martedì 2 ottobre 2012

Incidenti (Solitudine Pt. 2)

Qualche tempo fa, il Policlinico di Roma è stato un po' la mia seconda casa. Per diverse ragioni, ci sono finito un giorno sì e l'altro pure, a ogni orario possibile.
La cosa che mi ha più colpito è stato vedere nella stessa sala d'attesa tante persone differenti: uomini e donne di diverso ceto sociale, bianchi, neri, da soli, accompagnati, vestiti con stracci e vestiti eleganti.
Mi piace molto osservare le persone e come esse reagiscano in diverse situazioni, e non ho potuto fare a meno di farlo anche ora. E mi sono sorpreso nel vedere tipologie di persone che in altri contesti si sarebbero probabilmente schifate a vicenda, qui invece farsi forza, aiutarsi, addirittura confortarsi, scherzare insieme, sdrammatizzare.
C'era chi era sdraiato sul lettino con una gamba insanguinata, chi si teneva una mano evidentemente rotta, chi semplicemente si era sdraiato per terra e dormiva e chi, ancora nel suo vestito più scollato, tornava da quella che doveva essere una festa indimenticabile e che invece ricorderà per altri motivi.

Come sempre, la cosa che più ti scava dentro delle persone, sono gli occhi.
Spesso le persone non si accorgono di quanto grave sia qualcosa, prima che succeda proprio a loro. E in realtà, nessuno comprende davvero subito la gravità di un qualcosa, anche quando gli succede.

Succede solo che capisci che ti è successo qualcosa. Qualcosa di brutto, qualcosa di storto, qualcosa che non dovrebbe essere così, e adesso le cose sono cambiate rispetto a prima. È una sensazione molto profonda che sicuramente tutti abbiamo provato, ma è strano come, andando avanti con le esperienze, ti accorgi che questa stessa sensazione di straniamento sia sempre la stessa, anche nelle situazioni più disparate.


Hello, Darkness, my old friend... cantavano Simon e Garfunkel.

È una sensazione densa, oscura, cupa, e ti si piazza per prima cosa lì, sulla cassa toracica, tanto per farti ricordare che anche respirare non è una cosa così facile e scontata. Poi, alternativamente, può passare allo stomaco o alla testa; generalmente dipende da che tipo di persona sei e dal tipo di cosa che ti è appena capitata. A me, prende molto anche le gambe. Le sento flaccide. Non molli, chiaro. Mi sento come se tutta la pelle che c'è intorno sia inutile, solo un contorno. Poi passa alla faccia. Vorrei non avere guance, naso, bocca, vorrei non dover essere costretto ad assumere espressioni, vorrei essere un sasso, grigio e inespressivo.

E per quanto possa variare l'intensità di questa sensazione, lo capisci che è sempre lei.


La senti quando all'esame il professore ti chiede qualcosa che non sai, la senti quando ti si blocca il ginocchio, la senti quando tua nonna comincia a darti dei lei, e la senti quando ti ritrovi in una sala d'attesa d'ospedale, in compagnia di una persona che conosci e tanti sconosciuti.

Ogni volta che la senti è più o meno forte, ma la riconosci perché ha un suo marchio inconfondibile, e poi ogni volta ti sembra di ritrovare un vecchio amico, di cui non sentivi la mancanza, ma che in fondo è stato abbastanza dentro di te da farti ammettere che ti conosce bene.

Succede di solito in quei momenti che tu ti senta estremamente più vicino agli sconosciuti, però, piuttosto che a quell'unica persona che all'ospedale ti ci ha accompagnato. La persona che ti è vicino è lì per aiutarti, per non farti sentire solo, certo, ma non ha quel qualcosa negli occhi. È troppo distante da quello che stai provando per starti realmente vicino.
Non le si legge, negli occhi, quella sensazione che tu sai di avere ben dipinta sul volto, e che leggi chiarissima anche negli occhi degli altri.

Quella sensazione che, puf, un attimo prima andava tutto bene, e adesso invece, come un semplice clic di un pulsante, on-off, qualcosa è cambiato. In maniera netta.

Tu la senti. Sai che gli altri la sentono. Sai che siete inevitabilmente tutti legati da quella sensazione, e i vostri accompagnatori ne sono invece inesorabilmente chiusi fuori.

E in quel momento, con quegli altri sconosciuti, ci parli. Non con le onde sonore di una voce, ma con un altro tipo di onda comunicativa, che ti fa capire che tutti quanti avete in qualche modo dato il vostro commiato a qualcosa. Chi in maniera più o meno grave. Avete capito, e state piano piano accettando, che le cose sono cambiate. Questo percorso di accettazione è qualcosa di davvero unico di volta in volta e in ogni momento, e penso che ci sia qualcosa di poetico addirittura, in esso.

C'è stato un momento, anni fa, in cui ho avuto un brutto incidente. Ancora mi domando come sia stato possibile che nessuno si sia fatto male, quando potevamo tranquillamente lasciarci tutti le penne.

Di solito, quando mi capitava di raccontarne, dicevo sempre di ricordarmi nitidamente il "prima" e il "dopo", ma mai l'impatto del "durante".

In realtà, quel momento di quest'incidente mi è rimasto sempre in mente in maniera gelida e nitida, ma l'avevo sempre considerato come "fuori" dalla realtà dei fatti.

Ci si riferisce spesso a momenti e situazioni profonde come a un qualcosa che ti segna, che ti marchia: io in questo caso direi che ne sono stato ferito, tagliato, lacerato.

Sì, era sempre quella sensazione di prima: e credo di averla vista davvero in faccia per quella prima e, per ora, unica volta. Dicevo che esistono diversi gradi in cui la avverti, ma che capisci che è sempre lei. Ecco, quella volta, sono convinto, ho raggiunto quasi il fondo del pozzo, e l'ho vista. Ho visto lei, non una sua sfumatura.

Mi piace pensare, e credo effettivamente, di non aver visto davvero "lei", con i suoi reali contorni. Perché sono stato fortunato e sono ancora qui. Sono altri i momenti in cui, forse, puoi avere un contatto ancora più ravvicinato con questa sensazione.

Dicevo di questo... momento.
C'è stato questo momento in cui sono stato disconnesso dal tempo e dalla realtà.
E ho anche provato a chiedermi... ma come si fa a "ricordarsi"... una cosa che non c'è?
È stato un attimo. Un attimo brevissimo. Lo immagino come con la lucentezza dell'argento, ma al suo opposto, la sua antitesi.
È stato il momento dell'impatto. Giusto un battito di cuore. Credo di aver perso la mia individualità, per quel momento, e sentirmi a contatto dell'indefinito.
Non ho visto una luce, non ho visto un tunnel, non ho sentito della musica, non mi sono "visto" da fuori, né ho avuto un "best-of" della mia vita che mi scorreva davanti.

Questo, ho sentito. Il ritrovarmi ancora con quella sensazione, ora più forte che mai: e mi sono scoperto non spaventato. Mi sono accorto che era sempre lei, e mi sono accorto di averla in realtà già accettata altre volte, a piccole dosi, per cose meno importanti, come un esame andato male.
Mi sono ritrovato a guardare un freddo specchio che non rifletteva nulla. Era la buia, silenziosa, spassionata logica della fine.
La vita può davvero essere semplice come un pulsante: "On-off".
Ricordo che quando quel momento è passato, quando ho ricominciato a sentire cose dalle mie orecchie, quando ho cominciato a sentire la paura, le grida degli altri, e un po' di dolore, quando ho ricominciato a vedere cose intorno a me, ricordo una sensazione assurda e quasi inebriante di gioia.
Ero stato travolto dalla felicità di essere tornato da quel buco, e di essermi lasciato alle spalle quella sensazione di nulla, perché ero vivo, io ero reale, ero di nuovo reale dopo quell'attimo di zero assoluto.
Forse mi sono per un attimo affacciato sulla vera importanza delle cose.

Come anche un semplice sguardo possa essere significativo. Come un semplice "Sai, con te è le cose sono più divertenti" possa essere la cosa più bella del mondo.

Non so, francamente, perché tutte queste sensazioni mi siano tornate addosso ora.

So che l'ascoltare storie può avere un potere immenso, perché c'è un'immensa verità nelle storie che ti vengono raccontate, anche se si tratta di filmacci di paura o di horror di serie b. So che tutto questo viene detto solo "incidente", eppure guarda quanto c'è dietro.
Ma questa è un'altra storia, per un altro post che sto rimandando da diversi mesi, ormai.

Esiste una sensazione opposta a quella che, per un attimo, ho visto la sera di quell'incidente: la consapevolezza che, in realtà, noi tutti non siamo così diversi, anche se facciamo di tutto per frapporre distanze tra noi e gli altri.

E lo capisci quando, in ospedale, vedi gli sconosciuti farsi forza: sono solo quelli, gli attimi in cui capisci che le cose davvero importanti sono altre, come il contatto umano, la vicinanza con qualcuno che ti comprenda e che ti capisca...
... il bisogno di non sentirsi soli.

Forse mi è tornato tutto in mente ora perché sono giunto a questa conclusione.
Quella sensazione buia e fredda, quel sentirsi distaccati, è sempre la solitudine.
Una sensazione che è sempre in noi, perché siamo sempre soli, dal momento in cui veniamo al mondo fino a che ce ne andiamo. È la nostra scelta, quella di accompagnarci con qualcuno, di scegliere compagni di viaggio simili a noi, che ci capiscano, che ci confermino continuamente che no, che in realtà possiamo non essere soli, possiamo andare avanti, perché vale la pena farlo, anche solo per quell'attimo, quel sorriso, quello sguardo quando capisci che anche quello sconosciuto prova le stesse cose che provi tu.

E allora cazzo. Se prova le stesse cose che provi tu, non sei davvero solo.
Ed ecco che la paura più grande è sconfitta.

Non possiamo scappare dalla solitudine, non possiamo staccarla da noi e non possiamo annientarla, perché la solitudine è sempre con noi ed è in noi. Ma proprio perché è sempre con noi, altrettanto sempre possiamo affrontarla, fronteggiarla, contrapporle qualcosa, qualsiasi cosa. E sono davvero tante, le cose più belle di quella sensazione.
Anche questo è un qualcosa che trovo confortante. In qualunque momento si può fare qualcosa, con la solitudine, e non è mica qualcosa che puoi dire per molte altre cose.

Per questo non bisogna mollare mai mai mai.
Perché ci si sente soli, è vero: ma se ti senti solo è perché c'è una compagnia che ti manca.
Di solito, i buchi dei puzzle si riempiono.

Io, per esempio, sento che avrei ancora un paio di cose da scrivere, ma ho appena letto che su Rai 5 danno la replica di una bella intervista a Gigi Proietti.
Credo proprio che andrò a vedermela. E sono sicuro che quando avrò finito, non avrò più addosso la più che normale sensazione che ho addosso ora, che in effetti è tornata a farmi visita ancora. :-)

Grazie a tutti, per esserci.