mercoledì 29 febbraio 2012

Spazio al caso... (Ispirazione Pt. 2?)

È passato diverso tempo dall'ultimo post, per quanto avessi deciso di riscrivere qualcosa quasi subito.
Tra l'altro, proprio un mesetto e mezzo fa, una forte convinzione che mi ero messo in testa era quella di scrivere qualcosa di divertente o ironico su questo blog. Mi sono riletto qualche post vecchio, e sì, ok, è roba che mi piace, ma mancava quel brio... quel brio che peraltro sento davvero "mio", specie quando vado in giro, in macchina, a piedi, per la Metro.

Ecco, tante volte ho pensato che dovrei decisamente portarmi un taccuino per scrivermi tutte le cose esilaranti che mi viene da lanciare a quegli antipatici che spintonano in metro, quelli che ti superano e poi vanno a due km/h, e tutte le altre varie personalità che ti irritano. In quei momenti mi sento davvero in gran vena poetica... delle volte mi faccio anche ridere da solo :P per le cose che dico.

Poi mi piazzo qua, davanti al computer... e quelle cose divertenti non vengono fuori.
Non so chi sia Luigi Tenco (potrei googlare ma non lo faccio), ma qualche giorno fa, su Facebook, è uscito un suo aforisma:
"Perché scrivi solo cose tristi?"
"Perché quando sono felice, esco."
Il che non è molto dissimile da quello che succede a me qui sul blog. Io non credo di scrivere cose tristi - non solo e non sempre, almeno - ma è vero che quando va tutto bene, è molto più bello farsi una passeggiata fuori e respirare aria fresca, piuttosto che chiudersi in casa a scrivere. No?

Certo, peccato che così facendo si perde quell'attimo di "ispirazione", che in realtà andrebbe assolutamente colta, istantaneizzata, messa per iscritto. Ma forse non è così male, perché quel momento di felicità "lo vivi lo stesso", e lo vivi nel modo più giusto: usandolo per stare bene.
È così che bisognerebbe usare i momenti felici: per stare bene. Facendo cose belle.

I momenti riflessivi, invece, sono quelli che puoi spendere appunto chiudendoti da una parte, magari facendo un po' d'atmosfera con le serrande abbassate e la musica giusta, e scrivere.

Insomma, avete visto Toy Story, no?

- Se avete detto "", continuate a leggere.
- Se avete detto "no", che cavolo aspettate!??!?! È tipo uno dei miei film preferiti...

I giocattoli "servono" a giocarci, non a tenerli su uno scaffale a prendere polvere o dietro a una bacheca di vetro per collezione. I momenti sono un po' così: anche loro hanno un loro scopo. Quelli felici, come i giocattoli, non sono proprio fatti per essere presi e messi su un blog.

O almeno, io non ne sono capace... per ora. Vedremo più in là. :-)

Ultimamente sto ascoltando molta musica jazz. Non so se la musica che ascolti possa cambiarti, ma il modo in cui sto cambiando coincide curiosamente con la musica jazz.
Normalmente, quando scrivevo altri post, per esempio anche col post prima di questo, poteva anche succedere che rimanessi dei giorni a pensare cosa scrivere, ad elaborare il concetto, prima di buttarmi sulla tastiera.
Sì, in effetti di spontaneo c'era qualcosa, ma se dovessi onestamente descrivere mediamente il contenuto del blog, direi che è tutto piuttosto elaborato.

Penso a un concetto, lo esploro, me lo rigiro, e provo a scrivere.
Bello è che, scrivendo, magari esce fuori qualcosa di nuovo e inaspettato, ma una volta chiuso l'argomento, esaurito l'interesse, mi fermo lì.
E mi sposto verso un'altra idea.

Sto notando con interesse che il mio approccio alle cose sta cambiando.
Mi sto lasciando diversi spazi vuoti, qua e là.
E mi dico: "qualcosa li riempirà". E basta.
Magari sarà il mio istinto, magari sarà una sorpresa da parte degli altri, ma è piuttosto piacevole, per come sta andando, e porta anche tante sorprese.

La cosa che mi fa impazzire del jazz è che non ci sono filtri tra la musica e il musicista, e di conseguenza anche tra il musicista e l'ascoltatore, perché non ci sono barriere tra te e la voce del musicista, che è la musica.
La musica è la voce del musicista.

Ecco, questo è ciò che più si avvicina al mio concetto di spiritualità
Qualcosa di fatto "perché andava fatto". 
Qualcosa che viene direttamente dal tuo cuore, senza nessun processo intellettuale a modificarlo.

I musicisti jazz... improvvisano. Non intellettualizzano quello che suonano. Tutto quello che fanno è prendere il loro strumento e raccontare una storia.
Questo punto è qualcosa che mi sono perso per strada negli ultimi anni.
In effetti, a parte... ehm... negli sketch di cabaret, non sono mai stato un grande improvvisatore. Mi sono sempre sentito più un architetto.
Prendo i pezzi, li metto insieme, pianifico, gli do una struttura, e costruisco qualcosa.

Sto pensando se quindi questo non possa essere il passo successivo della mia creatività.
Magari non è una strada in cui riesco poi così bene - l'atteggiamento è una cosa, l'indole un'altra! Ma è una strada che ora mi sento di esplorare con curiosità. Vediamo dove ci porta.

Come dicevo, è passato più tempo di quanto pensassi tra l'ultimo post e questo perché semplicemente prima mi sedevo con l'intenzione di scrivere ma avevo più voglia di fare altro. Di vedere persone. Di fare cose (Tutto fuorché studiare, che cosa insolita...).
Ed è strano, perché ho sempre avuto molto a cuore questo mio piccolo processo di creatività che è scrivere su un blog.

Non solo. Ho sempre ritenuto questo "scrivere sul blog" come qualcosa di molto importante per essere pienamente soddisfatto con me stesso. Avere sempre "sott'occhio" quello che mi passa per la testa, concedergli la giusta importanza, eventualmente rileggerlo, senza mai sottovalutare la più piccola pulce nell'orecchio.

Scusatemi se continuo a fare paragoni con la musica, ma... è più forte di me.
È un po' come se un musicista smettesse di fare la musica che gli piace, ma comincasse a farla quasi per attrito, perché ormai si vede che è capace, e scrive musica "per compiacere gli altri".

(La sensazione è che succeda spesso con certi artisti, tra parentesi.)

Magari la musica che scrive in questo stato gli riesce pure bene, ma è l'antitesi della spiritualità che dicevo sopra. È più intelletto che cuore. Interessante, senza dubbio, ma...

"Spiritualità" è una sensazione che ti tocca e ti connette, e come raggiunge e connette te può raggiungere e connettere anche gli altri.

Vedo l'arte un po' come una sorta di specchio.
Quando crei qualcosa (anche egoisticamente) e poi lo "pubblichi", lo rendi fruibile al mondo, quel qualcosa diventa uno specchio. Il tuo specchio: sei tu a contatto col mondo.
Se a qualcuno capiterà di guardare a quello specchio esattamente come l'hai guardato tu, ci si vedranno riflessi. Si sentiranno raggiunti anche loro.
"Toccare", "raggiungere" le persone in questo senso fa capire alle persone che non sono sole a provare un determinato sentimento.
Per questo, quando ascolto musica mi sento spesso come se perdessi la mia individualità e riuscissi con la testa e col cuore a vagare un po' nell'infinito... come parte di una più grande collettività. Ed è una sensazione bellissima, tutto l'opposto della solitudine, è una splendida pienezza.
Mi fa pensare che in fondo non siamo mai soli, quanto brutta sia o possa essere la cosa che stiamo provando.

Un po' di tempo fa ho scoperto che una persona leggeva il mio blog.
Ero stupito che quella persona leggesse in generale, prima ancora che leggesse addirittura il mio blog...
A ogni modo, doppia, piacevole sorpresa, questa persona mi ha detto di come fosse sorpresa delle cose che riuscivo a tirare fuori da me. Ha detto qualcosa tipo "Devi avere davvero la testa piena di cose"...

Ecco, questo credo che sia il bello di un processo creativo, e ciò che lo rende davvero importante: la mia testa è assolutamente vuota. Comincia a riempirsi ad un certo punto, e magari arriva anche ad essere piena di qualcosa per un po', ma appena arriva in questo stato, appena è anche solo vagamente piena, succede che scrivo, scrivo, scrivo, scrivo qualsiasi cosa, e allora si svuota del tutto.

(Tanta gente su Facebook si lagna e scrive cose come "Aiuuuuto come faccio a spegnere il cervello?" a parte che per spegnerlo doversti prima averlo acceso, cosa di cui mi dovresti quantomeno concedere il beneficio del dubbio, ma a ogni modo, usarlo per fare qualcosa di nuovo, usarlo per cominciare una sorta di creatività tutta tua, credo sia la strada.)

Quello del mio amico è un "errore" comune tra le persone che non sfruttano la loro creatività  (ovvero: le persone che non fanno nulla per essere creative. Io credo che la creatività sia qualcosa di assolutamente insito in ognuno di noi e che andrebbe solamente "allenato").

Pensare che chi "crea" sia un serbatoio inesauribile da cui ogni tanto scaturisce qualcosa di bello.

Io non sono così, nessuno lo è.

Come invece altri ben sanno, mi capita spesso di attraversare periodi stantii in cui mi sento apatico, senza stimoli, vuoto, proiettato al nulla, poco incuriosito dal mondo esterno, poco stimolato in generale a fare qualsiasi cosa.

Cado in questi periodi proprio quando non viene fuori niente da me. Quando la mia testa - vuota - non si sta riempiendo con niente di bello e/o utile, e quindi non sto "accumulando" niente da elaborare, non ho niente di bello da poter dire. Tutte le cose che mi vengono in mente sono argomenti che ho già affrontato, cose che ho già fatto, già detto, già scritto... niente di nuovo, insomma.

Il bello di quando è quando faccio cose e raccolgo stimoli nuovi, e penso: "Wow. Questo sì che è qualcosa che davvero vale la pena fermarsi un po' a pensare." E tutto questo culmina in un preciso momento: quando è il momento giusto per tirare fuori tutto.

Ho un po' paura del fatto che "più avanti si va" più sono le cose che hai detto/fatto/pensato, e quindi sarà sempre più facile cadere in questo stato un po' moscio e fiacco, ma credo anche che in fondo là fuori sia davvero pieno di stimoli, e che anche se sono stimoli "vecchi", può essere che nel frattempo siamo noi ad essere cambiati e ad essere ora attratti da altri aspetti di quegli stimoli vecchi. Ma anche il semplice "ripetersi" può diventare frustrante. Anche perché ripetendoti non avrai mai, qualitativamente parlando, gli stessi risultati che invece avevi raggiunto la prima volta, magari sotto una bella ispirazione.

A ogni modo, ho sempre pensato ad una persona come ad un pozzo senza fondo.
Il giorno che non troverai più stimoli, sarà il giorno in cui sarai "pieno".
Ma essendo per adesso convinto che noi si sia tutti "pozzi senza fondo", vado moderatamente tranquillo... :-)

Ma è questa la cosa che mi spaventa di più: arrivare, un giorno, a dirmi: "OK, qui non c'è più niente da fare. Non ho più niente da dire. Non c'è nient'altro che possa tirare fuori dal cilindro".

Ed è così che mi sento, certi momenti. Ma per fortuna, oggi sono momenti piuttosto brevi, mai durati più di qualche settimana o mese, alla peggio.

Finora, sono stato in grado di risolvere questo fastidioso stato in due modi: il primo è entrare a contatto con persone. Se sono persone nuove, meglio. Se sono persone che già conosco, allora cerco di fare con loro cose nuove. Non c'è niente che mi faccia sentire ispirato come certe persone intorno a me.

Il secondo è ascoltare.
Musica, il più delle volte.
Altrimenti, altre persone.
Libri, ma quelli meno spesso, perché ogni tanto finisco con l'essere geloso di quello che riescono a scrivere e del modo in cui gli scrittori riescono a tirare gli spunti fuori da sé.
Con tutto che se ne parla tanto, credo che oggi "l'ascolto" sia qualcosa che molti sottovalutino.

Anche i film mi danno molti spunti.
Non quelli dichiaratamente "impegnati" - spesso neanche li guardo perché li trovo pretenziosi e mi irritano - e tantomeno quelli romantici.
Sono un fan dei film di paura. Detta così è un po' banale, intendo film un pochino inquietanti, anche quelli di Bergman vanno bene, insomma. Non degli splatter, che sono comunque divertenti. Intendo quelle storie dove veramente si focalizza un sentimento che a me interessa tantissimo e che non ha mai cessato di passarmi per la testa: quello della paura della morte.
Film, oppure libri: quelli che mi affascinano di più, generalmente, sono le storie "vecchie", per l'approccio più "istintivo" nei confronti della morte.

Ci sono momenti in cui mi capita di pensare alla morte. Quando muore un personaggio famoso, il più delle volte. Meno spesso quando muore qualcuno che conosco. Per fortuna, per ora è successo pochissime volte.

Probabilmente è giusto che non ci pensi molto, dal basso della mia giovine età.

Eppure...

È un po' come guardare verso una direzione, la tua direzione, dove ci sono le cose che ti interessano ma intravedere con la coda dell'occhio una luce flebile proprio dietro di te.
Per curiosità, capita di girarsi verso la luce flebile.

Poi come niente succede che tutto ciò che si vede è appunto una flebile luce in lontananza, e allora sticavoli, torni a guardare dove guardavi prima.

Eppure...

Eppure ogni tanto capita per forza di pensarci. E penso che sia proprio questa sfuggevolezza della paura della morte, a renderla così interessante. Forse è qualcosa di sfuggente perché troppo terribile per noi da controllare.

Non credo sia un pensiero così sbagliato. A pensarci bene, tutte le religioni e tutte le filosofie trattano proprio di come prepararsi e/o tranquillizzarsi all'idea della morte. Un'idea dolorosa e senza soluzione, per noi che siamo ancora vivi.

Qualcuno mi dice che esistono altri animali consapevoli anche loro dell'idea di morte. Ma per quanto mi sia sforzato di crederci, continuo a credere che l'unico davvero in grado di capire che prima o poi si muore sia l'uomo. Non che sia qualcosa che gli altri animali ci invidiano, visto che è una specie di ombra che condiziona tutta la nostra esistenza.

Le religioni servono ad attenuare questa sofferenza e distrarci, con l'idea di una vita dopo la morte. Senza contare alcool, droga, e - sarebbe interessante discuterne - magari anche la cultura stessa.

Quello che invece succede con l'arte e che ritengo splendido, unico e meraviglioso, è che fa proprio l'opposto: è proprio quella cosa che ci ricorda della nostra mortalità. Ti fa imprimere - nella musica, in una pellicola, tra le righe - da qualche parte le tue sensazioni: se così facendo stai fermando il tempo, ti accorgi che è anche l'unico modo di fermarlo, l'unico modo di lasciare un segnale di te, in un flusso che non si ferma davvero mai.

Credo che tutto questo sia terribile e meraviglioso allo stesso tempo, ed è tutto questo che mi fa giungere alla conclusione che la vita sia un dono, un dono che vada sfruttato condividendo quanto più possibile, vivendo e cercando di crescere e far crescere con tutte le cose che abbiamo dentro, siano pensieri interessanti come sensazioni passeggere.

La vita può volare via davvero.
L'altro giorno cercavo di ricordare quando avessi fatto una certa esperienza e mi sono accorto che erano passati già sei anni. Volati!
Eh!
La vita vola via davvero, e tutto sta nel modo in cui cerchiamo/decidiamo di dare un senso ai nostri giorni.

Quando penso alla morte e penso che "c'è ancora tempo" per pensarci, in realtà poi penso a tutto questo, ed è allora con un sorriso che torno a pensarci: meglio, che ci abbia pensato a vent'anni. Farò le cose con molto più gusto. :-)

Questo post è partito con sottofondo Miles Davis, John Coltrane, Bill Evans, Thelonious Monk e Chet Baker ed è finito con Comus e Scott Walker. Ho provato a farmi guidare esclusivamente da dove sentivo il bisogno di andare.

Non so se mi è venuto bene, ma appunto, è una strada che mi divertirò a esplorare finché ne avrò gli stimoli. Vediamo da che parte si va. :-)

Gli esami sono finiti. Tante cose che volevo-fare-ma-non-potevo ora diventano possibili.
È tantissima roba. Bisogna solo fare ordine. Ma lasciando anche un po' di spazio al caso... :-)