domenica 28 marzo 2010

Jissaio...

Le parole hanno un grosso limite: non sono niente.
Non hanno essenza. Sono solo degli alias, dei rimandi nella nostra testa a quelle che sono le nostre esperienze e le nostre percezioni.
Quando ho letto il messaggio, così, senza quasi personalità, senza punteggiatura... la mia testa ha cominciato a funzionare un po' male... Ho provato a realizzare qualcosa ma non ci riesco ancora... Indefinito.
Butto giù queste righe ma sto scrivendo completamente a caso, mi sento sbatacchiare qua e là per gli angoli della testa... E dopo avere scritto tutto mi chiederò che senso ha pubblicare, perché, perché, perché.
E' inutile.

E finisci a ripensare ai tempi della scuola, dei Piccoli Brividi, Equinox e Operation Phoenix, i giochi insieme... e l'America mi sembrava un paese così bello, così vivo, così pieno di libertà e possibilità...

E realizzi quante cose abbiamo condiviso del nostro periodo più al confine tra lo spensierato e il maturo... quanto tempo abbiamo davvero passato insieme...

Quando hai una manciata d'anni, per te è "tutta la vita", ma in fondo, te ne rendi conto da solo, è "poco".

Ora gli anni cominciano a passare. Si accumulano. E quando ti guardi indietro (ti sorprendi e) vedi un malloppo sempre più pieno.
Quanto era? Forse dieci anni?
Non dieci anni "qualunque". Dieci anni di interessi, di chiacchiere, di lotte contro "i cattivi", anni in cui per noi anche un gioco era qualcosa che richiedeva davvero "una strategia". Gli anni in cui "lo sai che è stupido, ma stai al gioco e ti diverti lo stesso".
Era tantissimo tempo.
Erano la spensieratezza più pura, erano i sogni che non si infrangevano contro niente, erano le convinzioni di essere speciali, e le convinzioni che se si è speciali, qualcuno ti noterà.
Erano il nostro cuore, la luce più gentile che ci brilla dentro, la più sincera, senza veli che la coprano.
Era così tanto.

Tu e noi, i nostri mondi diversissimi ma che insieme funzionavano così bene.
Formavamo un bel mosaico.

Non riesco a scrivere tutta la frustrazione e la vergogna che sento dentro. Ecco, ora anche la rabbia, e l'impotenza, anche se non ha senso. Per tutti gli ultimi tempi che magari ti vedevo connesso su MSN e non ti chiamavo, o tu che mi chiamavi e io non avevo voglia di risponderti.

Il fatto è che siamo abituati a vedere la vita intorno a noi come qualcosa di fortissimo e bellissimo, e non ci passa mai per la testa che sia anche qualcosa di così fragile...
Non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati a essere qui, abbiamo le nostre sfortune e quelle ombre ai nostri occhi coprono invece tutte quelle luci che non sono altro che ciò per cui vale la pena vivere.
E non ci vuole niente a portartela via.
Un giorno ci sei, il giorno dopo, chissà. Non te lo puoi aspettare. Non puoi vederlo arrivare.
Un altro motivo, un altro motivo per convincersi ancora di più a non sprecare un solo attimo di quello che passiamo qui.

Se mi succedesse qualcosa, avrei paura di non poter più stare vicino alle persone a cui voglio bene. Quindi ve lo lascio scritto: il messaggio che vi vorrei lasciare è solo questo. Vivete con le persone a cui volete bene e non fatevi scappare questi momenti. Non sai mai quando potrebbero finire per sempre.

Credo di non avere parole.

Si dice sempre che "queste cose non dovrebbero succedere".
Ma succedono.
E l'unica cosa che posso sperare è che noi, passandole, saremo abbastanza forti.
Abbastanza forti per cosa?
Forse solo abbastanza forti per aiutare a passarle anche il prossimo a cui succederà di doverle passare.
Nient'altro.

Dave!!!
"Bloodyking"!!!
Terrò (terremo) duro anche per te.

martedì 23 marzo 2010

Atomi pazzi



Non so che cavolo mi piglia e non capisco se sono annoiato, sfiduciato o semplicemente troppo pigro per poter anche solo credere di essere così pigro.
Non so se sono più incavolato col mondo che non mi offre quello che voglio io o con me stesso che non so acchiappare quello che il mondo mi offre.
Voglio fare qualcosa, voglio buttarmi in qualcosa, tuffarmi nel nuovo, ma non so in cosa. Ho voglia di qualcosa di nuovo, ma mi vengono in mente solo cose vecchie.
Tutte le scelte che ho fatto mi si ritorcono contro, ok. Ma il primo passo per risolvere un problema è ammettere di avere un problema. Quindi ora dovrei spingere l'acceleratore e ricominciare. Ma l'acceleratore non va.
Forse devo portarmi in revisione.

E' come se dentro di me stessi reagendo, urlando, facendo un gran macello, ma l'esterno rimane indifferente.

Ho voglia di uscire e di fare qualcosa, ma qualcosa di nuovo. E non so cosa.
L'ho già detto, forse?

Mi dicono che i cambiamenti così repentini vanno fatti piano piano, e gradualmente. Che il tempo, piano piano, sistema le cose. Ti da il tempo di affrontare i problemi in modo che tu possa superarli come si deve, affrontandoli, e non evitandoli.
Il tempo lenisce le ferite.
Il tempo porta le risposte.

Ma come faccio a cercare le mie risposte nel futuro? Il futuro non esiste.
Esiste il presente. Esiste il "qui" e l'"ora".
Il presente è la risposta. Il futuro è solo un limite che ci creiamo in testa per ritardare, o aspettare, qualcosa. Un limite fatto per essere superato, certo. Ma l'attesa snerva...

Io scrivo a te nel presente.
Tu leggi quello che scrivo nel presente.
C'è sempre un "adesso".
Solo "adesso" posso ricordarmi esperienze che ho vissuto.
Solo "adesso" posso sognare e pianificare cosa fare della mia vita.

Possiamo pianificare un appuntamento, e ti posso giurare che non ci incontreremo né nel passato né tantomeno nel futuro: ci incontreremo proprio in quel presente momento.

E dopo che hai letto la frase che ho appena scritto, l'hai letta nel futuro o nel presente?

Le cose cambiano, certo. Ma sono già cambiate solo "ora", nel presente.

Vivi ora. E non aspettare chissà cosa, se puoi.

La maggior parte delle persone vive come se il presente non esistesse.
O si lascia trasportare dai ricordi e rimane nel passato, oppure vive di immaginazione e di fantasticamenti su ciò che il futuro gli potrà portare.
Ma in questo modo ti perdi la vita. La vita è ora.

Io voglio fare qualcosa... ora!!!!
Non voglio aspettare. Non ce la faccio.
Non ora.
Voglio godermi il presente e sento che non lo sto facendo, alla pari di quelli che si perdono nel passato o nel futuro. Solo che io non so facendo neanche questo.

Ho la testa piena di stupide frasi fatte, di mezzi sorrisi e mezze idee, di malattie, di ansie, di paure, di volti con cui vorrei parlare, e non riesco a farci niente. Sento come se qualcosa, dentro, mi bloccasse. Non so che cavolo fare.
Alterno momenti di ottimismo a momenti più... così.
Vorrei essere fresco, brillante, inventivo come mi sento la mattina quando apro le finestre e sento l'aria della primavera che mi entra dentro col sole e il cinguettìo degli uccellini, e senza sapere perché mi ritrovo stanco, inaffidabile, noioso e senza una meta.

Essere felici e soddisfatti di sé stessi è qualcosa di strettamente collegato al cambiare.
E' una questione di... porsi obiettivi.
Se tu fossi sempre felice di una stessa cosa, saresti un mollusco. Ti fossilizzeresti su quella cosa.
Niente sensazioni nuove. Niente esperienze nuove.
Niente stimoli nuovi non portano altro che niente.

Invece è bello cercare altre cose, che ti diano sempre quell'impronta di freschezza, soddisfazione ed emozione che ormai sai riconoscere, ma con sfumature nuove e diverse.
Qualcosa che sappia rendere speciali i baci anche quando la scoperta è passata e c'è il rischio che diventino insipidi.

Sono anche dell'idea che bene o male anche quando siamo "normali" viviamo un certo tipo di felicità.
OK, è importante essere soddisfatti di come si è, e poi di quello che si fa.
Così si ha meno bisogno di "cercarla", la felicità.
Sai che ce l'hai comunque dentro di te/con te.
Sei tu la tua prima fonte di pensieri positivi.

E fare le cose che ti soddisfano di più, le cose che credi più giuste, più importanti o più vere, è importante.
Non ho detto "le cose che ti piacciono", ma "le cose che ti soddisfano".
Le cose che una persona fa sono la base di ciò che una persona è.
Dovrei essere felice, non mi manca niente, eppure sento che quello che faccio non mi sta dando lo smalto che vorrei, come persona.
E' una specie di claustrofobia interiore.

Per questi motivi, non posso più continuare sulla strada che sto percorrendo.
Ma mi sento come se dovessi fare un'inversione di marcia sulla Nomentana nell'ora di punta.

Serve un grosso colpo di chiave inglese, qua, a sbloccare questi meccanismi inceppati. Non so se riesco a darmelo da solo.

O mi butto, o mi ci spingete.
O mi guardo subito "Ritorno al Futuro", che ne so.
Michael J. Fox, damme na mano...

... Aiuto.

Me ne vado fuori a spasso. Le passeggiate notturne primaverili fanno sempre piacere.

PS
Ah, come ho già esternato, voglio chiamare mia figlia Sigurrós. :-)
Meno male che ci sono loro...