negativi, senza vie di mezzo. Lui mi ha insegnato che si può e si deve essere critici verso tutto, per puntare in alto e avere il meglio: poi, accontentarsi di quello che si ottiene può essere relativo. Ma anche di questo, penso che scriverò in altra sede.
Una prima lieve bottarella all'energia arriva alla prima domenica...
La mia esperienza di villaggio partiva e si fermava al Cormoran, dove la domenica è giorno di riposo.
Ecco, nessun giorno di riposo, all'Arbatax Park!
Animazione 7 giorni su 7!
E chi ha bisogno di fermarsi, tanto? ;-)
Le giornate con Kelly proseguono alla grande, mi muovo e mi destreggio tranquillamente anche senza essere al suo fianco e mi accorgo davvero di riuscire a tenere il passo con i ritmi del posto, dove altri invece cominciano ad accusare le prime difficoltà, per non dire ad arrancare. Non manca molto alle prime partenze: c'è chi, semplicemente, cederà e se ne andrà.
Paura? Macchè: solo altro motivo di orgoglio nel sapere di essere davvero nel posto più tosto, sfida più grande corrisponde a soddisfazione più grande.
Sono passati solo 10 giorni, e al varco mi aspetta qualcosa di decisamente inaspettato.
Prima di una riunione serale (c'erano tre riunioni dello Staff, al Telis: una alla mattina, prima alle 8.30 e poi spostata alle 9.15 con la stagione che entrava nel vivo, una al pomeriggio, alle 14, e una alla sera, alle 18) Andrea mi prende da una parte e mi fa una proposta che garantirei essere l'equivalente del termine "spiazzante".
Sono lì da solo dieci giorni. Ricordo molto bene le sue parole.
"Francesco, sto per dirti una cosa che potrebbe sembrarti eccessiva. Quello di cui voglio essere sicuro è che tu sappia che la mia opinione su di te non cambierà minimamente, anche qualora tu dovessi rifiutare. Sono stato chiaro?"
Lo era stato. Nella mia testa era altrettanto chiaro che, con premesse del genere, se perdi quel tipo di treni, forse non cambierà la sua opinione - difficile - ma sicuramente la prossima volta che ci sarà bisogno di un qualcosa di importante, non sarà da te che verrà...
Cosa mi ha proposto?
Dall'alto dei miei dieci giorni di esperienza come contattista al Telis Village, mi dice che vorrebbe provare a farmi ricoprire l'incarico di Responsabile Diurno nella zona Calamoresca - quando il Responsabile Diurno è quello che fa le veci del capovillaggio nel gestire e coordinare le attività diurne di un'area.
Io sono, effettivamente, spiazzato.
Dentro, non sono sicuro di essere sicuro di quello che sto per fare. Gli ho detto di sì.
Heh.
Per molto tempo, durante la stagione, ho pensato al perché di quella mossa, e se una qualunque altra persona l'avrebbe fatta comunque.
Ci penso ancora oggi.
Non saprei. Forse glielo chiederò, a questo punto credo di poterlo fare :-)
Sta di fatto che tra l'averla vissuta e l'aver parlato coi vari Kelly, Monica e Wendy, Pina e Marco C., ho capito che il villaggio di Andrea Catavolo è l'unico posto veramente meritocratico: se fai bene, lui ti premia. Se fai male, ti affossa. Come è giusto che sia ovunque. All'inizio ti studia, cerca di capirti, decide come "lavorarti", e poi senza preavviso ti mette sotto pressione, nel modo che ritiene più opportuno, decide lui come e quando. Se superi questo periodo, allora stai appostassimo.
E ricordo bene quanto sentissi la pressione che mi metteva addosso Andrea. Una sensazione che chiamare "opprimente" è dire poco.
Ma è proprio questo, il momento in cui devi tirare fuori le palle.
Al Calamoresca passerò quasi tutto il resto della stagione. Tornerò al Telis richiamato da Andrea solo a fine Agosto, quando ci sarà da coprire i buchi dei big del Contatto come Alessandro e Kelly, che ripartiranno per tornare a casa.
Al Calamoresca avrò il "mio" staff, farò le mie riunioni, condurrò le mie serate, farò i miei primi cabaret da protagonista.
Non posso però non pensare che se la mia esperienza al Calamoresca oggi la ricordi come estremamente positiva, tanto è dovuto anche ai ragazzi che erano con me. E sono quelli con cui sento di aver legato di più, con cui ho davvero condiviso stanchezza, sudore, preoccupazione, ansia, esaltazione, spaesamento... Fabio e Tania, due sportivi da far paura. Ragazzi con tanta esperienza che decidono senza fiatare di farsi coordinare da un pivellino come me. Claudio, canoista folle armato di un altoparlante di nome Wilson. Federica e Monica, del Miniclub.
Non voglio perdermi in chiacchiere, di loro ci sarà modo di parlare.
La sensazione è che fossimo davvero una squadra.
E i risultati, alla lunga, si sono visti.
Credo anche di sapere quando questa intesa sia cominciata.
Al Teatro Telis è di scena l'Andrea Catavolo Show, monologo di cabaret del nostro capovillaggio, chiara attrattiva centrale della serata. Noi, al Teatro Calamoresca, per proporre un'alternativa, andiamo con una serata Uomini contro Donne.
A condurla dovrebbero essere due contattisti rodati e d'esperienza come Alessandro e Ciccio.
I due salgono al Calamoresca, cenano con le ballerine invece che con gli ospiti, vedono che c'è poca gente in teatro, e cinque minuti prima del presunto inizio di serata, mi dicono: "Francè, c'è poca gente, di' a tutti di scendere al Teatro Telis a vedere il monologo. Ciao."
E se ne vanno, lasciandoci lì. Nella merda fino al collo, aggiungerei.
Sì, non c'è tanta gente, parliamo di cinquanta persone, bambini inclusi.
Ma vacci te, su un palco, davanti a gente comodamente seduta, a dire che devono prendere un pullman e andare dall'altra parte del villaggio, e che non si fa più nulla...
Rapido briefing coi miei. Siamo tutti prima stagione, tranne Fabio, che è alla seconda.
Mi ricordo di averlo guardato negli occhi. Lui mi dice: "Decidi tu. Noi siamo con te, quale che sia la tua scelta."
Io mando silenziosamente il mondo a fare in culo. Dovevo presentare una serata davanti a della gente. Senza la minima preparazione psicologica. Senza mai averlo fatto. Ah, e con un microfono in mano.
"Non me ne frega un cazzo.Facciamolo."
Silenziosi cenni col capo degli altri. Luca, il tecnico audio/suoni/luci, che sghignazza ironico mentre si avvia alla cabina regìa. "Daje, ragà!!!"
E l'abbiamo fatto!
Questo è il bello.
Sarà venuto una merda, saranno rimasti con noi solo quegli ospiti diventati nostri amici durante le attività diurne al Cala, ma ci siamo buttati. E abbiamo salvato la serata, ottenendo comunque un risultato, bello o brutto che fosse.
Potevamo rifiutarci. Potevamo scrollarci di dosso ogni responsabilità. Non sarebbe certamente stata colpa nostra.
Eppure abbiamo deciso di provarci lo stesso. E vi assicuro che lì non c'era più nessuna sensazione gradevole di mettersi alla prova, c'era solo l'acqua alla gola e tanta paura di fare una colossale figura di merda e/o bruciarsi definitivamente davanti ai nostri ospiti.
Forse in quel momento abbiamo capito di essere una squadra, che insieme potevamo davvero rappresentare qualcosa di valido e di significativo.
Che non è la forma, quanto la sostanza.
Ricordo come quella sera, in discoteca, dopo le prime serate, sia andato da Andrea. Incazzatissimo.
Sta parlando con un suo amico, non ricordo chi fosse.
Noto che mi guarda in modo diverso, mentre mi fermo davanti a lui e aspetto che finisca di parlare.
E non mi stupirebbe sapere che già solo guardandomi possa aver capito che dentro di me è scattata una molla.
"Lui mi piace. Mi piace molto." dice al suo amico. E lo molla senza problemi per venire da una parte a sentire cosa ho da dire. Mi sfogo. E lui mi parla.
... Mani nei capelli. Sono spazzato via da tutto quello che mi dice.
Ogni sua singola parola ha una potenza immane, mentre mi spiega cosa vuol dire davvero il ruolo che mi ha assegnato. Cosa si aspetta davvero da me. COME si aspetta che lo faccia. E mi da dritte, mi spiega trucchi, mi suggerisce chiavi di lettura per le persone.
Rimango inchiodato dove sono, ad ascoltarlo.
Quella sera, ho avuto la possibilità di affacciarmi e dare un'occhiata al mondo interiore di uno dei personaggi - scusate l'aggettivo esagerato - più geniali che io conosca.
Se ci ripenso, credo proprio di poter asserire con sicurezza che sia stato quello lì, il momento in cui sono diventato, irrimediabilmente, un catavolino.
;-)
Potrei andare avanti all'infinito a parlare di quest'esperienza.
Mi sono reso conto, però, che quell'estate ho avuto altre canzoni, riferite più nello specifico ad altri momenti, per cui per ora mi fermerò qui.
Non vi ho però detto perché proprio "Africa" dei Toto. Cos'ha di speciale.
Niente, era la seconda canzone di un cd di musica vagamente rilassante che mettevamo quasi sempre al Calamoresca dalle 16, alla ripresa pomeridiana delle attività.
Non so perché mi sia rimasta così incollata dentro, se era la seconda. La prima, per la cronaca, era "Walk on the Wild Side" di Lou Reed.
In realtà, a pensarci bene, quel momento racchiude molte sensazioni. Tante.
Racchiude la stanchezza del ripartire quando ti sei un pochettino fermato a riposare - e non ditemi che quando vi siete appena seduti/sdraiati dopo un'intera mattinata di movimento, non vi scocciate a rialzarvi...
Racchiude tutte le sensazioni post-riunione con Catavolo, siano esse sensazioni belle derivanti da una forte motivazione, siano sensazioni brutte dovute a un cazziatone o ad una situazione interna difficile.
Racchiude il caldo del sole estivo. E quella vaga sensazione di sonnolenza post-pranzo da piena digestione.
E le sensazioni che adesso devi farti forza, perché non puoi apparire fiacco, devi essere carico, devi essere il più esplosivo di tutti. Solo con la coda dell'occhio del cervello noti quel pensiero sullo spettacolo serale - cazzo, c'è Dreamin' in the Dark, dovrò posizionare le torce in Merengue...
Insomma, era forse il momento centrale della giornata, il punto d'incontro fondamentale di tutti i momenti, quando ripensi alla mattinata, ti proietti al pomeriggio e alla sera, ma nel frattempo hai quei cinque secondi per respirare e rilassarti mentre monti le casse e inserisci un cd.
Da cui, appunto, nel momento in cui ti butti su una sedia a scrutare la piscina centrale del Calamoresca ancora vuota, parte questa musica.
"Africa", dei Toto.
... Fino all'ultimo giorno, il 19 Settembre, a sbaraccare la Piscina Centrale - in un vago momento di sosta in cui con Rosario, Lorenzo e Gianluca ci siamo messi a giocare a palla con l'ultimo pallone da Beach Volley, poi immolato su di una palma - ad un certo punto parte proprio questa canzone.
E succede quella cosa stereotipata, sì... quel flash in cui ti ripassa tutta la stagione davanti agli occhi in un momento solo. E ti capisci che è finita.
Ho deciso di inviare il post, in gestazione per oltre un mese ma praticamente tutto scritto di getto in una mattinata, alla luce dell'ennesima coincidenza degli ultimi giorni, forse quella sorta di lasciapassare che aspettavo per convincermi a pubblicarlo...
Dopo un sacco di tempo, mi sono rimesso ad ascoltare in streaming l'Andrea Catavolo Show, il programma radio del nostro capovillaggio, su Radiostudiopiù.
Ecco, indovinate qual è la prima canzone che mette?
Esatto.
Proprio "Africa" dei Toto.
Ed è stata una vera consacrazione...
Dal loro sito, gli ho inviato un sms. Chissà se l'hanno letto. Chissà se possono pensare che il "Francesco" ero io. :-)
Ragazzi, come dicevo, farò altri post riguardo quest'esperienza estiva, di cui per la verità ho raccontato pochissimo.
Ma quando ci ripenso, mi viene in mente che insieme abbiamo fatto qualcosa di davvero grande. Forse non sarete "le persone più importanti della mia vita", ma siete le persone con cui ho dato il meglio che abbia mai avuto fino a questo momento. E questo vi rende persone speciali, con cui sento di aver condiviso e vissuto qualcosa di fondamentale. Secondo me, questa era "vita" vera. Non c'era giornata che passasse incolore. Grazie.
Questa canzone scatena così tante cose.
Forse, l'unica che valga la pena dire è... mai avere paura di ciò che si prova, mai avere paura delle risposte che noi - il nostro cuore, la nostra mente, la nostra anima - possiamo dare.
Quando ascoltiamo la voce di qualcuno, il vento, la pioggia, il sole, la risata di qualcuno, un battito di mani o una canzone.
Quando vediamo un film, un barbone buttato in un angolo della strada, un amico dopo tanto tempo.
Quando annusiamo del tè che odora di negozio di giocattoli appena aperto, terra appena innaffiata, una stanza chiusa.
Quando tocchiamo la pelle, i capelli, il legno liscio di una scrivania, quello ruvido di un albero.
Ognuna di queste cose provoca qualcosa in noi.
Comprendere queste nostre risposte deve diventare il nostro punto di forza, per non farci più abbindolare dalle etichette che gli altri possono desiderare affibbiarci.
Qualsiasi cosa provochi una risposta da noi è degna di nota e merita attenzione. E visto che non possiamo aprirci il torace e appiccicarci un cerotto sul cuore, l'unica è dare a quella cosa tutta la nostra attenzione, coccolarla, curarla, o magari sfogare tutto il nostro odio.
Parliamo spesso di avere reazioni positive, e parliamo dell'odio come se fosse una cosa brutta.
Le nostre sensazioni vanno curate e rispettate tutte, a prescindere, perché sono le nostre risposte, siamo noi che piano piano veniamo fuori. E se non ci badiamo, perdiamo solo un'occasione di scoprire meglio chi siamo, come siamo, come diventeremo e miglioreremo.
Eva Cassidy nel 1993 si fece rimuovere chirurgicamente un tumore alla spina dorsale. Tre anni dopo, cominciò ad avvertire dolori all'anca, che attribuì all'essere stata tanto tempo in cima ad una scala a dipingere murales. Dopo tre settimane di dolori persistenti, una radiografia evidenziò che il tumore si era espanso sulle ossa e nei polmoni. I dottori le diedero dai tre ai cinque mesi di vita. Lei scelse di intraprendere la cura più rapida ed aggressiva contro la malattia che si conoscesse, ma la sua salute peggiorò rapidamente. Nel Settembre del 1996 tenne il suo ultimo concerto, davanti a parenti e amici, e chiuse il set con questa canzone.
Sapeva che sarebbe morta, eppure ha voluto andarsene così.
Le sensazioni sono forse la cosa più meravigliosa che esista al mondo.
Oggi, siamo qui seduti a leggere/scrivere/ascoltare Eva che canta ancora quella canzone. Lei ha portato un pizzico di bellezza nella mia vita, così.
Noi possiamo provare a compiere la stessa scelta, credere che il mondo sia meraviglioso, oppure fare qualcosa per renderlo meraviglioso.
Credo che non esista un punto di partenza "giusto", per questo. Ma possiamo cominciare con l'amare e rispettare noi stessi, le nostre sensazioni, e quelle degli altri.
Non voglio più avere paura di quello che provo.
Per questo pubblico questo post: non so se mi piace, non mi ci sento molto a mio agio, ma forse è solo il punto di partenza.
Niente di davvero particolare da dire, forse questo è uno dei pochissimi aggiornamenti del blog senza un vero e proprio senso... per la verità, in senso c'è, ma non è affatto qualcosa di costruito come magari siete abituati.
Volevo solo scrivere qualcosa su questi ultimi giorni. Pazzesco come bastino davvero due finesettimana per aprirti porte che nemmeno pensavi, per farti apprezzare cose che nemmeno credevi, per farti capire cose che ecc, ecc...
Ho visto cose splendide, sono stato con persone belle, mi sono ricordato che un rapporto ha bisogno di attenzioni, di essere curato e coccolato, ma che anche se non succede, basta davvero poco per riprendere da dove ci si era lasciati.
E ho accumulato tantissime cose da raccontare.
Ho capito che mi piace, raccontare cose.
Di scherzi, di organizzazioni fantasma, di personaggi strani che ti inviano SMS bizzarri (dal Dottor Percival Cox a Paulo Coelho), di osservatori sportivi in diretta TV, di conti nobili incontrati per caso... :-)
Mi domando se alcune di queste cose non meritino un post... non ora, comunque, non serve rubare questo spazio gentile :-)
Da qualche parte (credo in un racconto di King) avevo letto che i brutti ricordi sono come straccioni buttati da una parte sul ciglio di una strada. Quando passi, neanche li degni di uno sguardo: ma ad un certo punto preparano il loro fagotto di roba, si mettono in cammino dietro di te, e col tempo, guadagnano terreno.
Adesso non ho più quella sensazione. Mi sono liberato di un brutto peso e con una facilità per me imbarazzante (per la verità: una facilità che assolutamente non è da me) sono subito riuscito a lasciar perdere e a guardare subito al futuro. E di cose piacevoli, in vista, ce ne sono.
Quindi, niente, nessun ragionamento contorto, solo una sensazione mista di benessere, soddisfazione e serenità. Sono un po' stanco :-) e di solito in questo stato non ho voglia di mettermi a scrivere. Mentre adesso, mi piace, invece, che mi sia messo a scrivere cose piacevoli.
Mi fermo, non serve altro... Anzi, forse una cosa c'è.
Volevo ringraziarti ancora. L'ultima volta l'ho fatto a Marzo, credo.
Grazie per quello che hai fatto come per quello che non hai fatto: è bello capire che non potevi essere la persona per me.
Scusami se non ti sembreranno belle parole.
Le belle parole fanno la muffa, quando rimangono troppo in cassaforte.
Nient'altro.
PS
Per la verità due-tre spunti bellini ce li avrei... ma il computer fisso pare morto e sono da un portatile con la tastiera un po' balorda, per cui non riesco a scrivere in scioltezza senza dover tornare indietro a ogni parola per correggere degli errori...
Adesso sto provando a recuperare il fisso. Vediamo!
So cosa devo fare...
Devo solo farlo.
A volte raggiungiamo quel punto in cui ci blocchiamo, e facciamo finta di essere altre persone, per intraprendere altre strade, andare via, lontano, tutt'altrove, e perdere di vista il blocco. Compiamo queste deviazioni per cercare di aggirare il blocco, ma la nostra strada è proprio quella lì, e cambiare strada vuol dire spesso essere persone diverse.
Ma io non so essere quella persona.
Io non sono quella persona.
Io non so chi sono.
So che finirà male.
Dobbiamo per forza tornare indietro, e infrangere l'ostacolo.
Dobbiamo farlo.
Dobbiamo farlo.
Ho paura.
E so che finirà male. So che farà male. So che finirà male.
Ma ora alziamoci.
Sapere che è di nuovo la mia strada è di un qualche conforto.
Se da anni continuo a vedere solo il tuo viso, qualcosa vorrà dire.
Inseguire nel mondo reale dei personaggi che credevi esistessero solo nella tua testa sta risultando essere molto divertente... e, penso, anche piuttosto utile. Il fatto è, penso, che essere sciolti sia qualcosa di ancora più bello che essere spontanei.
Carissimi omini dei miei sogni, sto venendo a prendervi!
Allora, allora,
è finalmente il momento di cominciare quel discorso sui "colori" di cui vi avevo parlato qualche post fa. Se ve lo siete perso o volete rinfrescarvi la memoria, cliccate qui.
---
Il primo ricordo di cui ho bisogno di scrivere non è precisamente allegrissimo... ma è per forza il punto di partenza. :-)
La prima canzone della nostra playlist è in realtà un set di canzoni dell'album Pink Moon di Nick Drake.
Parliamo di un periodo piuttosto cupo nell'Inverno 2009. O forse era il 2008... boh!
Non è un caso che non mi ricordi con esattezza.
Credo di poter dire, a distanza di tanto tempo e senza incertezze, che quello è stato uno dei periodi più bui della mia vita fino a oggi.
Ero molto, molto giù. C'erano tante cose che andavano male, poche che andavano bene, molte che non andavano proprio. Ricordo che faceva molto, molto freddo, e che tutti i pomeriggi, in un'apaticità che oggi definirei preoccupante, mi mettevo a dormire sotto il piumone per un paio d'ore, per poi alzarmi sempre controvoglia, sospirando, chiedendomi cose del tipo quale fosse il senso di tutto questo, e bla, bla, bla.
Non starò a scrivere quali fossero i problemi di quel periodo, un po' perché ormai sono superati, un po' perché certe cose è meglio che rimangano chiuse in soffitta. Con le catene!!!
Il piumone era una scarsa difesa. Mi ricordo molto bene quella sensazione di freddo dentro e di freddo fuori. Credo di averla provata pochissime volte, della serie che si contano sulle dita di una mano. Quella volta, però, perdurava da giorni.
Faceva buio prestissimo, e la cosa non aiutava a farmi stare meglio, anzi, mi metteva di una malinconia devastante. Andavo alle lezioni all'università, e quelle erano delle poche cose che in qualche modo mi distraessero. Seguivo quasi per disperazione, un qualcosa a cui aggrapparmi per allontanarmi dalla testa quei pensieri tristi che ormai da troppo tempo la abitavano.
Un periodo orrendo. Non riuscivo a vedere niente di bello intorno a me, nonostante fossi circondato da persone che mi volessero bene. Col senno di poi, direi che si è trattato di una di quelle battaglie che devi vincere da solo.
Spesso il mio problema principale è stato la solitudine. Ne ho scritto nel blog ed è tutt'ora una delle cose che più riesce a sorprendermi, per quanto sia ampia. Sentirsi di troppo, non sentirsi all'altezza, sentirsi fuori da un cerchio dove vorresti stare...
Sono problemi che sorgono dentro di te, e solo tu li puoi risolvere.
Contro questi colpi che vengono da dentro non esiste armatura: colpiscono sempre nel segno e dove fa più male.
Sono quelle occasioni in cui vieni davvero messo alla prova e dove deve venire fuori tutta la tua forza. Perché puoi tranquillamente scegliere di lasciarti abbattere.
Oppure puoi rimboccarti le mani e, sorretto unicamente dal pensiero che poi le cose andranno meglio - anche se in quel momento non ti sembra per nulla - ribattere colpo su colpo, riconquistare te stesso palmo dopo palmo.
Quantomeno, è una lotta che mi sono sentito di sostenere io, giorno dopo giorno, in quei giorni che erano davvero bui. Ma proprio bui-bui!!!
Si tratta un po' di una scelta di fede. Proprio perché in quei momenti non vedi la luce, non ti sembra che ci siano vie d'uscita. Ed è per questo che prima o poi qualcuno si lascia andare. Il punto è proprio lì, per vincere: ricordarsi che invece la luce c'è.
Forse la soluzione per non cadere è questa. Un po' come le pensioni!!! :-P
Quando provi un'esperienza felice, non lasciare che ti scivoli addosso, ma cerca di metterne da parte un pochino dentro di te, in una cassaforte.
Allora, in quei momenti più disperati, potrai aprire quella cassaforte e ricordarti che effettivamente di quel bene ce n'è e ci sarà sempre, se avrai voglia di riprenderlo. Se avrai voglia di rialzarti in piedi.
E non è mai facile.
Tante volte, per farmi forza in quei momenti, prima, mi dicevo: "Ma cosa vuoi che sia. C'è gente che sta male davvero, sta male di salute, sta male economicamente, non mangia, vive in guerra, senza familiari o senza nessuno che gli voglia bene. Tu, al confronto, stai benissimo..."
Ecco, credo che questa sia una cosa estremamente sbagliata.
Ognuno deve misurare i propri problemi solo in base a sé stesso.
Non esiste un metro unico per l'umanità, un metro per le emozioni e le sensazioni, un metro per le esperienze. Ognuno vive la sua vita in maniera unica e come solo tu potrai mai fare.
Forse parlo così perché ho questa convinzione da carosello che tutti siano unici, che tutti possano essere speciali, se lo vogliono.
So che in tanti scelgono l'altra strada.
Quella del "Tanto su sette miliardi di persone io sono solo una caccola... quello che non faccio io potrà tranquillamente farlo un altro..."
Ho profonda compassione e grande tristezza per queste persone, perché non combineranno mai niente nella vita: non "per il mondo", anche semplicemente "per sé stesse". Probabilmente sono quelli che non lotteranno e non si rialzeranno, perché non hanno capito che c'è qualcosa per cui lottare.
Ben più d qualcosa.
Anche "te stesso" è un qualcosa di validissimo per cui lottare, perché "te stesso", per te, è il mondo!!!La tua vita è tutto quello che hai!!! Senza, non ci sarebbero le cose brutte, è vero, ma neanche quelle belle, non ci sarebbero i colori, gli abbracci, i baci, le docce calde, le belle sensazioni...
Se non hai capito che anche solo una persona con tutte le carte in regola per cogliere il bello nel mondo è quanto di più prezioso ci possa essere (bisogna "allenarsi" per saper cogliere il bello, ma credo che TUTTI abbiano/abbiamo queste carte in regola) difficilmente avrai la voglia di lottare. Se non provi nemmeno a esserlo, figurati...
E anche nella situazione più disperata ci DEVE essere sempre voglia di lottare.
Perché per quanto male si mettano le cose, non ci sarà MAI un momento in cui TU verrai a mancare da te stesso. TU ci sarai sempre, per te stesso.
Nei momenti belli, come nei momenti brutti. Li vivrai entrambi. E TU sei un più che valido motivo per lottare. Sempre.
Senza LA TUA PERSONA non avrai niente. Neanche una cosa bella.
Ed è per la speranza delle cose belle, che nei momenti brutti devi stringere i denti, mordere, graffiare, dibatterti, e andare-avanti.
Sento la gente dire "noi siamo il cervello"??? Ma che cavolata è??? Noi siamo delle cose splendide in grado di provare e far provare emozioni.
Tutti questi discorsi, per cosa?
Insomma, facendola breve, mi ricordo che un pomeriggio buio e freddo, dopo queste due ore di sonno/letargo apatico pomeridiano, raggiungo una consapevolezza devastante.
Decido di volermi suicidare.
A oggi, quella decisione mi appare assurda e insensata.
Ma forse quel tipo di decisioni si basano proprio sull'assurdità e sull'insensatezza, su una disperazione che non si sa dove poggia, da dove può venire fuori e da dove può andare via.
Mi rendo conto che sia stata una decisione istintiva e che poi magari non avrei comunque fatto niente del genere.
Tra l'altro, me ne accorgo solo ora, non avevo MAI parlato a nessuno di questa cosa.
Ma a ogni modo, quello era il punto a cui ero arrivato.
Sapete quando si raggiunge quella sensazione di consapevolezza, no? Quello stato d'animo in cui semplicemente per te "è così". Uno stato d'animo che hai quando sei semplicemente sicuro e certo di qualcosa, quando hai accettato che qualcosa è così. Si sono tirati i dadi e questi sono i numeri usciti. Non puoi tornare indietro a tirare ancora i dadi.
Amen. Così è. Fine.
Brutto caderci, in questi casi...
Il discorso che facevo prima sui "problemi"...
So, come sapevo allora, che c'è gente che "sta peggio". Ma non per questo non devi rendere giustizia ai tuoi sentimenti e a quello che provi.
Ognuno ha fatto le sue esperienze di vita, ognuno ha vissuto la sua vita in un certo modo, ognuno ha vissuto in modo da arrivare a scelte differenti. Non ha poi molto senso pensare "Eh, ma c'è chi sta peggio" in relazione a te stesso e per risolvere i tuoi problemi, perché i tuoi problemi rimarranno, oh sì se rimarranno, e se li sottovaluterai non faranno altro che ingrandirsi alle tue spalle, mentre tu magari te ne stai in una mensa dei poveri a servire, credendo di fare del bene quando invece quel male dentro di te si fa sempre più forte.
Non è "mancanza di rispetto". Ognuno ha le sue sofferenze e per ognuno le proprie sofferenze sono (e devono essere) fondamentali per andare avanti. Sono pesi che devi scrollarti di dosso, sennò non puoi correre verso il tuo futuro, ma solo trascinarti con questi chili di merda che hai addosso.
Se ad un senzatetto la perdita di un amore non lo scalfisce più di tanto, perché deve trovare da mangiare per sopravvivere tutti i giorni, per chi mangia tre, quattro volte al giorno, ed è istruito e vestito, i problemi diventano semplicemente altri.
Dire "i problemi sono altri, nella vita" non rende giustizia: se una persona sta bene sotto certi aspetti, i problemi che ti toccano diventano semplicemente altri. Ma sono sempre problemi che ti tireranno giù finché non li molli.
Senza contare poi il discorso della sensibilità delle persone, un qualcosa che varia di grado e intensità di persona in persona. Per qualcuno la perdita di un amore può essere niente, per un altro la cosa più terribile che esista.
Ho sempre creduto - e credo ancora - che le persone "intelligenti" almeno una volta nella vita debbano aver pensato al suicidio.
Il suicidio non è altro che tutto l'opposto della vita, è la negazione più forte della vita.
Il dire: "No, non è possibile, la vita non può essere così, non me lo merito io, non se lo merita nessuno". La negazione più totale, il segnale più forte con cui si possa dire "non è giusto". "Ci meritiamo altro".
Se "vivere" è accettare consapevolmente (... ma mi viene da pensare, quanti fanno questa scelta consapevolmente? Sarà un altro discorso...) di prendersi sia il bello sia il brutto, "suicidarsi" è l'opposto di tutto questo. "No".
E sono dell'idea che tutti debbano averla provata o debbano provarla semplicemente per la legge del pendolo. Si va verso l'alto e si va verso il basso. La vita è un'oscillazione continua, e ad un certo punto capita di arrivare nel punto più basso possibile. A terra.
A quel punto, o scavi, o ti dai un colpo di reni e risali.
Certo, c'è anche chi (come i suddetti...) decide di rimanere lì fermo...
Ma è una scelta tua. E la scelta è un bivio sempre alla tua portata: se sai cos'è il vivere, quando raggiungi il punto più basso e ti sembra di non avere più vie d'uscita, decidere di uscirne di tua scelta è una decisione che io, comunque, rispetto.
Rispetto, ma non condividerò mai. E poi mai.
Avevo insomma deciso di chiuderla lì. Tante cose storte, non facevo nulla per migliorarle, non ne avevo la forza, trascinandomi sempre più nell'abisso avevo anche deciso come fare.
Decido però di fare un'ultima cosa. Con addosso il tepore del piumone che lascia spazio ai brividi del freddo quando esci dal letto, accendo il computer e decido che, prima, mi sarei ascoltato l'album "Pink Moon" di Nick Drake.
Per chi non lo conoscesse, è un album speciale, suonato solo con una voce e una chitarra acustica, scritto da un personaggio un po' strano ma che ben sapeva cos'era la solitudine.
Non so ancora oggi del perché di quella scelta. Fino ad allora, quello era stato un album come un altro. Bello, intenso, ma non avrei mai pensato che potesse risultare "l'ultima cosa che avrei ascoltato".
Faccio partire la prima traccia, ormai, temo, svuotato di qualsiasi potere.
I saw it written and I saw it say Pink Moon is on it's way And none of you stand so tall Pink Moon gonna get you all It's a pink moon It's a pink, pink, pink, pink, pink moon...
Già dalla prima traccia entro in una strana intesa con quelle note. O forse è una sensazione di condivisione con chi quelle note le ha scritte. Una sensazione di sapere cosa voglia dire trovarsi sospesi su una stella, in una dimensione ultraterrena.
In quel momento ho capito che una connessione speciale mi univa a quella musica.
Mi sentivo perfettamente in linea con quella malcelata malinconia e quella triste voglia di esorcizzare i propri fantasmi. Nick Drake, lui, come metodo per provarci ha scelto di fiondarsi in uno studio di registrazione e cantare e suonare.
E in quel momento ho sentito che io e lui stavamo provando le stesse cose, stavamo provando le stesse sensazioni.
Passo alla seconda canzone, e sembra quasi un percorso obbligato.
And I was green, greener than the hill Where the flowers grew and the sun shone still Now I'm darker than the deepest sea Just hand me down, give me a place to be
Mi sono sentito meglio, perché in quelle note ho sentito che non ero solo a provare quel tipo di orrenda sensazione. E questo mi ha fatto sentire meglio, non peggio.
Perché il mio problema è da sempre la solitudine.
Forse in quel "verde" ci ho visto per la prima volta del vero colore dopo tanto, tanto tempo.
Ed effettivamente mi sento abbastanza "darker than the deepest sea".
A sconvolgermi è a quel punto... quella richiesta così candida.
"Give me a place to be".
Nonostante tutto, nonostante tutti... un flusso di coscienza sincero, ricordi di quando lui (io?) era felice mi si riaffacciano nella mente dopo tanto (quanto?) tempo.
Eppure, anche quando ero felice e circondato da persone che mi volevano bene non sono stato in grado di fronteggiare la realtà, ed evitare che mi mettesse spalle al muro.
Una sensazione di inadeguatezza che torna a farmi visita, di tanto in tanto.
Forse ho sempre e solo voluto solo una guida, qualcuno che mi prendesse per mano e mi riportasse sulla giusta strada, appunto...
You can say the sun is shining if you really want to I can see the moon and it seems so clear You can take the road that takes you to the stars now I can take a road that'll see me through I can take a road that'll see me through
Difficile scrivere cosa vedo, da quella volta, ogni volta che sento questi arpeggi di chitarra. Vedo una giungla buia, scura, foglie, liane, erba alta e umida, gocce che cadono dai rami più alti degli alberi. Eppure io sto andando avanti. E tutto si dirada. Gli alberi sono meno fitti, le foglie meno invadenti, l'erba non mi bagna più le caviglie, e più avanti vedo una bella radura soleggiata.
Forse è stato questo il vero punto di svolta. Il momento in cui ho capito che dovevo ripartire.
Quell'immagine rimarrà sempre lucidissima nella mia mente.
Non serve andare avanti a dire tutto il percorso che mi ha tirato fuori dal pozzo, traccia per traccia.
Ho continuato ad ascoltare quasi in uno stato di torpore, come ipnotizzato mentre sentivo della nuova linfa entrare in me. Linfa colorata, accesa...
Un'arcana serenità che non ho mai capito da dove sia venuta davvero.
Fino ad arrivare all'ultima canzone.
A day once dawned, and it was beautiful A day once dawned, from the ground Then the night she fell And it was beautiful Then the night she fell All around
So look see the days The endless coloured ways And go play the game that you learnt From the morning
And now we rise And we are everywere And now we rise, from the ground And see she flies And she is everywhere See she flies, all around
So look see the sights The endless summer nights And go play the game that you learnt From the morning
La conoscevo già, sapevo il testo, eppure arrivarci è stato un climax difficile da spiegare. Ma in quel momento non stavo ascoltando un cd, stavo seguendo e vivendo un percorso che una persona aveva tracciato prima di me, una persona che aveva provato le stesse conclusioni, e che adesso stava giungendo alla fine.
Trattenendo il fiato, come in ogni storia interessante che si rispetti, ero ansioso di scoprire il finale, quali sarebbero state le sue vere conclusioni.
Ecco...
Finalmente in grado di vedere una nuova alba. Finalmente l'aria è bellissima. Finalmente ci sono nuovi colori. Il candore, l'innocenza di Nick Drake mi prende per sempre. E se dovrò dire in futuro quale sia stata la musica più importante della mia vita, non potrò che dire... questa.
Perché mi ha insegnato tanto. E mi ha fatto ripartire.
Ragazzi, c'è sempre da provarci. Sempre da tirare avanti. Perché puoi fare di te un'arma di felicità. Se sai cos'è lo sporco, se sei sceso al punto più basso e ti sei macchiato, allora risalire renderà ancora più trionfale il tuo ritorno tra i forti. E una volta che hai visto il mostro più brutto, e una volta che l'hai sconfitto, che sfide peggiori possono esserci?
Da quella volta io mi sento ogni giorno una persona migliore.
Mi sento fortunato perché ci sono, e sento quasi il bisogno di trovare un qualcosa di nuovo che mi faccia dire "Sì, anche oggi la giornata ha avuto un senso".
Ogni giorno devo essere migliore di ieri, perché sennò non ha senso essere qua fermi. Dov'è la differenza con un sasso, sennò.
Non sempre è facile e non sempre sono del giusto umore.
Ma ormai ho imparato il meccanismo, e so bene che non lo fermerò mai.
Delle volte andrà più lento, altre volte più veloce.
Ragazzi, abbiamo davvero questo potere straordinario di decidere noi se la vita può essere bella o brutta. Dipende davvero tutto quanto da come vediamo le cose - e siamo noi a scegliere come vederle.
Lavoriamo tutti i giorni per essere persone più belle, più vive, apprezziamo, miglioriamo.
Lasciamo le cose meglio di come le abbiamo trovate.
Alla fine si torna sempre lì, il bello è fare qualcosa per gli altri!!! :-)
---
... Wow!
Abbiamo appena concluso il primo colore, ed è stata un'esperienza divertente da scrivere.
Altri ne seguiranno, spero a breve, e alla fine di ogni post del genere riepilogheremo la mia playlist della vita... vediamo cosa viene fuori e se la mia colonna sonora faccia vomitare o meno!
--- PLAYLIST DEI COLORI: -Nick Drake, Pink Moon
Non sopportoscrivere quando non sono ispirato.
Mi sembra come compiere un atto senza vita.
Il problema è che pure c'ho troppa voglia di scrivere. Proprio tanta!
Mi sento come una mosca, che piglia a capocciate il vetro cercando di uscire e non ci riesce. Alè.
Infatti ho scritto e cancellato le robe che avevo scritto qua sotto una dozzina di volte, e alla fine ho semplicemente rinunciato a scrivere qualcosa. CHHHAZZO.
Di cose da dire ne avrei, ma non basta avere "qualcosa da dire".
Forse "non mi basta più", in generale.
Di solito, comunque, queste fasi sono ottimi preludi.
Potrebbe essere un buono spunto per lasciarsi andare e scrivere semplicemente di tutto.
The title comes from stories of people who’ve had near death experiences, particularly with drowning. They say that when you’re drowning, and after the struggling, there’s a period where you almost get into a state of calm. Or grace, like a peace comes over you. Apparently when you die from extreme cold as well, the same kind of thing happens. And I like that as a kind of metaphor for life. Without getting too pretentious, in a way, I feel like we’re all drowning. Life is such an intense experience these days and it feels like we’re all drowning to a certain extent in the stress and speed of modern life. I feel like as I’ve gotten older I’ve reached this point of almost a state of grace and I don’t really care anymore. I don’t care what people think about my music or if I dress right for other people.
It’s almost like reaching a state of peace, but I’m still drowning, obviously. We all are. It’s that kind of sense of grace of not caring anymore.
Proprio qualche giorno fa stavo pensando come persino le mie debolezze siano di gran lunga più forti di me.
Quando in mensa a pranzo è comparsa una torta al cioccolato, me ne sono presa una fetta intera. E quando ho visto che il mio aitante amichetto non avrebbe finito la sua, di fetta, beh, ho preso anche quella metà rimasta della sua fetta. Sarebbe tutto anche molto simpatico, se non fosse che sono intollerante alla cioccolata!
Ma sono anche convinto di una cosa.
Specialmente quando mi guardo allo specchio e mi vedo sulla faccia quei segnacci rossi che l'amata cioccolata mi infierisce.
(Meno male che adesso che è praticamente estate la gente pensa che sia l'aver preso il sole...)
Anche se non fai una mossa decisa a ogni turno col pedone, puoi sempre usare l'arma segreta dell'arrocco. Due mosse in una.
Del re e della torre.
Mica pizza e fichi.
Mica Rihanna e le Pussycat Dolls.
No, no. George Harrison e Clarence Clemons.
E poi vedi come le cose cambiano veramente.
Cambiando discorso, l'altro giorno a "Che Tempo Che Fa" c'era un tizio (non mi ricordo neanche chi fosse) che diceva come un certo tipo di prosa fosse noiosa. Quella che spiega tutto, in particolar modo.
In effetti ha ragione: il bello è proprio nel filtraggio e nell'interpretazione di un qualcosa che hai davanti, il processo del "capirlo", del "farlo tuo", in base alle tue esperienze e alle tue sensazioni.
Ecco: allora non vi spiego una mazza di quello che ho appena scritto. Oh.
Arrangiatevi.
Anche perché ancora mi mangio le unghie, se ci penso.
Se ne riparla, credo, a Settembre.
Sono in fibrillazione.
Stai a vedere che mi sono svegliato per davvero? Naaah...
PS
Ho cominciato anch'io a girare con un quadernino in tasca. Quest'estate non so se avrò modo di scrivere qui, ma il quadernino ha già la sua dose di inchiostro dentro, e come ogni tossicodipendente che si rispetti, ne vuole ancora.
Ho intenzione di dargliene, ma senza rendergli le cose facili.
Devo dimostrargli che sono io che ho in pugno lui, e non il contrario!
Oggi è una giornata molto importante.
Ho deciso infatti che scriverò qui sul blog quello che veramente penso di me, quello che di me non mi piace e vorrei cambiare.
Perché? Boh, non lo so, oggi mi gira così.
Il punto di partenza è che mi ritengo fondamentalmente una persona triste.
Sto benissimo da solo.
Non ricordo l'ultima volta che sono stato davvero felice per qualcosa che abbia fatto io. Forse è stato agli esami di terza media. Riesco a essere felice soltanto con gli altri, per gli altri e in relazione agli altri.
Forse l'unica cosa che mi abbia mai fatto davvero sentire realizzato come persona è proprio questa: fare qualcosa per qualcun altro.
... Ho cominciato a farlo intorno ai 16 anni. Devo ringraziare (e non ringrazierò mai abbastanza)un certo gruppo di persone, per questo.
Prima, facevo tanto il cervellotico, mi piaceva farmi passare per cinico, senza che sapessi cosa mi stessi perdendo. Non essendo nessuna delle due cose, ci sono stato anche abbastanza male. Sarà per questo che oggi i cervellotici e i cinici sono i personaggi che più randellerei volentieri, dopo i politici!
Ho un senso dell'autocritica assolutamente devastante, per cui non riesco mai a essere felice per qualsiasi cosa derivi da me stesso. Per fortuna, ho una stima di me talmente alta che le due cose si compensano abbastanza bene.
Se lo faccio per altri, sono pronto a rischiare.
Se devo farlo per me stesso, se non ho nessun altro per cui farlo - e quindi nessuno al mio fianco - se la cosa riguarda me e solo me, ecco che non rischio più.
E' così più bello fare qualcosa con qualcuno e per qualcuno, che vale tutto l'impegno e tutti gli sforzi in più.
E per quanto riguarda me stesso?
Non so se il mio problema sia il non scendere mai a patti col mio ego, o se invece col mio ego ci scenda continuamente a compromessi. Per dirlo bisognerebbe capire se il mio ego sta dalla mia parte o no.
Sta di fatto che butto al vento qualsiasi situazione a me favorevole. Cose che mi piace fare, rapporti con persone speciali, ragazze(sì, sono una categoria a parte), ho una dote speciale per finire col compromettere sempre tutto, nei modi più squallidi, per cause che non capisco. Chiedere scusa? Ovviamente no, è un compromesso che non mi riesce. Mi è riuscito una volta sola, anche poco tempo fa. Spero possa essere un punto di partenza.
Chi mi rimane vicino è solo chi ha davvero tanta pazienza.
Solo in questi momenti sento un po' di sollievo. Quando faccio qualcosa per qualcun altro, qualche volta (spesso) quando sto con queste persone pazienti, che sono molto poche, quando sento musica.
E quando scrivo.
In ogni caso, non sono mai riuscito e non riesco ad aprirmi nemmeno con queste persone che hanno davvero tanta pazienza.
Sembra che io preferisca sempre mantenere i miei rapporti con gli altri ad un livello di superficialità infinita. Li tengo a distanza, perché non scavino davvero dentro me.
Non ricordo neanche l'ultima volta che di mia spontanea volontà ho davvero parlato di un qualche mio problema in assenza totale di filtri, senza che non ci fossi costretto da una situazione ormai satura e pronta a scoppiare.
Più facile fare qualche battuta scema.
Fino a qualche tempo fa, ero convinto di amare l'umanità. Oggi non ne sono tanto convinto.
Credo di amare all'inverosimile il potenziale dell'umanità, amo l'umanità a livello ideale, per come potrebbe essere, non per come è.
Non sono sicuro neanche di questa affermazione comunque, quindi per adesso questo punto preferisco lasciarlo in stand-by.
Ma non mi stupirei nemmeno troppo, se fosse così. Sarebbe così tanto da me.
L'ideale. L'astratto. Sempre stato così. Ogni tanto mi incaglio su un qualcosa e mi trasformo, la mia riflessività diventa passività. E mi blocco, non vado avanti.
Ma chiedo lo stesso scusa a tutti voi, disillusi che sapete come va il mondo, disillusi che non ci provate neanche, disillusi che preferite rimanere tristi, disillusi che mi chiamate ingenuo.
Chiedo lo stesso scusa a tutti voi, se invece di rimanere a sguazzare nella merda io provo sempre a vedere, cercare e trovare il lato positivo delle cose, se provo sempre a essere felice, nonostante tutto quello che abbia scritto qua sopra.
Io ho scelto di provare a essere sempre positivo e felice. Non è facile e ha delle controindicazioni. Ogni tanto mi sembra di sbilanciarmi troppo, di perdere quella giusta aggressività che nella vita quotidiana ogni tanto serve, ma ci sto lavorando. Piano piano...
La felicità c'è. La sento, ogni tanto.
Devo solo lanciarmi un po' di più, bloccarmi un po' di meno.
Spero di poterci lavorare. Lo sto facendo da un po' ma non vedo grossi miglioramenti. Mi impegnerò. Mangiate più verdura, mi raccomando.