lunedì 21 dicembre 2009

"Ring Out, Solstice Bells!"

Ma 'sto blog starà mica diventando un po' troppo New Age??

Buon Solstizio d'Inverno a tutti!
Sì, lo so, di solito si dice "Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia", il 16 Dicembre. In realtà il giorno più corto è il 21 Dicembre, questo significa che da oggi le giornate ritornano ad allungarsi, a farsi più chiare e limpide (lo so che detto di 'sti giorni fra neve e pioggia e freddo fa un po' ridere ma abbiate fiducia!) e mi sembra una bella scusa per essere un po' più ottimisti e speranzosi, che di questi tempi non basta mai.

Scusate se non mi trattengo oltre ad ammorbarvi con qualche post scemo, ma devo andare a mettermi qualche cremaccia sulle mani, 'sto freddo me le ha ridotte a due vaghi robi insanguinati.

Ciao ciao!

PS
Wow, fare l'albero di Natale con allegre canzoncine natalizie di sottofondo è una delle cose più belle che ci sia!

PPS
Improvvisa voglia di tornare a Venezia! Con questo clima è uno spettacolo...

martedì 8 dicembre 2009

Risposte? Zero...


Up and away your words
And see an empty page in my book
But how much have I lost
When I've got nothing saved in my book

I think about how as a child
I used to sit beneath the tree
Avoiding the sun and look at the ground
As if I had no needs

I'll fake it
I'll find my way
Into another sun
I'm dreaming
Of someone else
That's found a way to love


I've hidden behind a wall
And yet I stand right beside you
The universe will make you fall
If you state your claims

I don't want anything
I don't need anything more
I don't need anything more

I'll fake it
I'll find my way
Into another sun
I'm dreaming
Of someone else
That's found a way to love


But I have no answers
There are no answers now


I have no answers
And it feels all right

... And it feels all right

(Æon Spoke, No Answers)


Una delle cose di cui mi dispiacerà di più in tutta la mia vita sarà il non avere talento musicale.
Perché sento di avere così tante cose che vorrei dire in maniera "più bella"... davvero, vorrei tanto, ma proprio non succederà mai. Non ho il talento.
Ed è frustrante... ti senti un po' come dopo che ti togli il gesso al braccio, goffo, irrigidito, pesante, per nulla sciolto nei movimenti.

Però ci sono quei momenti in cui leggi una canzone e quella sensazione un po' passa, ti senti un po' meglio e ti dici "Eh, vabbè, però dai, questa potrei davvero averla scritta io, è un bene che sia passata, che ci sia, e che la stia ascoltando..."

Quanto è bello svegliarsi sereni.

C'è chi dice che l'intelligente è quello che sa vedere gli interrogativi, quello che legge tra le righe, che si accorge di questo e quel problema.
Contrapposto a questo si dice anche che "l'ignoranza è una benedizione", perché non vedi i problemi, non puoi, non ne sei in grado: come potresti starci male? Potessi, sarebbe diverso.
Avessi i mezzi, eh. Ma non ce li hai.
Sei uno scemo qualunque. Pazienza. Sei ignorante, campa nell'ignoranza e, beato te, starai meglio perché non sei in grado di capire verso quali gravissimi problemi andiamo incontro.

Io credo che "l'intelligenza" (tra virgolette, termine molto vago, ce ne sono di diversi tipi... ma è un altro discorso) stia nel sapere quali sono i problemi. Sapere di non avere le risposte. E riuscire lo stesso, con serenità, ad andare avanti.
A mantenere quel bel sorriso sulle labbra, ad avere quella luce che ti brilla negli occhi, a far innamorare la gente quando ti guarda.
Perché di che cosa ci si può innamorare se non della vita e della vitalità?

Svegliarsi, e non pensare alla prima difficoltà che incontrerai nella giornata digrignando i denti.
Svegliarsi, e pensare che fuori il sole c'è e brilla per tutti.
Svegliarsi, e andare alla finestra a respirare una boccata di aria così fredda che rimani senza fiato!
Sapere che c'è un prato verde su cui puoi camminare scalzo e sentire quel po' di solletico o quel po' di piacere sotto i piedi. Ma che anche quella mattonella non è così brutta, in fondo... è liscia e il sole l'ha resa così calda!

E poi, scusate, ma non posso farci niente. Sono innamorato delle donne.
Ragazze, siete la cosa più bella che sia mai stata creata. I vostri capelli, i vostri occhi, le vostre labbra, siete perfette.
Per voi oggi accettarvi è così tanto più difficile, per tutti i modelli del cazzo che vi mette davanti la tv... Non dovete mica preoccuparvi. Avete letto quello che ho detto? Siete la cosa più bella. E lo siete già, così come siete. Nella vostra unicità.

(Tanto per spezzare un po' questa sdolcinatezza, ieri ho visto il trailer di "Jennifer's Body", con Megan Fox. Oh porca vacca quanto mi fanno impazzire anche le donne mangiatrici di uomini. Stavolta pure in senso letterale. Ahah! Mi sa che me lo andrò a vedere dopo "Nemico Pubblico" e "Nel Paese delle Creature Selvagge")

Svegliarsi e capire che c'è tutto questo, prima del resto.
Non hai le risposte solo alle domande che ti stai ponendo. A quelle domande.
Per tua fortuna, hai già tra le mani delle risposte a domande ben più importanti che ancora non ti sei fatto! E magari non te ne accorgi!
Così come i veri problemi della vita saranno qualcosa di cui non ti sei mai reso conto, ma qualcosa che arriverà alle quattro di un martedì pomeriggio qualunque.

E non è che finisce qui.
Ne parlavo un mesetto fa proprio con qualcuno.
Solo che alla fine non gli ho detto come la pensavo davvero: sarà che stavamo un po' rimbambiti, un po' mezzi addormentati, e dovevamo prepararci per uscire, ma a ogni modo, dice che ogni tanto passa a leggere qui, chissà se si accorge che mi sto riferendo a lui!

Pensare tutte queste belle cose, per quanto belle e folgoranti possano essere, è assolutamente inutile.
Tutte le cose vere sono assolutamente inutili.
Così come l'arte è qualcosa di assolutamente inutile.

(Vi siete mai chiesti cos'è l'arte? Una definizione secondo me è questa: quello che non serve a niente. Pensate a un quadro o alla musica. O a un libro. Non servono assolutamente a niente. Oddio, in realtà un libro può servire per darlo in testa a qualcuno, ma non sarebbe la funzione primaria)

L'arte è confronto.
Quando leggi un libro, o ascolti quella musica che ti arriva dritta sparata dentro, è confronto.
Sei messo davanti alle emozioni e alle sensazioni di qualcun altro in maniera diretta e inevitabile. E per forza ti confronti con quelle sensazioni.
Ti confronti con quelle emozioni - anche se puoi decidere di ignorarle - e poi cresci.
Come persona.

Ma cresci davvero soltanto se poi cambi davvero, dopo quella folgorazione.
Un cambiamento che si veda!

L'arte o le belle parole possono toccarti dentro come nient'altro.
Ma se non ci fai niente, con quelle tue nuove conquiste, potevi davvero risparmiarti la fatica e in quei cinque minuti invece di ascoltare la canzone andarti a fare un bel paninazzo con sarsa e ketchup. Sarebbe stato più utile. Non è una battuta.

Devi fare qualcosa, dopo.
La gente non fa le cose. Mi sono accorto di questo.
E si danno tantissime motivazioni sul perché non si fa qualcosa, a questo, a quello, bla bla bla.
Dicono che ci sia sempre un qualche princìpio razionale dietro al perché non si fa una cosa. Io credo che sia solo tutto radicato in qualcosa di molto più terra terra, una paura di qualcosa, di fallire, penso.

"Try again. Fail again. Fail better." dice Beckett. Per chi non masticasse l'inglese, vuol dire: "Provaci ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio".

Credo che ci sia del conforto in questo.

Capito? E se tu fai qualcosa, fai qualcosa di bello, fai qualcosa che rende felice la gente intorno a te, che importa di queste "belle parole". Sono inutili. Per te ancora prima che per me. Si vede che io ho bisogno di dirmele, queste cose, prima di renderle vere.
Tu no.
Tu lo fai e basta. E la spontaneità è una delle cose più belle che ci siano, secondo me!

Non ha senso farsi domande, se hai già le risposte, per quanto intriganti quelle domande possano apparire, per quanto nascondano chissà quali profondi e intricati ragionamenti. Non ha proprio nessun senso e sono solo perdita di tempo. E non dimostrano nulla: quello che dimostra qualcosa è la traccia concreta che lasci.
Soprattutto se hai già imparato ad amare, che è una delle due grandi cose che si deve imparare.
L'altra è tenersi strette le persone che si ama.
Ecco che ti senti una persona completa.

Per questo è importante fare qualcosa. E scusate, soffritemi ancora un po' se riprendo il monologo finale di "The Big Kahuna".

Per questo devi ridere. Per questo devi cantare. Per questo devi ballare.
E suona, se ci riesci e se sei capace...
Per questo devi stare con i tuoi amici finché puoi. Per questo devi stare bene con i tuoi genitori, finché ci sono. Per questo devi trattare bene te stesso, lavarti i denti e i capelli (ma senza truccarti, soprattutto le ragazze che poi sembrano gli X-Men), tratta bene chi è intorno a te, anche se non lo conosci, ma non avere paura di trattare male chi queste cose non le capisce e preferisce calpestare senza guardare.

L'importante è sapere che "a volte sei in testa, altre volte sei indietro". Capita.

Stasera siamo di buon umore, me ne vado a vedere il Macbeth a teatro.
Penso che quello di Letteratura inglese sia stato l'esame più bello che abbia mai fatto. L'unico esame in cui la professoressa mi faceva domande su cose non nel programma e io ero contento e rispondevo lo stesso, perché tanto, oh, lo sapevo, ed era un peccato che cose così rimanessero non dette.

Responsabilità, devo capire. Vorrei.
Mettermi da parte, quelle volte.
Ancora non ho mandato quei messaggi. Ancora non ho detto le cose che avrei voluto. Ancora non ho visto le persone che volevo vedere. Parlo, parlo, parlo, e alla fine... forse dovete darmi voi una mano per sbloccarmi...

Anzi, credo che alla fine ve lo linkerò proprio, il monologo finale di The Big Kahuna.
Tanto è bello, ed è corto. Io ho avuto la fortuna di ascoltarlo nel momento giusto. Spero che possa essere bello anche per voi.
E visto il momento, che ci sono in palla per tutto il pomeriggio, sentitevi qualcosa degli Æon Spoke su Youtube, se vi capita... la canzone lì in alto è buona per cominciare! Poi sentitevi anche Pablo at the Park... Emmanuel... e Yellowman.

martedì 17 novembre 2009

Magia



Dovessi mai avere dei figli, penso che uno dei momenti più sconvolgenti della mia vita con loro sarà quando dovrò dirgli che Gesù Bambino non esiste.

Gesù Bambino sarebbe quello che per tanti è Babbo Natale, per capirci...
E credo sia anche più carino... cioè, oh, se a me avessero detto che girava per casa un grosso omone barbuto immagino che mi sarei sentito un attimino turbato ecco, invece un bel bambinetto lucente con le ali che porta regali è molto più rassicurante, no?

Seriamente, non so come farò a dirgli che è così, non c'è nessun bambino con le ali che ha un pensierino anche per loro, per loro come per tutti i bambini del mondo. Non so come farò a dirgli che quel poco di magia che credevano in fondo esistesse davvero, nel mondo, in realtà non esiste proprio.

Per me è stato proprio un trauma.
Vedevo intorno a me cose che andavano male, le maestre se la prendevano con me anche se non ero stato io a tirare quella matita, ero bloccato a Super Mario, non sapevo dove attaccarmi un cerotto quando vedevo dei bambini tristi e sporchi buttati in un angolo della strada, politici scemi (sì, già a 9 anni capivo che i politici erano scemi, per me non ci vuole poi tanto ma vabbè) eccetera...
Tutte cose brutte, ok, ma finché c'è un po' di magia nel mondo... e lo sai che c'è... perché si dovrebbe abbandonare la speranza?
E poi sbem, vedi che anche quel filino di magia che rendeva più frizzante, vivo, eccitante ma soprattutto ancora sicuro, possibile e vivibile quel mondo con cui i grandi sembra non sappiano che fare, sparisce nel nulla!

Con che cuore vai a dirlo ai tuoi occhioni preferiti?

In realtà, una soluzione c'è, ed è alla portata di tutti.
Non è vero che la magia non esiste, a questo mondo.
Esiste, esiste.
Si chiama Sigur Rós.
Ecco cosa spiegherò ai miei figli, ahahah!

:-)

giovedì 12 novembre 2009

Niente post oggi...

Niente post oggi, c'è un compleanno da festeggiare... :-)

lunedì 9 novembre 2009

Età e Mandarini

Ho notato che molti quattordicenni pensano che chi ha dieci anni sia un bambinetto, un tappo che non sa niente del mondo.
Quando si hanno sedici anni si guarda ai quattordicenni come brufolosi segaioli, e ci si sente forti e coraggiosi.
A vent'anni ci sentiamo maturi e prendiamo per il culo i sedicenni perché immaturi e troppo poco "cerebrali" e raffinati. E siamo convinti di sapere tutto sull'amore.
A trent'anni si finisce col guardare i ventenni e ridere della loro finta consapevolezza.
A quarant'anni ci guarderemo indietro e penseremo che forse prima non era poi così male, ma che in fondo... "la vita comincia a quarant'anni", no?
A cinquant'anni piglieremo il muro a capocciate, pensando a tutte quelle cose che non abbiamo fatto.

Ogni età disprezza la precedente in un modo o nell'altro, da una parte perché è necessario per crescere e cambiare, dall'altra perché fa comodo dimenticarsi chi si era prima.
E poi un giorno ti ritrovi a guardare lo stesso sole, e a chiederti se mentre davano il via eri distratto. (Mamma mia che citazioni musicali... questa era Time dei Pink Floyd comunque)

Il bello di "crescere" è cambiare e imparare. Vuol dire essere immaturi e ingenui ma con il bisogno di sperimentare, vuol dire essere incazzati perché quello non ti rivolge la parola come prima o sentirsi offesi perché non ci prestavano ascolto come volevi tu.
A un certo punto trovi la tua bella oasi alla deriva della nave affondata, ma non significa che tu ti ci debba fermare per sempre, su quell'isola.
Anche se hai cibo fino alla fine dei tuoi giorni.

Io non mi sento un idiota, se ripenso a com'ero a dieci, quattordici, sedici anni. Fa parte del processo. Magari ero ingenuo, ma stupido no. Ed ero genuino. Nessuno mi aveva manipolato. Si vede che guardavo poca TV. Cresciuto a suon di Cip e Ciop Agenti Speciali e Duck Tales, io. Preo il resto.
Poi si cresce, si matura, fai le tue esperienze e finisci col perdere qualcosa di quella voglia di saltare nel buio.

Della serie, meglio sbrigarsi a cambiare il mondo, perché finisce che se non ti sbrighi il mondo cambia te!

Anzi, a dirla tutta, secondo me lo scopo della vita è proprio tornare a quando avevi dieci anni.

Il che non vuol dire rimanere bambini, vuol dire fare il giro lungo.
Tipo, che ne so, uscire di casa a prendere il 542 davanti al Pertini, scendere a Tor de' Schiavi per prendere il 552, scendere a Torre Spaccata per andare a prendere il 20 Express a Via Ciamarra, quindi andare ad Anagnina, prendere la Metro A, scendere a Termini e prendere la Metro B solo per arrivare a Piazza Bologna.
Anche se ti bastava prendere il 445 sotto casa ed eri già a Piazza Bologna in cinque fermate.

I bambini sono un po' così, non hanno bisogno di credere a qualcosa che qualcuno gli dice dallo schermo di una TV o da un cartellone pubblicitario, di avere un crocifisso sulla parete, ci credono e basta, così, perché dev'essere. Fanno domande ma si accontentano delle risposte, se a dargliele è qualcuno di cui si fidano. Per sentirsi amici basta una palla e magari una merendina. Quando litigano si accorgono da soli di quanto è brutto e preferiscono fare la pace anche mettendo da parte il motivo per cui avevano litigato, chissene importa poi. E quando hanno fatto pace, quel motivo se lo scordano davvero.

Però, non so voi, ma io quando ero piccolo ero proprio uno schizzato egocentrico.
Ahah, serio.
Cioè, dico, nel vero senso del termine.
Credevo di essere al centro del mondo per tutti, credevo che ogni mia parola e ogni mia azione fosse sempre notata, sempre... esaminata da chi mi vedeva o mi sentiva, per cercare di capire i miei significati reconditi più segreti. Anche se ero in disparte, secondo me c'era sempre qualcuno che mi guardava. E pensava che sicuramente avevo dei motivi per starmene per conto mio. Sicuramente lui aveva capito che io avevo capito qualcosa che a lui sfuggiva! Come se nessuno avesse altro di cui preoccuparsi. Come se avessi una personalità così magnetica e interessante che non era possibile fare altrimenti.
Che altro poteva esserci di più importante?

(Un po' mi vergogno a dirlo, eh)

A questo serve, fare il giro lungo.
A capire che non ci sei solo tu, a capirlo dentro, nel tuo mondo, ma possono esserci tante altre persone, se vorrai lasciarle entrare, persone che magari hanno anche problemi un po' più gravi dei tuoi, anche se non lo danno a vedere.
Sei davvero diventato "più grande" quando dentro di te vedi gli altri prima di te stesso.
Non importa se non lo conosci o lo conosci poco.
E non posso neanche spiegarlo con altre parole. Forse, l'essere più felici quando fai felice qualcun'altro, anche con piccoli gesti?
Quando succede lo sai, è così.
Il bello è che queste banali frasi non sono neanche tanto lontane dalla definizione di "amore".
Ahah, ok che tutto gira lì intorno, ma ora non è per cadere nel melenso...

Almeno, questo è il mio modo di vedere lo scopo del "giro lungo". Altri ne hanno diversi.
Ma io credo che questo sia il migliore.

E so che per fortuna non sono l'unico a pensarla così, sennò vorrebbe dire che non c'è nessuno che pensa a far giocare i bambini!
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GRAZIE per il finesettimana.
E' stato divertente essere il nipote di Colucci, e scoprire che esistono Mandarini dal sapore ittico.
Seguirà in altra sede.

PS
Scusate il titolo molto old style... non mi veniva proprio niente di meglio!

mercoledì 28 ottobre 2009

Live Report Anathema

26 Ottobre 2008, data memorabile.
Anathema.
Per l'anniversario (volevo postarlo proprio il 26 ma non ce l'ho fatta...) posto il reportone che avevo scritto su questo splendido concerto, il più bello a cui sia mai stato e non so quando sarà battuto. :-)

Buona lettura, se avrete voglia! Non vi nascondo che da Flying in poi le cose si fanno molto cariche...

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Ogni volta per me è divertente fare report di concerti, sostanzialmente perché quando li scrivo "a caldo" sono più in grado di ricordarmi emozioni e sensazioni che ho provato al concerto. E allora, scrivendo tutto quanto, a distanza di parecchio tempo riesco un po' a ricordarmi/farmi ricordare quelle sensazioni. Ed è una gran cosa, ci mancherebbe.

Con questo concerto, non ci riuscirò. Non perché non abbia voglia, o perché non sia capace. Soltanto, questo di Domenica 26 Ottobre all'Alpheus di Roma è stato probabilmente il concerto più bello a cui abbia mai assistito. Ho fatto foto, ho fatto ancora più video, scriverò questo resocontone, tutto nella speranza di rimanere appiccicato a questa meravigliosa serata di musica che va oltre la definizione di "musica".

Il 26 Ottobre 2008 all'Alpheus di Roma hanno suonato gli inglesi Anathema. Di spalla erano i Demians, interessante emergenza francese guidati dal tuttofare Nicolas Chapel.

Cosa dire, di solito questi report sono sempre qualcosa di grandioso, di pompatissimo...

Di solito i report sono sempre andati così, ma non credo che questo seguirà la tradizione.
Questo non può farlo. Ci proverò, ma fallirò. Ripetere per me una serata così speciale... non può avvenire in questo modo. Sono sensazioni che ti rimangono dentro. Non sono andato a vedere un concerto: sono andato a vivere un'esperienza nel vero senso del termine, un'esperienza da tenersi dentro gelosamente e da poter tirare fuori ogni volta per ammirarla con lo stesso entusiasmo scintillante di sempre.

Per riprovare questo entusiasmo, non avrò bisogno di usare rievocazioni mitiche, non dovrò cercare di descrivere lo spettacolo che ho visto con i miei occhi, perché non sarebbe... anathemico. Questo report sarà silenzioso, ma forte. Delicato, ma toccante. Un enigma di sensazioni che semplicemente ti prende e ti entra dentro dolcemente. Anathemico, appunto. Sarà il mio aver vissuto un concerto di emozioni, e attraverso quelle emozioni soltanto vorrò ricordarlo, perché in fondo sono l'unica cosa che conta.

... Quelle, e quel paio di GB di foto e filmati che ho fatto, ovviamente.

Ricordo ancora quando ho visto che gli Anathema avrebbero suonato a Roma, finalmente da headliners, qualcosa che non capitava dal 2003, dal tour di A Natural Disaster. L'emozione è stata grande. Tanto grande che arrivi al giorno del concerto e pensi che forse hai esagerato, che forse non dovresti caricare così tanto quella serata, che forse potresti rimanere deluso. Ma sbaglieresti, non è successo. Anzi. Sei stato sorpreso ancora di più.

L'emozione è stata grande perché non si può immaginare quanto importanti siano stati per me gli Anathema. La loro musica e la loro evoluzione musicali è stata per certi versi anche l'evoluzione della mia persona, mi ha accompagnato dai momenti più bui alla più radiosa uscita dal tunnel. E rimarreste stupiti nel sapere e nel vedere in quante cose di me c'è lo zampino dei fratelli Cavanagh. Modi di pensare, modi di pormi rispetto a tante cose per cui ho preso spunto proprio dalla loro musica e dalle loro parole. Se oggi sono la persona che sono, introversamente, è soprattutto grazie a loro.

Li avevo già visti il 17 Novembre 2007 a fare da gruppo di spalla per i Porcupine Tree, al Tendastrisce di Roma. Sì, era stato un bel concerto. Mi ero divertito. Ma non mi ero emozionato. Onestamente, i Porcospini (altro gruppo che mica poco ha inciso e incide su di me!) avevano decisamente rubato la scena, con il loro atto solidissimo e i loro fantastici effetti visivi. Oggi, avendo visto quello che sanno fare, probabilmente dovrei chiedere il rimborso del biglietto di allora...

Pazientemente si fa la fila, si arriva in compagnia poco dopo le 19, ma le porte non sono ancora aperte. Si chiacchiera un po' con i presenti, e alla fine piano piano, perquisiti neanche stessimo entrando alla Casa Bianca, si entra nel famigerato Alpheus.

L'Alpheus è un club lungo e stretto. Mi avevano detto che l'acustica era pessima: i tecnici del suono allora devono aver fatto qualche miracolo, perché non ho mai sentito un concerto con una qualità di suono come quella: assolutamente perfetta. Alcuni dei presenti hanno detto che neanche in piccole e intime salette si erano ritrovati un'acustica del genere. E allora ringraziamo anche chi sul palco non c'è stato, ma che fa parte del gruppo uguale!

Siamo dentro, siamo fra i primi, e siamo ovviamente sotto al palco. In effetti il palco dell'Alpheus è veramente piccolo. Per motivi strategici vediamo più sul davanti una piccola batteria per i Demians, e dietro invece la ben più grande batteria di John Douglas e le tastiere di Les Smith, degli Anathema. Se da una parte è stata una scelta utile per la tempistica, il non dover montare e ritestare tutto quanto dopo il gruppo di spalla, dall'altra mi è dispiaciuto per i Demians, che hanno avuto poco spazio sul palco e che soprattutto hanno dovuto usufruire di suoni registrati per le tastiere, non avendo dove piazzare altra attrezzatura loro.

Alle nostre spalle il banco del merchandising è già preso di assalto. La mia compagnia mi suggerisce di andare subito a prendere qualcosa, prima che le magliette varie esauriscano. Io vado, e mi trovo davanti lo stesso simpatico ragazzone inglese che mi aveva già venduto la maglietta di A Natural Disaster l'anno scorso. Le magliette costano quindici euro, tutti lo pagano con biglietti da venti, e lui non ha il resto. Gli do una banconota da venti e una da cinque, lui mi guarda, sorride, mi da una banconota da dieci per il resto e mi fa, "Ah, so clever!" e mi piglio la bellissima maglietta del tour di Hindsight.

La domanda che mi sono posto è: dove cacchio me la infilo per il concerto?
La risposta che molti di voi mi avranno inconsciamente dato non è molto distante dalla realtà. Mi infilo la maglietta ben piegata nei pantaloni (a fra il tessuto dei pantaloni e l'anca, va detto...) e torno nelle prime file.

Nel farlo devo superare un sacco di gente, e se a un concerto metal mi avrebbero linciato, qui tutti mi sorridono e mi fanno passare. Ci posizioniamo fra il microfono di Danny, alla nostra sinistra, e quello di Vincent, al centro del palco alla nostra destra. Poi il confluire della gente ci porterà più al centro, proprio di fronte a Vincent.

La gente che riempie l'Alpheus è tremendamente varia. Ci sono metallari con magliette di Slayer, Immortal, Burzum. Maschioni goticoni e ragazze goticone, alternative rockers e altre definizioni da supermercato, chi più ne ha più ne metta.

Aspettando e chiacchierando, si cominciano a fare le prime foto e l'Alpheus intanto si riempie, aspettando i Demians, gruppo di spalla. Con soltanto un (buon) album all'attivo come Building an Empire, il terzetto (Nicolas Chapel chitarra e voce più un bassista e un batterista) sale sul palco molto silenziosamente alle 20.15. Salutano, imbracciano gli strumenti e via, in un'ottima prova. Mentre partono con una delle mie preferite, Sapphire, notiamo subito quanto l'acustica sia davvero eccezionalmente buona. Tutti gli strumenti si distinguono benissimo, forse il microfono è un po' basso, ma la musica si apprezza, e non ci si può lamentare.

Il simpaticissimo e occhialuto batterista ci da giù di brutto, ma così facendo gli voleranno gli occhiali (qualcuno dovrebbe spiegargli può suonare la batteria anche con le lenti a contatto) e suonerà tutto il tempo senza, con occhietti stretti a mo' di talpa. Finita la prima canzone, raccoglierà gli occhiali, farà spallucce e li metterà via: mi sa che gli si sono rotti! (Senza contare che a fine concerto dalla batteria tirerà una sua bacchetta fra la folla, e piglierà in piena capoccia un poveraccio che non lo stava guardando)

I Demians proseguono il loro set e il pubblico risponde molto bene. Suonando con umiltà e grinta, oltre a un paio di nuovissime prossimo album (quella dal titolo Feel Alive era veramente interessante), ci regalano ottime tracce di Building an Empire come Naive, Temple, Unspoken, Empire e soprattutto chiudono il set con The Perfect Symmetry e Earth, che strappano moltissimi applausi anche da chi non li conosceva. A parte per Sand, che mi sarebbe piaciuto sentire, hanno suonato tutti i miei pezzi preferiti... aspetto la prossima volta, quando torneranno da headliners e saranno famosissimi, ahah!

Sì, da tenere decisamente d'occhio in futuro, questo gruppo. Gran potenziale e ottimo affiatamento fra tutti e tre sul palco, anche se erano partiti come one-man band. L'impressione era che Building an Empire fosse un più che onesto CD ma che forse questo tour con gli Anathema li avrebbe "bruciati" troppo presto. Invece hanno risposto veramente alla grande. L'ottimo Nick Chapel, a parte che gocciolava di sudore già dalla seconda canzone, ha sempre presentato canzoni con umiltà e quasi timidezza, ha lanciato battute ai suoi compagni di gruppo e a fine set dal palco ha stretto sorridente le mani delle prime file, facendosi pure passare un CD da autografare. Non solo, è pure rimasto sul palco ad aiutare i tecnici a smontare la propria attrezzatura.

Con una colonna sonora raggae in sottofondo, sul palco ci si attrezza a ultimare i preparativi per gli Anathema. Si provano i microfoni ("Central mic... Danny's mic..."), le chitarre acustiche e quelle elettriche (maneggiate da un rastone da paura), due bassi per Jamie e la batteria. Un brivido quando vedo portare su il vocoder di Vincent, che quindi già mi da un'anticipazione su una canzone che avrebbero suonato, ma che non vi rivelo per tenervi la sorpresa per dopo...

I preparativi vanno avanti, forse troppo. I Demians hanno suonato la loro quarantina di minuti, ma ora sono le 21.15 e il pubblico comincia a scalpitare, intrattenendosi mollando urli da stadio ogni volta che la batteria di John Douglas, nel soundchecking, viene pestata.

Dopo un po', il palco rimane deserto. E le luci si spengono.
Le prime note di PARISIENNE MOONLIGHT li introducono con una certa classe. I primi a posizionarsi silenziosamente sono John e Les. Quindi arriva il timido ma tuttofare Jamie, il professionale e sereno Daniel in camicia bianca e giacca sbottonata, e un carichissimo e istrionico Vincent, al contrario con giacca abbottonata ma camicia sbottonata, che imbraccia la chitarra e corre dalle prime file lanciando qualche urlo di sfogo e riscaldamento, incitando ancora più applausi generali. La serata ci cala nella sua magia sin da subito, perché se è vero che la voce femminile di Parisienne Moonlight è solo registrata, è altrettanto vero che non c'è una ragazza, intorno a noi, che non la stia cantando, ed è un coro di voci chiare, limpide, angeliche. Per un attimo è come se ogni ragazza dell'Alpheus fosse un angelo bellissimo, come se, cantando in mezzo ad altri rozzi maschioni, si mettessero a riflettere la luce delle note della canzone, brillando, forse fatte levitare rispetto al pavimento, scelte dalla musica per questo bel compito.
Il concerto non è neppure iniziato, ma sono già brividi.

Danny prova subito qualche arpeggio con la sua chitarra, qualche nota che ci dovrebbe suonare familiare ma che nell'entusiasmo e nel delirio non colleghiamo a nessun nome. Tutti ci aspettavamo una dirompente Fragile Dreams, come era stato negli ultimi tempi, ma così sembra proprio che non sia. Vincent arriva al microfono, ci saluta (parte un urlo: "VAI VINCEEEEENT!!!"), alza gli indici come per enfatizzarsi e attirare la nostra attenzione, e fa: "What's this?"

Ed ecco che Danny e Jamie attaccano la delicata introduzione di DEEP, opener dell'album sacro Judgement. Vincent rimane per un momento immobile a guardare le nostre prime reazioni, sono urli di chi non ce la fa più, di chi ha trattenuto l'orgasmo anche troppo, e ora bisogna sfogarsi!
Quindi dopo essersi scostato qualche ricciolo dalla fronte, Vincent da inizio al concerto, ma non da solo. Un subito caldo Alpheus canta con lui, voci che sembrano trattenere a stento un'emozione ben più grande.

"Feel my heart... burning...
Deep inside... yearning...

I... know it is... coming..."

In un attimo si intromette bruscamente la robusta chitarra di Vincent assieme alla batteria di John che ci da subito il ritmo. Eccola, la sognante opener del nostro concerto: Vincent è davanti al suo microfono, subito piegato in avanti a headbangare. Danny al contrario arpeggia tranquillamente, gli occhi chiusi, e appena ondeggia il capo a tempo di musica. Jamie suona attento scrutando il pubblico, come a sfidarci: "Sì, siamo noi, siamo gli Anathema, siamo qui, e stiamo suonando solo per voi".

La canzone prosegue fino al suo culmine, e ancora una volta è splendido sentire la voce di Vincent, con le backing vocals di Danny, assieme al coro assolutamente disinibito e partecipe dell'Alpheus.

"Aaaaall our times will come!
Searching oblivion

Leaving nothing but the memories of...

Aaaaall the things you give!

They're all you'll leave behind,

With their mind..."


Nel breve intermezzo di batteria, il pubblico non vede l'ora di battere le mani più freneticamente che può, rendendo ancora più intensa un'atmosfera che aspettava solo i ragazzi di Liverpool per esplodere: non serve gruppo di spalla, per scaldare il palco agli Anathema. Basta lasciarli suonare una canzone.
E poi via, fino alla chiusura, il cui la voce di Vincent risuona più limpida e splendida che mai:

"Tiiiime reeeceeeds every day...
You can search you soul, but you won't see...

As we pass ever on and away...

... towards some blank infinityyyy!"


La grande track sfuma in crescendo, e gli Anathema danno ancora il loro saluto al pubblico, che d'altra parte riserva a loro un caldissimo benvenuto. Danny e Jamie sono sorridenti, e anche Vincent, che si sfila la chitarra di dosso, raccoglie una bottiglietta d'acqua e la alza a noi a mo' di brindisi: "Va bene, Roma!" ci dice, in quell'accento di Liverpool che amiamo.

Neanche il tempo di festeggiarlo, che dolci colpi di pedale di batteria e una velata chitarra di Danny ripartono, e Vincent si avvia verso il vocoder!

Come immaginavo, gli Anathema danno il via a CLOSER, meravigliosa e diversissima track di A Natural Disaster. Il pubblico batte le mani partecipe, seguendo ogni colpo di John, mentre ci arriva la voce distortissima di Vincent, che noi accompagniamo.

"Your dreamworld is a very scary place...
Your dreamworld is a very scary place...

Your dreamworld is a very scary place...

To be... trapped in... siiide..."


E fa un effetto stranissimo, sentire le parole deformate dal vocoder raggiungerci, mentre noi le ripetiamo in... clean. A sostenere e a rafforzare il climax crescente della canzone, Danny in momenti mirati prende un tamburello e lo agita a tempo, e che meravigliosa melodia è, assieme alle nostre mani.

"Shine in... tiiime...
Shine in... tiiime...

Shine in... tiiime...

Until you... fiiind..."


La traccia è tutta un crescendo, dalla pacifica quiete iniziale creata dagli scivolosi e ghiacciati suoni emessi dalla chitarra di Danny (che comincia a perdere quella sua compostezza iniziale) coronati da quella voce elettronica verso uno sconvolgimento sempre maggiore, con chitarre e bassi sempre più devastanti. Proprio per questa occasione, Vincent abbandona il vocoder e torna avanti a noi, pompando ancora di più questo sconvolgimento di Closer inginocchiandosi proprio davanti a noi e menando forti plettrate alla sua chitarra ritmica, dimenandosi come un animale ma perfettamente a tempo, headbangando come un folle, i suoi riccioli sono la sua aureola. Persino il tranquillo Jamie si fa prendere da quel momento, e tra il vortice dei suoi ricci lunghi non riusciamo a scorgere il suo volto.

Il crescendo sale, sale, e sale finché quando le nostre orecchie sono pienissime di suono, la canzone torna a quietarsi, e i nostri sensi sono offuscati di nuovo da quella pace, come in quei dieci secondi in cui dopo un orgasmo tutte le tue sensazioni, defluite dal tuo corpo, tornano lentamente in te, e rimani come sospeso a mezz'aria. Le chitarre di Danny ci fanno scivolare verso qualche altro angolo della nostra mente. Tagliano il finale in cui Vincent ritorna un momento al vocoder, ma capiamo in quel momento che non ce ne sarebbe stato bisogno.

E una splendida canzone d'atmosfera sfuma. Brividi. Beh, che altro vi aspettavate, il concerto degli Anathema è decisamente iniziato. Tanti applausi, tante urla, tanti incitamenti.

Vincent sfoga tutta la sua irruenza (che cantando una canzone come Closer aveva dovuto contenere) in un sonoro: "GRRRRAZZZZIEEEE!" che tutto l'Alpheus accoglie come oro colato.
Però poi se la ride perché inciampa in un tesserino con foto di una ragazza della crew, che poi fra l'altro a fine concerto sarà a vendere roba al banco del merch. Vincent si squadra con espressione compiaciuta la foto di riconoscimento e sghignazzando la porge a noi delle prime file, facendocela vedere per bene ("Can you see that? Not that bad at all, huh??").

Troppo occupati a scambiare battute con Vincent, non ci accorgiamo che Danny e Jamie hanno già cominciato a suonare qualcos'altro, ed è davvero la prima sorpresa della serata, quando Vincent si tira su di nuovo e sghignazza vistosamente, e Les fa partire l'organo di FAR AWAY, una canzone che sì è dell'album Eternity, ma che stavolta ci è rifatta in maniera completamente diversa, più nuova, più fresca, leggera e anche dinamica con nuovi arrangiamenti di chitarra.

"One common, subterran destination...
One life, another day...

A vestal child... unveiled... by temptation...

Innocence slips away..."

Ed ecco il primo refrain, più contenuto, più soft, che Vincent canta lento, ma che il pubblico non è altrettanto bravo a dissimulare:

"Far awaaaay!!!"

In un coro che sì è malinconico, ma che i nostri cantano col sorriso sulle labbra, guardandoci con approvazione, cercandoci con gli occhi, cercando con noi un contatto visivo vero, saldo, forte.

"Sometimes... I envy the dead...
So take me...

Faaaaar awaaaaaaay!!!"

E si sale, si sale ancora, non è la frana, ma è qualche sassolino che comincia a precipitare...
Ed eccolo, Danny che spazza via gli ultimi ostacoli al disastro con la sua elettrica, e Vincent,
schitarrando con la sua acustica, passeggia per il palco e ridendo incita il pubblico con quei pochi gesti che bastano. Ed ora che anche John incalza rapido può essere il delirio totale!!!

"FAAAAR AAAAWAAAAAAAAAAYYYYYYYY!!!!"

L'outro cresce rapido, con un assolo splendido di Danny, e la canzone poi conclude in un finale molto lento, fra gli applausi generali, soprattutto dei veterani dei concerti degli Anathema, veramente sorpresi da questo primo estratto di Eternity.

Vincent sparisce un attimo, Danny e Jamie parlottano tra loro. Il bassista prova a dire al microfono: "No flash, please!" ma sarà abbastanza fatica sprecata.
Dalla disperata malinconia di Far Away però si passa al più nuovo ottimismo anathemico. Un dolce riff melodico fa capire a molti che stiamo per ricevere una delle tracce del nuovo album degli Anathema di prossima uscita: si tratta della splendida ANGELS WALK AMONG US.

Mi scappa un "Mamma mia..." all'attacco di Danny, ed ecco che Vincent va al microfono:

"Only you... can heal... inside...
Only you... can heal... your... life..."


E canta con una tale intensità e un tale sentimento, che non si può rimanere impassibili. Che non si può non avere i brividi.

"Oh, it must've been an angel..."
(Eco)

La track è stata la terza e ultima dei nuovi lavori degli Anathema diffusi sul loro sito, dopo Everything (che stando alle ultime interviste non sarà inserita nel nuovo album perché c'è materiale molto migliore) e A Simple Mistake.

"I just can't reach you..."

Nonostante quindi una diffusione non ufficiale, fra le prime file non siamo in pochi a cantare con Vincent, soprattutto il piccolo, ma doloroso refrain.

"Mother, can you hear me?
Can you tell me, are you there?

Father, can you help me?

'Cause I know that you care...

And I don't have to fight anymore..."


E se è vero che siamo stati travolti dall'istrionicità e dalla carica degli Anathema nelle prime canzoni, ora sentiamo qualcosa di nuovo, qualche nuova emozione, qualche nuova energia, più chiarezza, una carezza di onestà e sincerità. Bagliori di vita. Questi sono gli Anathema, ora. Come a dire, "Va bene suonare il nostro vecchio materiale. Ma dove le nostre anime vivono, oggi, è qui".

Sfumando dolcemente, le mani che applaudono sono tantissime, più di prima, perché ora si sono aggiunti quelli che non l'avevano mai sentita e ne sono stati convinti.
Ancora senza una pausa, ecco partire dei trascinati riff sognanti, Vincent torna ad accomodarsi al vocoder e insieme con Danny ci canta le prime strofe di quella che, la riconoscono sicuramente i presenti che erano al concerto del Tendastrisce l'anno scorso, si rivela essere la seconda canzone dal prossimo nuovo album: A SIMPLE MISTAKE.

"Think... for... your... self...
you... know... what... you... need... in... this... life..".


La lunga canzone scorre fluida, con la medesima convinzione di prima, senza un'esitazione e con tanto sentimento, specialmente grazie a un ispiratissimo Vincent. E se nelle altre canzoni la sua voce sarà sempre un po' coperta dal pubblico che canta con lui, questa forse è l'unica volta che riusciamo ad apprezzare la sua voce da sola... anche perché quasi nessuno conosceva le parole di questa nuova track. La prima parte ci porta a un chorus intensissimo, che ci stringe il cuore, ma che Vincent canta con un sorriso.

"... Time... can be the answer,
Take the chance, lose it all,

It's a simple mistake to make, to create love

And to fall

So rise, and be your master

You don't need to be a slave

Of memory ensnared in a web, in a cage..."


Ed è sempre con il sorriso che Danny ci accompagna nella terza parte strumentale della canzone, immensa, forse il vero capolavoro della traccia, in un intreccio di chitarre con delicate tastiere di sottofondo e un basso che forse in realtà sono i battiti del tuo cuore.

Vincent torna davanti a noi, testa bassa, quasi piegato in due, una chitarra che suona tra le mani, immobile, a voler far passare ogni nota, ogni emozione, dal suo corpo catalizzatore.

Solo verso la dolce chiusura dell'incredibile e ottimista A Simple Mistake, Vincent torna ad alzarsi, la bocca aperta in un gemito silenzioso. Anche Danny è profondamente immerso nella nuova composizione, e sembra muoversi a tempo di musica in una dimensione di cui è padrone.

E sfuma. E va anche questa. E le parole cominciano davvero a strozzartisi in gola.

Vincent torna solenne al microfono, e con tono a metà tra il funebre e lo scocciato di chi ha pestato una cacca per strada presenta la prossima canzone: "The next song goes to the giraffes... in the zoo of Rome..."

I presenti sono sconvolti da tanto savoir-faire, c'è chi ride, c'è chi riesce solo a sorridere, mentre qualcuno gli urla di rimando: "All right!!"

E proprio dopo la positività di A Simple Mistake, ecco che ripiombiamo nei più bui Anathema, quando Vincent attacca con Jamie l'intro acustica di ANYONE, ANYWHERE, splendida gemma troppo avaramente conservata dal quintetto, che neppure durante il tour di Judgement era mai stata suonata. Questa perla dunque rara è a dir poco apprezzata dal pubblico, che non ha problemi a farsi catapultare da un estremo a un altro della scala emotiva.

Un doloroso e pulitissimo Vincent torna al microfono:

"No one seems to care... anymore...
I wander through this night... all alone...

No one feels the pain... I have inside...

Looking at this world... through my eyes..."


Si inserisce senza pretenziosità ma con l'intensità di un rombo di tuono il pianoforte di Les, e la delicatezza acustica della prima parte di Anyone, Anywhere va avanti. Le nostre mani, manco a dirlo, sono in aria a scandire tutti i tempi. Ma di lì a poco la parte acustica sarà spezzata dalle chitarre doom di Danny e un cantare sempre più disperato di Vincent, e la fine della canzone è come un cozzare fra la musica che va verso il suo alto picco e la speranza, e delle parole che non lasciano molto scampo, in una cruda rassegnazione da spezzare il cuore.

"There's no one... in this life...
To be here with me at my... side..."

Tutti gli strumenti, tutte le chitarre, il basso e la batteria sono portati all'estremo in uno scroscio che ci riempie le orecchie e quasi ci assorda... per poi svanire all'improvviso, e lasciare che le note del dolce pianoforte di Les ci accompagni alla fine, sempre più malinconica.

Ancora altri applausi, e in giro si vede già qualcuno con le prime lacrimucce... ma gli Anathema non hanno intenzione di lasciarci a lungo in questo stato... Vincent torna a recuperare la sua chitarra elettrica (nel frattempo a quella acustica sono saltate un paio di corde e le si deve sostituire), si porta davanti al microfono e...

"You'd better stop going like that, you're inflaming my sexual ardour!" esclama con approvazione e soddisfazione. Noi non sappiamo più se ridere o piangere, così facciamo un po' tutte e due le cose, come ci viene.

Non che gli Anathema abbiano voglia di farci venire dubbi del genere.

"... Empty vessel..."

Due, semplicissime parole quasi in parlato strappano altre grida incredule, che però si fermano subito, proseguendo il cantato, riconoscendo la devastante EMPTY da Alternative 4. La cupa voce di Vincent si spinge sempre più verso il basso... si battono le mani a tempo!

"... under the sun, wipe the dust from my face,
another morning, black sunday
coming down again...
coming down... again..."


John pesta duro, lento, letale da dietro le pelli, ma noi abbiamo cominciato a battere le mani in maniera così forte, decisa e unisona che quasi lo copriamo!

"Empty vessels, empty veins,
Empty bottle, wish for rain, that pain again...

Wash the blood of my face, the pulse from my brain..."


Poi quasi bisbiglia:

"That pain again..."

E quindi esplode, con l'audience che non delude e si sfoga abbondantemente!

"AND I FEEL THAT PAIN AGAIN!"

Ecco le chitarre, ecco il riff incalzante ed Empty decolla nel suo furore disperato, col pubblico a urlarlo a suon di "oooo-ooo-oooo" e Vincent ("Go!!!" incitandoci a urlare) ci mostra un altro lato del suo cantato, rude, ironico, secco.

"... And now you're walking on a lucky path,
I have to laugh...

BUT YOU'D BETTER WATCH YOUR BACK!"

Si chiude la strofa, altro trascinante riff, noi ora urliamo e battiamo le mani insieme... ed ecco che di botto tutto sembra placarsi, lasciando spazio ad un valorizzatissimo Les che suona in maniera sentitissima il dolce intermezzo di piano... quello che si suol dire la quiete dopo la (o prima della?) tempesta... Nel frattempo Danny si accentra e si porta le mani alle orecchie, con l'Alpheus che reagisce alla provocazione e lo seppellisce di approvazione.
Ed ecco che il pianoforte è ancora spazzato via dalla durezza delle chitarre di Danny e dalla voce di Vincent:

"There's pathetic opposition,
They're the cause of my condition,

I'll be coming back for them,

I've a solution for this sad... situation

Nothing LEEEEEEFT..."


... va in crescendo Vincent... la musica scema, e lui torna al microfono sussurrando...
"... but to kill myself again..."

Silenzio di botto, riempito subito dagli applausi e dalle grida di approvazione dell'Alpheus. Devo ammetterlo, Empty non è mai stata una delle mie preferite, l'ho sempre vista una canzone né carne né pesce, mix di due estremi fra il rock duro e la disco music, ma dal vivo fa il suo porco effetto.

All'improvviso Vincent al microfono comincia a growlare violentemente!!! O_O
Noi siamo tutti sconvolti e lo guardiamo con occhi sgranati!!! O_O

Il cantante si blocca all'improvviso e si giustifica.

"Sorry, I just had to take a little death metal relax!" risate generali. Ahahah, ma siamo a un concerto di Elio e le Storie Tese ora???

Poi, posata per un attimo la chitarra elettrica, ci trascina con i gesti come a doverci strappare i vestiti di dosso: "Can you do this??" e a farci urlare: "KILLLL!!!" Il pubblico divertitissimo approva, esegue e sghignazza con Vincent ("Come on, everybody at the same time, ok?"), mentre Danny e Jamie si mettono le mani nei capelli sorridenti (ma Jamie poi va dietro a Vincent!)

"... I always wanted to do that..." ammetterà Vincent, imbracciando la chitarra acustica.

Torniamo agli arpeggi di chitarra: riconosciamo l'approccio sottile di JUDGEMENT, la title track del loro album più Floydiano, che pare andare avanti senza problemi, lenta, sconsolata, con un crescendo malinconico che noi supportiamo battendo le mani a tempo, o almeno cerchiamo di farlo. Vincent ci vede in difficoltà e ci sorride. "Keep the time!" ci dice, e con le sue mani ci riporta sui binari del tempo giusto, mentre canta. Il riff è una vera pietra preziosa, e il crescendo va sempre più veloce, sembriamo sull'orlo di un precipizio, siamo pronti a esplodere, le luci ci flashano senza pietà... ma poi all'improvviso tutti i suoni convergono verso un silenzio assordante e quindi il basso delirante. E Vincent:

"You know you ain't going nowhere,
You're stuck inside while the mind is flying,
You said you'd help me in the morning

Twisting on the pins into my eyes

And dragging on the cell above you...

Fixing at the wall with your crooked hands

While you're miles away... miles away... MILES AWAY..."


Sportellate di batteria, si mette in mezzo a spintonare pure la chitarra, ecco che Judgement si fonde alla ben più frenetica PANIC, dall'album A Fine Day To Exit!!! La canzone dal vivo ha un potenziale immenso, e riesce alla grande, caricando l'audience soprattutto per merito di uno scatenatissimo Vincent, che canta con particolare enfasi le strofe più nonsense.

"I didn't think it'll all end up like this,
There's spinders on the walls and they stink of piss,

Dead heads lying in the corner,

Staring at me, making me feel bad!

I put my hands up to my eyes

But the holes in my palms let me find a way

To corner you, corner you, corner you!"

E' delirio totale, siamo al punto più basso del malessere, ma sappiamo che lo passeremo, sappiamo che l'abbiamo già passato!

"Calmness fall... once agaaaaiiin! Once agaaaiiiin! ONCE AGAAAAIIIN!"

E al momento in cui c'è il secondo tunnel di silenzio, prima dell'ultima accelerata finale, siamo tutti con loro!

I bollenti spiriti sono decisamente in fiamme, dopo questa botta di vita, e bisogna quantomeno raffreddarli un po'. Panic sfuma, e veniamo immediatamente placati quando Les attacca SHROUD OF FALSE, l'opener di pianoforte di Alternative 4. Vincent si avvicina al microfono e tenta di cominciare a cantare la tremenda strofa:

"We are just a moment in time..."

Solo che Danny evidentemente gli dice qualcosa di troppo e Vincent scoppia a ridere, portandosi dietro tutti i presenti. Mani nei capelli. Ancora non ho capito come fanno a giostrarsi fra momenti terribili e queste gag da cabaret. Per fortuna si riprende.

"A blink of an eye..." e il pubblico è subito di nuovo con lui.
"A dream for the blind..." eccole, le chitarre, ed ecco le braccia levate.
"Visions from a dying brain... I hope you don't understand..."

E Vincent si guarda intorno. Noi siamo un po' preoccupati: in Alternative 4 è Fragile Dreams a irrompere dopo quest'intro. Davvero i nostri eroi si giocheranno questa carta dopo solo una cinquantina di minuti di concerto? La risposta è no, ci è chiaro quando il pianoforte di Les continua nelle delicate note di LOST CONTROL.

"Life... has betrayed me once again..."

Le mani battono. Stavolta a tempo, Vincent nota sorridente. Ed è un sorriso che stride in maniera pazzesca col testo... ma che in qualche modo quadra alla perfezione...

"I accept some things will never change..."

I momenti di pianoforte alternato alle chitarre, dal vivo, hanno un impatto pazzesco. Ce ne accorgiamo tutti. Ma più di tutti se ne accorgono Vincent e Danny:

"How much longer 'till I hit the ground..." canta Vincent, e davvero, con lui tutto l'Alpheus.

"I can't tell you why I'm breaking down...
Do you wonder why I prefer to be alone?

Have I really... Lost Control?"


E se nel CD le ultime parole "Lost Control" vengono ripetute da un eco, certo qui live Vincent non può mettersi a ripetere l'eco... è di diverso parere un nutrito gruppetto di persone, che invece FANNO L'ECO AL POSTO SUO, in calando!!! "Lost control... control... control... control..." Ahahaha CHE SCEMI! E i due fratelli Cavanagh sghignazzano!

Ma la canzone prosegue ed è una meraviglia. Nell'ultima scia strumentale, Vincent accompagna con qualche debole vocalizzo, ed è la fine della canzone, c'è spazio solo per gli applausi e la gioia.

Vincent torna al microfono, ma ormai siamo pronti a tutto direi...

"Have you noticed?? Every song seem to slow down in the end...? Next time we'll speed it up!"

E mentre proviamo a immaginarci come sarebbe Lost Control con un finale accelerato, Les parte con REGRET, altra perla troppo poco esposta in tour e che ora ci viene riproposta. Devo ammettere una cosa: se fino a questo punto avevo vissuto ogni singola canzone con tutto me stesso, credevo di avere tempo per rifiatare, con Regret, che non è che me la sia mai filata così tanto, diciamo. E invece me la sento. E non me la ricordavo così bella, fragile ballata doom tendente al prog, che poi decolla, i due pilastri della band la cantano all'unisono, e sono applausi come se piovesse. La band approva.

Vincent torna al microfono, e non è difficile riconoscere la sezione ritmica di HOPE, altro pezzo da novanta di Eternity. Stavolta non c'è nessuna introduzione in spoken, bensì Vincent la annuncia con un sonoro ruttone, e beveva pure acqua naturale, lo stimo!

Il testo è una dura salita, ma a ogni refrain arriviamo con una nuova consapevolezza, e ogni volta lo cantiamo più forte, assieme al nostro frontman.

"I wanted to live forever...
The same as you will too

I WANTED TO LIIIVE FOREEEEVER...

And everybody knew..."


E il riff della canzone, così catchy, ci raccoglie e ci strapazza per bene.

"You are the mist,
The frost across my window pane...

And again..."


E anche Hope sfuma... stavolta senza rallentamenti, ma di botto, a silenzio improvviso.
Gli applausi dell'Alpheus sono sempre più convinti, ma Vincent pare avere qualche problema con la sua chitarra. Infatti, diverse altre volte durante il concerto le sue corde dell'acustica zompavano che era un piacere, e ora... pare che non abbia altre soluzioni sottomano!

Danny ci saluta e ci chiede se ci stiamo divertendo, mentre Vincent sparisce qualche secondo nel backstage. Quando il minore dei Cavanagh torna sul palco senza chitarra e scuotendo la testa, Danny fa spallucce e attacca comunque nientemeno che il riff melodico di TEMPORARY PEACE, e sono brividi ancora una volta.

"Deep inside the silence,
Staring out upon the sea..."


Canta Vincent, le braccia goffamente lungo il corpo. Sembra davvero che non sappia che farci, se non sono impegnate con la chitarra! Non è difficile leggere un po' di perplessità sul suo viso, ma ci pensa una ragazza a tirarlo su, con un grido felice di incoraggiamento. Vincent sorride e sembra davvero rassicurato. Tenta persino di fare qualche incitamento con le mani libere verso il pubblico. Vabbè, almeno ci prova!

"And I swear I never knew, I never knew, how it could be..."

Il refrain è qualcosa di davvero speciale. Davvero una sensazione di sollievo, come se si sia passati attraverso una tempesta e adesso qualcosa, all'improvviso, ci ridà pace. E le nuove nuvole all'orizzonte sono viste in modo diverso.

"Beyond this beautiful horizon
Lies a dream for you and I

This tranquil scene is still unbroken by the rumors in the sky..."


Ma soprattutto... e qui è solo una nota personale...

"And there's so many, many thoughts
When I try to go to sleep

But with you I start to feel a sort of Temporary Peace...

There's a drift, in and out..."


Con un Vincent sopra le righe quanto a intensità, nei lamenti finali della canzone.
Applaudiamo e gridiamo felici la nostra approvazione, Vincent si guarda intorno, allarga le braccia e torna a parlarci:

"It's the first time I got to sing without my guitar! It... it feels weird... I felt naked! ... What do I do with my hands!!!" dice, agitandole goffamente... con molte e molte fan presenti che sarebbero pronte a dare i loro consigli...

Infatti qualcuno del pubblico gli grida qualcosa e Vincent risponde scherzosamente ("... No parlo italiano!") ma la figata era dietro l'angolo [cit.], perché nel frattempo Danny attacca lo scivoloso riff di FLYING!!!

Sono grida incredule, mentre finalmente Vincent torna ad avere una chitarra tra le mani (e la alza trionfante sulle prime file!)...

"Started a search to no avail,
A light that shines behind the veil, trying to find it..."


Ed è SORPRENDENTE come tutta la sala stia già cantando a squarciagola già queste primissime parole! Gli stessi fratelli Cavanagh si mostrano sorpresissimi, e infatti quasi subito Vincent ci lascia cantare da soli!!!

"And it feels like I'm Flying..." c'è sempre chi va fuori tempo e Vincent aiuta a tornare sui binari con gesti delle mani...

"Above you...
Dream that I'm dying... to find the truth...

Seems like you're trying... to bring me down...

Back down to earth... Back down... to earth..."


"Bravissimo!" se ne esce Vincent, ed ecco che irrompe John a scuoterci. Vincent riprende a cantare ma non abbiamo intenzione di mollarlo, tanto che "cantiamo" anche i riff di chitarra!

"Layers of dust and yesterdays,
Shadows fading in the haze of what I couldn't say..."

Il meglio deve ancora venire però...

"Strange how life makes... sense... in... time...
AND IT FEELS LIKE I'M FLYYYIIING
..."


L'ultimo refrain è un'unica voce, speciale, con Vincent che verso la fine fa la voce principale e noi gli facciamo il coro

("Seems like you're trying..."
"Trying..."

"You're trying..."

"Trying...")


"Back down to earth... Back down..."

Ed eccolo Danny, il riff finale di Flying sempre più schizzato e veloce, lui sempre più carico ed energico man mano che ci avviamo alla conclusione, fino a che salta ogni schema, e diventa soltanto una gara a far stridere di più la propria chitarra elettrica, per delirio dei presenti, e un finale da brivido, in cui il maggiore dei Cavanagh gioca con la pedaliera, lasciando in loop il riff mentre il resto della band intorno a lui si congeda: il primo è Vincent, che posa la chitarra e svanisce, segue Jamie, poi John. Les rimane solo un altro po' a dare qualche tocco di atmosfera in più con la tastiera, ma alla fine se ne va anche lui.

Rimane sullo stage il solo Danny, che continua nell'outro di Flying mentre noi pendiamo dalle sue... dita. Il riff in loop va avanti da solo, Danny posa l'elettrica, tira su l'acustica... il loop scema lentamente, e capiamo che una delle canzoni più acclamate sta finendo. Applaudiamo sempre più in estasi, ma non c'è tempo, perché appena Danny interrompe il loop subito parte a suonare con l'acustica la splendida e intima versione di ARE YOU THERE? dell'ultimo album acustico, Hindsight.

Ci sono altre urla di approvazione, c'è chi batte le mani, ma Danny scuote il capo, si avvicina al microfono e intima il silenzio. "Ssshhh..."

Noi ci zittiamo di colpo, e si crea un'atmosfera surreale.

"Are you there...?
Is it wonderful to know...
All the ghosts... All the ghosts..."


Sì, forse Danny può impedirci di battere le mani e urlare, ma non può impedirci di cantare. Eppure, l'atmosfera che si sta creando è così intima, silenziosa e... anathemica, che nessuno canta forte, nessuno urla, sono solo tanti sussurri, tanti sussurri moltiplicati per sei corde di acustica e una voce di chi ha composto. Il risultato sa essere infinito.

"But since you've been gone I've been lost inside,
Tried and failed as we walked by the riverside..."


Danny non ha lo stesso piglio aggressivo e istrionico di Vincent, Danny è molto più sincero, onesto, limpido, e forse questo è ciò che rende ancora più speciale e viva questa canzone. E' una cosa pazzesca, è come se tutti ci stessimo confessando con Danny e Danny si stesse confessando con noi, un vortice di intimità perfettamente portata da gentili e delicate note.

"Oh, where are you when I need you?
... Are you there?"

Proprio a punto il microfono di Danny lancia un fischio pauroso, e il compositore fa un salto all'indietro senza per fortuna smettere di suonare, ma nessuno può trattenere un sorriso nel vedere l'occhiataccia che lancia alla console di suono.

E via, Danny si lancia in una successione di note con la chitarra che definire assolo è fare una violenza a quella gentilezza... Stavolta non è proprio più possibile contenersi ed esplodiamo in tutta la felicità che siamo riusciti a limitare fino a quel momento, ruggiti, applausi, grida. Danny sventola le ultime note e la versione acustica di Are You There? si conclude con un semplice "Thank you!" da parte del chitarrista, che posa la sua chitarra e pare voler andare via. Poi torna davanti a noi, ma si guarda intorno e allarga le braccia. Dove sono tutti? I suoi compagni ancora non sono tornati!

Uno spaesato Danny ci ringrazia ancora, quindi sparisce nelle tenebre del palco per ricomparire poco più indietro, alle tastiere di Les. Noi applaudiamo ancora mentre lui prova qualche suono, e intanto ci chiediamo cosa diavolo stiano preparando. In realtà, ci dovrebbe essere perfettamente chiaro.

Qualche goccia di pianoforte, e Vincent torna silenzioso sul palco.
Raccoglie la sua acustica.
E comincia il momento più forte, commovente, bello e intenso di tutto il concerto.
Il nostro occhio del ciclone.
Sono le note di ONE LAST GOODBYE.
Chi non si è portato le mani nei capelli, applaude. Qualcuno - uno a caso - ha un grosso nodo alla gola.

One Last Goodbye ci viene presentata in modo ancora più scarno che nell'ultimo cd acustico Hindsight. Stavolta sono soltanto loro due, Danny e Vincent, da soli, come nella tempesta che li sconvolse nel 1998, quando la loro madre li lasciò.

Non sappiamo bene cosa fare. Non sappiamo bene cosa dire. Stavolta a nessuno viene in mente di battere le mani. Però una cosa possiamo farla. Aggiungere del nostro a questo fortissimo momento.

"How... I... needed you...
How I grieve now you're gone...

In my dreams...
I see you

I awake... so alone."

Vincent stavolta non fa lo scemo, non fa finta, è solo lì, a far uscire fuori la sua anima più pura, per l'ennesima volta. E fa senso vederlo così serio, vederlo mentre il suo capo oscilla dietro il microfono. Gli occhi sono rigorosamente chiusi.

"I know you didn't want to leave...
Your heart yearned to stay...

But the strenght I always loved in you...

Finally... gave away..."


E il pubblico di Roma canta con lui, ognuno rispecchiandosi nel loro dolore, ognuno ricordandosi il proprio.

"And somehow... I knew... you would leave me this way...
And somehow... I knew... you could never, never stay...

And in the early morning light...

After a silent, peaceful night...

You took my heart away..."


Un breve sospiro di Vincent. Il suo volto è un'aperta smorfia, prima del refrain. Ma noi lo sosteniamo. Noi gli siamo vicini ora più che mai, e cantiamo più forte.

"In my dreams... I can see you
I can tell you... how I feel...

In my dreams... I can hold you...

And it feels... so real..."


E non ce la facciamo più. Ma Vincent ci esorta ad andare avanti e a non mollare, perché c'è una seconda voce che dobbiamo interpretare per lui.

"I still feel the pain..."
"Still feel the pain..."

"I still feel your love..."

"Still feel your love..."


Vincent ha il capo chinato mentre gli rispondiamo. Ma quando torna ad alzarsi, la sua voce freme ma non cade.

Ma da questo momento in poi, decide di lasciare le nostre mani e farci proseguire su questa strada da soli, col solo Danny a suonare il pianoforte.

"And somehow... I knew... you could never, never stay..."

Vincent è al lato destro del palco, una mano a coprirsi la bocca, mentre guarda un indecifrabile Danny che sembra suonare più per inerzia che per reale impegno. Anche la testa del maggiore dei Cavanagh è altrove, ma ha lo sguardo sereno, nel sentirci cantare.

"And somehow I knew... you would leave me..."

Intorno a me le prime voci cominciano a rompersi. E' dura rimanere saldi.

"And in the early morning light
After a silent, peaceful night

You took my heart away..."


Ma ora non possiamo proprio tirarci indietro. Non importa come suona la nostra voce, se stonata o rotta dal pianto. Non possiamo proprio tirarci indietro.

"OH I WISH... I WISH YOU COULD HAVE STAYED!!!"

Vincent si scrolla la tensione di dosso con un sorriso e riprende a suonare l'acustica, Danny non può fare altro che fermarsi e alzare le braccia in un aperto applauso a noi, mentre poi si lancia nell'ultima parte di pianoforte, noi urliamo e ci sfoghiamo ancora, ma due secondi dopo è subito silenzio e stiamo tutti rivolti verso Danny e verso le ultime note.
Sì, è tutto un calare, e quando tramonta del tutto, c'è il boato più grande che l'Alpheus possa regalare, mi guardo intorno e vedo gente col volto rigato, ma felice, col sorriso, che urla e applaude. E mi asciugo le guance - ma sì che ho pianto anch'io, e non sono precisamente un emo. Non era possibile altrimenti. E non c'è stato pianto che più abbia sfogato, che più abbia consolato, non c'è un pianto di cui non ci si debba vergognare se non quello, circondato da gente che ha passato quella canzone come te, e ora ti capisce, tu sai che ti capisce, sai che ognuno in quella sala sa quello che stai provando, come tu sai quello che stanno provando loro. Ed è all'improvviso la più bella uscita introspettiva serale con degli amici che non hai mai incontrato prima.

E quel groppone in gola si è sciolto, è sparito, o meglio, è venuto fuori con tutta la sua forza, ma l'abbiamo superato insieme nel migliore dei modi. E ora c'è un grosso problema: come far tacere l'Alpheus, che è ora un locale pieno di persone commosse che applaudono e urlano le loro due colonne portanti e non hanno intenzione di smettere?

Danny ci prova, si avvicina più volte al microfono.

"I have to say..." ma ogni volta è ricacciato indietro, c'è troppo macello, non può parlare.
Tenterà due-tre volte, e finalmente alla quarta riuscirà a parlare. Anche Vincent ci applaude commosso, e si asciuga velocemente qualche lacrima dal viso. Nel frattempo, tornano a raggiungerci Jamie, John e Les.

"I have to say... I have played that song a thousand times but that was definitely the most special I have ever played!" ci dice Danny, e non ha assolutamente nulla del ruffiano mentre lo dice.

Il problema è che ora torniamo ad applaudire e a urlare come prima. Vincent prende la parola:
"Thank you so much, you are... a great audience!" dice, ancora commosso.

Come fare a continuare la serata ora? Come far tacere l'Alpheus?
A pensarci è Danny, che tornando a raccogliere la chitarra elettrica suona un motivetto da marcetta felice, talmente fuori luogo in quel momento che strappa risate a tutti!

Vincent ne approfitta: "We're gonna do ANGELICA right now..."

Al che davvero... non sappiamo più che fare... perché la scelta è perfetta... forse non poteva essercene una migliore... continuiamo sulla scia del passionale con una canzone superba, e al primo arpeggio di chitarra non dico che ci siamo scordati di One Last Goodbye - perché non ce la scorderemo mai - ma già siamo proiettati verso la nuova canzone, pronti a divorarcela. E il crescendo iniziale fino al riff centrale della canzone è qualcosa che augurerei anche al mio peggior nemico.

"Where are you, tonight?" noi rispondiamo presente...

"Wild flower in starlit heaven...
Still enchanted in flight...

Obsession's lament to freedom..."


E ancora quel riff da brividi... e davvero ti convinci sempre di più che si è aperta tra di noi una parentesi magica...

"Unengaged, dim lit love... didn't taste... the saaaame!"

Ma soprattutto:

"... And I wonder if you ever wondered the same..." bisbiglia Vincent...
"... And I still wonder..."

E Angelica è già passata, e cominci anche a credere davvero alla relatività del tempo, perché è impossibile che sia già finita, è stata troppo perfetta, lì, così, al momento giusto. La canzone cala e noi tributiamo i giusti apprezzamenti alla band.

Vincent molla qualche "Uoah!" al microfono, noi lo imitiamo e lui parte in una risata stile Pippo... quindi decide di farci scegliere la prossima canzone da suonare!
"What shall we do?"

E subito partono le richieste più folli!
In mezzo ai titoli più vari, risalta l'urlaccio di un folle: "RESTLESS OBLIVIOOOOOON!", una delle canzoni più oscure e cupe del periodo metal degli Anathema, cosa che suscita l'ilarità generale. Si sente addirittura qualcuno che invoca Everything, altri chiamano Inner Silence (e Vincent: "We didn't play that one on this tour yet...") ma, come era prevedibile, la maggioranza urla un solo titolo...

Danny ci guarda, fa cenno di sì col capo, indica un ragazzo del pubblico che urlava con enfasi quel nome, e ci annuncia quindi: "SLEEPLESS!!!"

La folla la riceve con un'esultanza particolare, quasi con un violento ruggito di rivalsa (specialmente dopo che ci si è lasciati andare all'estremo emotivo con One Last Goodbye) perché Sleepless è la vera hit del periodo doom metal degli Anathema, ed è anche l'unica canzone di quel periodo che i Cavanagh suonino ancora. E anche il sottoscritto, quanti ricordi ha legati a questa fortissima canzone...

Ed ecco che Vincent ci carica: "OKAY!!" e Danny parte con il claustrofobicissimo arpeggio, John ci incalza più che mai con ritmiche schizofreniche, e Jamie prende addirittura il suo basso a sette corde.

"... And I often... SIGH..." parte Vincent, in clean. La canzone originale, sul cd Serenades, era in growl, ma quel cantante Darren White ormai se ne è andato per la sua strada.

"... I often wonder why...
I'm still here... and I still cry..."


Attenzione, attenzione! C'è chi comincia a headbangare seriamente!

"... I often spill a tear... over those not here..." E QUINDI PARTE L'URLACCIO:
"But still they are... so dear!"

Ed ecco che irrompe la chitarra ritmica di Vincent che spazza via tutto, e per un momento sembra di essere tornati indietro nel tempo, ai vecchi Anathema, tanto che parte pure un piccolo pogo.

"Please... ease my burden!" ma quanto è diversa in clean Sleepless?

Il massacro continua, Vincent urla sempre di più, ma stavolta il pubblico lo batte! E ci portiamo alla parte dell'assolo, freneticissimo, che Danny interpreta magistralmente, e a vederlo ora, così carico a headbangare, ti sembra incredibile che sia lo stesso che pochi minuti prima suonava quella versione acustica di Are You There? in maniera così pacifica!

L'assolo cozza con le ritmiche, c'è una grossa esplosione di suono e Sleepless va agli archivi, lasciandoci completamente revitalizzati e carichissimi dopo una (eccessiva forse!?) dose di emotività.

A precisare questo fatto ci pensa Vincent, che torna da noi a dirci di come Sleepless sia un po' stanca, giocando sul significando del nome, dicendo che ci saluta tutti ma ha dormito poco, ha un po' di sonno e quindi hanno intenzione di metterla a dormire...

Noi siamo piegati dal ridere e ci subiamo anche il ritorno di Vincent: "And in case you're wondering, yes, we're all insane..." Nel caso non ve ne foste accorti, sì, siamo tutti pazzi...

Applausi per il frontman, ma Danny attacca un dolcissimo arpeggio, melodico.
Frugo nella mia memoria.
Che cavolo è?
L'ho già sentita?
No?
Possibile che ci sia una canzone del catalogo degli Anathema che mi sfugge?
Sono arpeggi delicati, limpidi. Lucenti, freschi, leggeri.
Ed effettivamente non posso tardare a capire che siamo di fronte a un'altra canzone nuova del prossimo album.
Jamie e John accompagnano Danny, che si avvicina al micrifono e ci dice: "This song is called HINDSIGHT."

E parte. Sarà solo strumentale. E sarà speciale. Un po' una coronazione di tutte le ultime canzoni.
"Hindsight" letteralmente significa "guardarsi indietro". Ma in inglese ha una valenza in più, vuol dire "girarsi a guardare indietro mentre stai andando avanti". Credo che sia una speciale celebrazione della loro carriera e abbia un significato importante.

Sono passati 5 anni dal loro ultimo album, A Natural Disaster.
In questi anni, gli Anathema ne hanno passate di tutti i colori. Battaglie con le label, problemi interni. Sono partiti dal doom metal passando attraverso una musica tormentata, fino ad ora, fino alla luce.
E adesso, sereni, soddisfatti, si guardano indietro, a quello che hanno passato. E vanno avanti. Fieri di quello che hanno fatto. Orgogliosi di aver superato quei problemi. Ora loro sono ancora qui. E vanno avanti.

Questa è stata Hindsight. Una musica piena di serenità e certezza.
Sentirla dopo essersi emozionati con Flying e Are You There?, dopo aver pianto con One Last Goodbye, dopo aver rabbrividito con Angelica e dopo aver ruggito con Sleepless, eccoci a Hindsight, la nostra ultima spiaggia, dove sentiamo che è il posto giusto per fermarsi a riposare.

Stando alle indiscrezioni, Hindsight sarà l'ultima traccia del prossimo album degli Anathema.
Io auguro tutte le fortune a questi ragazzi, che si meritano qualche soddisfazione e qualche successo in più, più di tanti altri musicistacci da quattro soldi.

Ragazzi, se il nuovo album è anche solo la metà delle tre nuove tracce sentite stasera, sarà la più travolgente esperienza musicale che non capitava da molto tempo a questa parte. Siete avvisati.

Sul palco, i nostri sembrano davvero avere nuova energia in corpo. Forse suonano ancora il resto del repertorio perché ci sono legati, perché sono belle canzoni, perché non rifiutano il processo che li ha portati dove sono ora. Ma dove loro sono davvero ora è... qui. A questo punto. In Hindsight. E lo capisci da come si muovono. Da come sentono questa musica.

Hindsight è stata spettacolare. Dimenticatevi Violence. Per me, l'ha già superata. Sarà che l'ho ascoltata in un momento di estasi pura. Ma per me l'ha già superata.

E dopo un'ondata travolgente di serenità ecco il momento che tutti temevamo, quando Hindsight comincia a rallentare, segno inevitabile di conclusione. Noi siamo nel silenzio più totale per apprezzare ogni singola nota. Ma non appena c'è il silenzio, ci sono applausi sempre più veri e convinti.

Le tastiere si stabilizzano su una rarefatta atmosfera.
Danny comincia ad arpeggiare solo su tre note.
Vincent: "Thank you very much for coming tonight. Thank you."

Applausi. Ma siamo intimoriti. Che sia davvero la fine?? Ma è troppo presto...
Purtroppo però... riconosciamo il riff di Danny...

E' proprio FRAGILE DREAMS!!! Sì, cacchio, il nostro concerto sta finendo, ma questa ultima canzone ce la godremo abbestia! Dopo il riff introduttivo, John parte a martellare la batteria, e le nostre mani battono fortissimo, e il lead ci fa strada sempre più verso i meandri della canzone, fino all'esplosione definitiva del riff più travolgente degli Anathema, come se ci fossimo tutti sbilanciati in avanti, chissene importa se cadiamo!

"ECCOLAAAAAA!!!" urlo, e via!

Vincent headbanga come un pazzo, ma fra il pubblico sono in tanti a imitarlo! Se gli Anathema si stanno congedando, lo stanno facendo davvero nel modo più carico e definitivo possibile...

"Countless times I trusted you...
And let you back in...
Knowing, yearning...
You know I should have run but I...
I... stayed..."

L'adrenalina schizza alle stelle per il refrain, e il pubblico c'è, l'impeto viene vissuto sia sopra che sotto il palco!

"Maybe I always knew
My fragile dreams would be broken... for you"

Silenzio improvviso, John pesta, Les è padrone dell'atmosfera.

"Today I introduced myself...
To my own feelings...
In silent agony, after all these years they spoke to me...
After all these years..."

E parte di nuovo il riffone con il refrain, e l'interazione tra artisti e ascoltatori ha raggiunto il suo culmine dopo una grandissima serata insieme.

"MAYBE I ALWAYS KNEW
MY FRAGILE DREAMS WOULD BE BROKEN... FOR YOU!!!" con dita che indicano il frontman e voci che ormai urlano più che cantare.
Vincent ruggisce sulla folla e noi che rispondiamo alla grande. La canzone cresce, cresce, cresce e cresce, Danny sale sempre più e anche stavolta sfonda gli schemi, la sua chitarra è uno stridore perpetuo ma mai a vuoto... fino all'implosione, i bassi di Jaime crollano, ed è il silenzio.
Cioè, silenzio da parte loro, perché noi siamo una bolgia, a osannarli.

Gli Anathema lasciano i loro strumenti e si allineano davanti a noi per inchini e saluti. Vincent ci ringrazia ancora per essere venuti, Danny ci butta lì un "Ciao!" mentre tutti se ne vanno. Le luci si spengono ma gli ardori no, e subito cominciano i cori: "FUORI! FUORI!!!"

Ma soprattutto in coro: "ANATHEMA! ANATHEMA! ANATHEMA!"

Purtroppo non sembrano filarci di striscio! Le luci rimangono spente e i minuti passano inesorabili, tanto che qualcuno si convince che forse è davvero finita... quando eccoli tornare sul palco, allargando le braccia per accogliere la festa del pubblico!

Più in là verremo a sapere che questo encore l'avranno fatto soltanto a Roma, delle loro tre date italiane. I nostri eroi si dispongono, ed ecco che Les parte con le sue solite atmosfere e il pianoforte di... INNER SILENCE, proprio la canzone che prima ci avevano detto di non aver mai suonato in questo tour!!!

La breve ma intensissima canzone è un vero spettacolo, e dal vivo guadagna tantissimo rispetto al cd. Ma Vincent è ancora carichissimo e torna come una belva davanti a noi facendo segno di strapparci i vestiti di dosso e urlando: "KILLLLLL!!!!" come prima, Jamie lo segue a ruota, e così facciamo noi! Sono applausi e risate felici, in qualche modo sentiamo di essere gratificati con questo encore, e sentiamo che durante il concerto è venuto ad istaurarsi un rapporto particolare tra noi e loro. Questo ce li fa stringere addosso ancora di più.

"When the silence beckons...
And the day draws to a close..."

Schitarrata lentissima, praticamente di un doom da paura...

"When the light of your life... sighs...
And love dies in your eyes...
Only then will I realize
What you... mean... to me..."

La malinconica canzone prosegue con un lead di Danny fino all'outro, dove il maggiore dei Cavanagh viene fregato tra gli sghignazzi da John che pare voler andare avanti quando invece si sono tutti fermati. E poi si ferma anche lui. Scrosci dal pubblico, ed ecco che Vincent viene a lui, stavolta davvero per l'ultima volta.

"Time to goooo!"
"NOOOOOOOOOO!!!!" rispondiamo noi!!!
Vincent picchetta con la mano sul microfono e ripete: "Time to goooooooo!"
Ai nostri "NOOOO" lui risponde: "... is there anybody out there?"

E sono ancora BRIVIDI, perché per noi c'è un finale tutto nel segno del Fluido Rosa, i Pink Floyd... e ci sta alla perfezione, mentre partono a suonare COMFORTABLY NUMB!!!

"Hello, is there anybody in there?
Just nod if you can hear me..."

Vincent canta con timbro completamente diverso da Waters, e la canzone pare avere nuova vita, e poi si scambia con Danny le strofe, esattamente come originariamente fu tra Waters e Gilmour.

"There is no pain you are receding
A distant ship's smoke on the horizon..."

Le tastiere di Les ci fanno levitare mentre forse cominciamo ad avvertire il leggero malessere di cui parla la canzone, e cantiamo insieme a Danny il refrain: "I... have become Comfortably Numb!"

Riprende la parola Vincent, ed era un momento che attendevo: "OK, just a little pin prick...
There'll be no more..." E QUINDI URLACCIO DA PAURA che tutti accolgono con stupore e sghignazzando di gusto!

"But you may feel a little sick..."

E via fino al secondo refrain con Danny, che per l'ultimo "I have become Comfortably Numb" gira proprio il suo microfono verso di noi, prima di iniziare l'ultimo, paranoico assolo della serata, con annesso ultimo bagno di pubblico, e anche stavolta gli schemi non sa cosa siano, l'originale è solo una traccia, i suoi riccioli vorticano mentre si lascia trasportare da quel delirio. Vincent se la ride, Jamie quasi si siede tra le prime file del pubblico, mentre Danny a un certo punto blocca il suo assolo su una nota, mentre lui e i suoi colleghi escono di scena, in un'atmosfera piena di sorrisi e di considerazioni positive di un Alpheus sudato quanto commosso. E stavolta è davvero finita!!!

Le luci si riaccendono ed è tempo di ritrovarsi tutti davvero sudati fradici. Il banco del merch, come previsto, è preso d'assalto. Per curiosità ci faccio un salto e a un certo punto ecco che sbuca Jamie! C'è chi si fa autografare il biglietto, ma per quanto mi riguarda gli mollo solo un sonoro paccone sulla spalla. Poco più in là ci sono i tre Demians, e mi fermo con loro a fare quattro chiacchiere. Confermo che Nick Chapel è una persona squisita. Lo seguirò con attenzione, sperando che sforni roba sempre più interessante.

Ma il tempo vola ed è quasi mezzanotte: devo sbrigarmi a tornare alla fermata Piramide della metro, altrimenti sono fregato e non torno a casa. Saluto tutti, specialmente l'amica Guada-proggirl (è stato un piacere venire con te al concerto, grazie della compagnia!) e mi involo verso la metro, solo per trovarla già chiusa.

Come tornerò a casa? Questa è un'altra storia, e questo report è già stato abbastanza lungo...

Cosa dire, tirando le somme?
L'unica cosa sicura su cui tutti i presenti potranno concordare è che... qualsiasi report, qualsiasi racconto, qualsiasi recensione, sarebbe riduttivo. Persino qualsiasi video preso dal concerto, anche se si tratta di canzoni intere. Anche una eventuale e fantomatica registrazione bootleg del concerto (che peraltro vista l'acustica credo sarebbe veramente un gioiello...) non vi porterebbe neanche lontanamente dare le sensazioni che essere all'Alpheus il 26 Ottobre sera vi avrebbe dato.

Ci sono state canzoni che ci hanno fatto emozionare, canzoni che ci hanno fatto gasare, momenti intimi ed esplosioni di suono.

Non la farò lunga, non farò altri giri di parole.

Emozioni, nient'altro.
Nessun effetto speciale, nessuna incredibile novità, nessuno straordinario virtuosismo, nessuna strepitosa improvvisazione. Anzi, a dire il vero le luci erano state pure meglio l'anno scorso, quando erano passati solo come gruppo di spalla dei Porcupine Tree...
Emozioni.
Un concerto purissimo, due ore e un quarto di musica, che poi è stata davvero un'esperienza.
E dico davvero.
Dopo questo concerto per strada camminavo in maniera diversa.
Credo di aver avuto ancora conferme dai fratelli Cavanagh. Come potevano darmene soltanto vedendoli dal vivo.
Il prossimo album sarà il migliore di tutti.
E non vedo davvero l'ora di rivederli.
Anche se... probabilmente questo concerto rimarrà insuperato, per la sua varietà.
Pazzesco come gli Anathema ci abbiano fatto giostrare fra emozioni diversissime. E' stato un vortice di emozioni assurdo, sono tornato dal concerto che ero stanchissimo e non solo fisicamente!

Auguro davvero a tutti di vedere dal vivo gli Anathema prima o poi, perché sono carichi. Hanno un affiatamento incredibile. E infrangono ogni barriera. Hanno grinta. Potrei aggiungere tanto altro, parlare dei singoli componenti, di come Vincent sia il simbolo, Danny l'arco di volta, ma non farei giustizia. Meglio che rimanga tutto un po'... indefinito. Quello che dovevo esprimere l'ho scritto nel report.

Grazie, Anathema, alla prossima!!!

Scaletta:

1. Intro: Parisienne Moonlight
2. Deep
3. Closer
4. Far Away
5. Angels Walk Among Us
6. A Simple Mistake
7. Anyone, Anywhere
8. Empty
9. Judgement/Panic
10. Shroud of False
11. Lost Control
12. Regret
13. Hope
14. Temporary Peace
15. Flying
16. Are You There?
17. One Last Goodbye
18. Angelica
19. Sleepless
20. Hindsight
21. Fragile Dreams
--- Encore ---
22. Inner Silence
23. Comfortably Numb (Pink Floyd)