Mi piace, il mio shampoo nuovo. Domenica mattina l'ho aperto e già così, a vederlo sulla mano, sembrava più un sughetto valdostano. Poi me lo sono anche spalmato sulla testa, ed è stato a quel punto che ho sentito l'odorino. Ma un odorino sfiziosissimo che mi ha messo l'acquolina in bocca. Non era solo un sugo, era chiaramente una qualche salsa esotica squisita, dall'odore che mi lasciava.
Uno shampoo che ti mette appetito è per forza lo shampoo migliore di sempre.
Forse mai come in questi giorni mi sono questionato su cose che peraltro consideravo ormai conquistate e archiviate da un bel po' di tempo.
Sarà l'inevitabile crisi umana ed emotiva che lavorare a soddisfazioni zero a una tesi da più di tredici mesi comporta, la secca di gratificazioni, la voglia di osare che piano piano di viene smangiucchiata da un'angoscia del futuro che prende sempre più piede, cominci a rivalutare tutto quello che hai intorno perché è l'unica soluzione per non andare fuori di testa: se non riesco in nessun modo a cambiare me stesso e la mia situazione, devo cambiare il mondo che mi circonda - se il mondo materiale intorno a me è immobile anche lui, devo passare a mettere sotto sopra il resto.
Una cosa di cui non credo di essermi mai reso veramente conto è quanto io sia introverso.
Mi ricordo di quando tanti anni fa, su un vecchissimo forum, sia finito col fare uno di quegli stupidissimi test in cui dovevi rispondere cose a caso.
Alla domanda: "Sei una persona introversa o estroversa?" mi ricordo di aver risposto "Sono un introverso estroverso". Al tempo mi pareva una risposta fighina, specie in contrasto ai soliti cupi-il-mondo-è-una-merda e alle tipiche ragazzine rosa che si definivano estroverse e amanti della vita non appena avessero chiuso lo Zanichelli per controllare cosa volesse dire "estroverse".
Credo sia stata una risposta piuttosto precisa, invece.
A me non piace stare al centro dell'attenzione. La trovo una cosa molto fastidiosa perché a volte mi costringe a snaturarmi: se c'è qualcuno che non mi sta simpatico, mi piacerebbe semplicemente avere la libertà di ignorarlo, evitare di rivolgergli la parola e lasciare che si compiaccia delle sue amenità. Invece, se ad una festa, in pizzeria o da qualsiasi altra parte, mi trovo ad aver preso un po' le redini, ecco spuntare l'irrito di turno con le sue pungenti osservazioni. E pare l'etichetta non mi consenta di poterlo mandare a mangiare ad un altro tavolo.
Chiaramente non c'è niente di sbagliato nel fatto che qualcuno dica qualcosa, come è assolutamente normale che indirizzi i suoi pensieri alla persona in vista: è la semplicità del confronto.
Di sbagliato c'è che io non credo di voler stare in vista - da sempre i miei personaggi preferiti nei libri non erano gli eroi senza macchia e senza paura, ma quelli che lavoravano dietro le quinte - però ci finisco spessissimo.
Ci finisco spessissimo per due motivi: il primo è che io ho piacere che un momento insieme riesca bene. E mi piace che in un momento insieme stiano bene TUTTI. E allora mi irritano davvero tanto quelle persone che monopolizzano l'attenzione e trasformano il "momento insieme" in un "banchetto per l'ego" in cui tutti stanno a sentire le panzane - che puntualmente diventano via via più grosse e contorte - del bellone di turno.
Trovo ci sia molta ingenuità nelle persone a cui piace tanto raccontarsi come se il proprio esempio fosse di illuminante interesse per tutti, quelli che partono in quarta e narrano delle proprie unicità, convinti di essere davvero così più speciali degli altri che ascoltano. Piuttosto, preferisco tirarmi su io e cercare di far sì che chiunque possa avere lo spazio di tirare fuori quello che potrebbe voler dire, se ne ha voglia, anche il più introverso, che pure lui ha un suo trascorso di pensieri e unicità, proprio come il bietolone chiacchierone.
Se riusciamo a far succedere una cosa del genere, io me ne vado molto, molto più sereno.
Sono sicuro che il mio amico Horace Lumacorno sarebbe contento di un calderone così colorato da ingredienti diversi, per la sua pozione della serata.
Il secondo è che, in fondo, un po' mi piace avere del feedback positivo. Naturalmente soltanto chi si mette in mostra si fa notare, e assieme ai commenti fastidiosi arrivano anche quelli piacevoli - che poi sono veramente pochi quelli che contano davvero, ma non importa quanti sono, importa quanto valgono, giusto?
Ce ne sarebbe anche un terzo, ma lo metto camuffato, fuori dall'elenco, perché, siamo onesti, non viene da me, è più una piccola imposizione.
È da un po' di tempo che sono diventato fermo seguace dell'idea che le cose interessanti abbiano luogo al di fuori della propria "comfort zone". E quindi se vuoi veramente uscire dalla quotidianità, far succedere cose fuori dagli schemi, per te inaspettate, fare esperienza di cose che fino a questo punto hai mancato, da fare c'è intraprendere strade fino al momento non percorse - e se fin qui non le hai ancora percorse è chiaramente perché non sono le tue preferite.
Quindi finisce che mi butto sotto gli occhi di tutti, a presentare le serate su un palco, e poi quando torno qui ritrovo le stesse, identiche debolezze di prima. Mi ritrovo sempre con una fottuta paura degli altri, che mi stiano prendendo in giro, che stiano tramando alle mie spalle, che non siano sinceri con me.
In questo momento non mi vengono in mente molte cose che mi spaventino di più di questa: per quanto vero, bello, sincero e assolutamente puro possa essere un tuo sentimento, se all'altra persona non frega niente… non frega niente.
Potresti prendere tutti gli aerei, tutti i treni, tutte le coincidenze del mondo per una persona, fare tutti i sacrifici per lei, da quelli più alla portata a quelli più difficili, ma se per quella non significhi granché, continuerai a non significare granché, perché il pulsante per accendere la scintilla è da un'altra parte, non raggiungibile, e non dipende da te. Con gli sforzi non gli cambierai nulla di una virgola, come per lei, con tutta la buona volontà, non è soltanto il "mettercisi", lo "starti a sentire" che cambia certi sentimenti.
E la cosa che peggiora ancora di più tutto questo è quando finalmente lasci da parte i banali pensieri da adolescente frustrato e capisci che è assolutamente valido anche l'opposto: ci sono persone disposte a fare tutto per te, e tu in questo stesso momento le stai snobbando semplicemente perché "non ti piacciono abbastanza" o "non hai voglia".
Lo trovo profondamente ingiusto, come trovo profondamente ingiusto qualsiasi cosa che si risolva con una scrollata di spalle perché "è così e basta".
"È così e basta" è la mediocrità, e non ci si accontenta della mediocrità.
Anche se adesso ci sto marcendo dentro, non vedo l'ora di uscirne. Non vedo l'ora di poter di nuovo far leva sui miei punti forti e tirare fuori quello che ho dentro - tirare fuori quello che ho dentro e non poter più fare a meno della sensazione di poter avere successo facendo a modo mio.
Forse questi pensieri non sono molto di più che semplici figli delle tipiche situazioni in cui sei bloccato, non puoi andare avanti e non puoi andare indietro. Io non racconto a nessuno le cose veramente importanti di me perché sono troppo vicine a dove è seppellito il mio tesoro nascosto. E sono convinto che nel momento in cui mi aprirò, sarò fottuto. Non appena sceglierò la persona a cui dire tutto, non avrò più armi segrete, non avrò più Stanze delle Necessità dove rifugiarmi nei momenti meno belli, luoghi in cui scendere al di là di tutte le maschere e di tutti i nomi, dove poter trovare la forza di risalire. Quei luoghi non saranno più la mia Bat-Caverna, perché qualcuno ormai ci avrà messo piede, e potrà svelare a tutti che Batman sono io.
Sempre stato il mio supereroe preferito, Batman, già da quando andavo all'asilo e mi sistemavo la giacca perché sembrasse un bel mantellone.
"Io ti posso dire una cosa. Io sono convinto che ognuno di noi, qua, se racconta una storia, la sua, se scrive il primo libro della sua vita, è un capolavoro. Bisogna avere solo il coraggio di farlo. Di raccontarlo. Tutto qua, tutto qua. Non ci sono poeti… il poeta non è un mestiere, cazzo, è uno stato d'animo. E insomma, le cose nascono per osservazione, per una frase, per una lettura, perché tutto ci arriva dai segnali, le cose che veramente ci suonano la fantasia… sono i gesti, sono gli odori, è una sola parola, è… un giro d'occhi, un passaggio di treno, avete presente… ecco, per esempio, i treni nella notte, quando passano uno vicino all'altro. Quel momento lì. È incredibile, è impensabile, eppure succede. E là dentro, in quell'esplosione di un attimo, succedono un sacco di cose. Poche chiacchiere. Questo è."
(Francesco Di Giacomo)
Che strana che è l'Arte.
Ma quanto è più strano il rapporto con un Artista.
Ci riempiamo e ci arricchiamo dei suoi sentimento più vivaci, dei suoi pensieri più profondi, siamo grati di tutti quei brividi e del lasciarci cullare dalla sua sensibilità… e non possiamo ridargli indietro niente.
È davvero strano, il rapporto con un Artista.
Specie uno di quelli che ti portavi dietro da quando avevi 16 anni. E che, diciamocelo, era un pochino il tuo preferito.
Mi si accavallano troppi pensieri, troppe sensazioni, troppi aneddoti, troppi racconti, troppi lamenti… ma non esce niente. Non so cosa dire, non riesco a credere a nulla. Grazie Francesco, mi mancherai tantissimo.
Io tra l'altro non so mai quando parlare dei miei problemi.
Quando sono triste, sono troppo triste per parlarne. E poi finirei a fare sempre il drammatico e il pessimista e il catastrofista ecc, ecc.
Quando sono felice, sono troppo felice per parlarne. E poi finirei col sottovalutare, col guastarmi l'umore e con l'incavolarmi con la persona con cui sto parlando perché sto perdendo tempo a non fare cose belle.
Insomma, finisce che uno ci mette vent'anni a imparare a essere felice, e poi scopri scrivendo sul blog a caso che i motivi per cui non parli dei problemi quando sei felice sono più stupidi di Roger Rabbit.
Sto attraversando di nuovo un periodo oniricamente molto significativo. Tutte le mattine ricordo vividamente i sogni che ho avuto, ma stanotte ne ho avuto uno veramente strano…
Sono in camera mia ad ascoltare "The Freewheelin' Bob Dylan" seguendo passo passo i testi su un libretto (una cosa che dovreste fare tutti, tra parentesi, il premio Nobel per la letteratura dovrebbero averlo dato a lui già da qualche anno), e mia sorella mi chiama per andare in camera sua, perché per strada ha trovato un gattino. È un gattino grigio-bianco a strisce grigie scure, veramente piccolo, è poco più di un cucciolo, tanto che mi si piazza sul piede (sono senza calze e in ciabatte) e si lascia dondolare. Ci spupazziamo con parecchio entusiasmo questo gattino, che si diverte molto a stare sul mio piede sinistro a farsi cullare.
Ad un certo punto noto che però il gattino, fino a quel momento molto vivace, si agita di meno, è come se si fosse addormentato. Allora guardiamo meglio e notiamo che in realtà adesso dall'occhio sinistro gli è uscita una poltiglia sanguinolenta. Questa fase è un po' confusa: ci preoccupiamo tantissimo, ci rigiriamo tra le mani questo gattino per capire meglio cosa gli sia successo, fino a che la poltiglia gli esce completamente dall'occhio, e a quel punto mi cade l'occhio (ahah) su quello che dovrebbe essere ormai il suo incavo vuoto del cranio: solo che dentro non c'è veramente più niente, è tutto vuoto e sottile come quella parte della capoccina del gattino fosse una maschera.
Siamo preoccupatissimi, io in particolare soffro molto e non riesco a darmi pace perché penso che sia colpa mia (in fondo stavo cullando io il gattino sul mio piede), e mia sorella prende in mano la situazione raccogliendo il gattino e portandolo da un veterinario, per quanto mi accorga in quel momento che è notte fonda e ho paura che non troveremo nessuno.
Io rimango in camera di mia sorella come paralizzato, e in quel momento in un angolo della stanza noto un piccolo acquario, che non avevo mai visto prima. È un piccolo acquario rettangolare, e l'acqua dentro non mi sembra affatto pulita, anzi è opaca. Dentro l'acquario, sul fondo, riesco a intravedere un mini-labirinto per i pesci.
A proposito dei pesci, ce n'è uno in particolare che attira la mia attenzione, in un angolo. È di dimensioni molto piccole, non è più grande di un paio di falangi del mio mignolo, ma ha qualcosa di strano: non ha i soliti occhi vacui e vuoti dei pesci, bensì è come se avesse i lineamenti del muso… disegnati. Ha un'ampia bocca sorridente, e gli occhi sono grandi, tondi e neri, come colorati con una sorta di approssimazione. Non fatti male, semplicemente riempiti con pochi tratti di matita nera.
Sento che c'è qualcosa di strano e particolare in quel pesce, così unisco le mani, le immergo nell'acquario sporco e cerco così di prenderlo per tirarlo fuori dall'acqua. Solo che il pesce non rimane mai a nuotare nella poca acqua che ho tra le mani unite, ma galleggia sempre sul pelo dell'acqua, come se ci fosse una reazione magnetica tra le mie mani e lui.
A questo punto c'è una fase che io ricordo come lunga e difficile in cui continuamente cerco di svuotarmi piano piano le mani dell'acqua sporca, per riuscire ad avere finalmente tra le mani questo pesce e vederlo bene. La cosa è particolarmente complessa perché per questa sorta di reazione magnetica tra le mie mani e il pesce, se inclino troppo le mani, o se lui nuota troppo verso i bordi della piccola pozza che si è formata tra le mie mani, allora ecco che finisce col volare fuori e ricadere nell'acquario. Insomma, è tutto un gioco di equilibri.
Alla fine riesco a svuotare completamente le mani, e non appena il pesce tocca il palmo, si trasforma. Mantiene le stesse dimensioni, ma diventa un piccolo alieno verde, un po' come quelli giocattolo di Toy Story. L'alieno mi fa i complimenti (o mi ringrazia, non ricordo bene) per averlo liberato, dice che da quel momento farà qualcosa di buono per me, quindi si tramuta ancora, e diventa una miniatura (stavolta inanimata) dell'omino di pan di zenzero di Shrek, solo che ha la faccia cattiva e aggressiva.
Non ho la minima idea di che cosa voglia poter dire.
Non ricordo se l'ho già detto, ma sono sempre più dell'idea che se nella mia vita ci fossero stati più lenti - e mi riferisco ai balli, non a quelle di Sherlock Holmes - sarei una persona molto molto più piena.
A volte basta sapere di essere in due, per sistemare un problema.
Basta sapere che non devi fare tutto tu, che qualcosa puoi anche fartelo scappare o lasciarlo da una parte.
Capito? A volte basta saperlo... e si risolve tutto.
Fìdati di te come delle persone in cui riponi fiducia e che ritieni speciali, forti, superiori. Sfìdati ogni volta che v/puoi.
Perché fare una doccia calda quando puoi farne una ghiacciata? Pensaci, la prossima volta che metti mano alla manovella della tua doccia. Se viri sull'acqua calda, non sei cambiato molto rispetto a ieri. Se viri su freddo, invece...
Pensa a com'eri ieri. Pensa a com'eri diverso. Se non sei ancora diverso, fai qualcosa per renderti diverso. Primo passo: esci e sdraiati per strada. Ma in un posto dove passa molta gente. Finché ti provoca fastidio, continua a farlo.
Quando ti senti abbastanza ok, passa al punto successivo.
Ma devi cambiare. Devi sfidarti di continuo.
Perché sei convinto che questo ti stressi. In realtà non stressa te: stressa solo le tue abitudini e le tue medie aspettative quotidiane. Ma in realtà non sei diverso da uno che se ne sta chiuso in casa tutto il giorno: solo che sei chiuso nella tua testa.
Mi pare chiaro che si sta meglio fuori, che dentro. Giusto?
È normale anche se guardi un pompatissimo palestrato.
Tu lo vedi che solleva pesi da 100 KG e dici "vabbè, ma io sono più intelligente".
Intanto quello lì arriva a sollevare 100 KG, e stai sicuro che non ha cominciato da 90 KG, è partito da molto più in basso, e magari gli pesava (ahah) anche, allenarsi così.
Sai cosa? Una volta che l'hai fatto, una volta che ti sei sfidato, capisci che in fondo non era così male. Sì, ti ha dato un po' fastidio, però pensavi peggio.
E via via sarà sempre meglio. E più facile.
Quando uno vuole cambiare, pensa sempre alla bellezza di arrivare alla fine del percorso, pensa sempre a com'è bello una volta che la strada è in discesa, ma ha sempre paura di cominciare. Eppure... sulla carta, l'inizio del percorso, la sua metà e la fine sono assolutamente identici. Semplici fasi. Sei tu a dargli colore, e a dargli i timori. Ma se hai fiducia nella metà e nella fine, beh, sappi che l'inizio non è assolutamente diverso e comincia adesso piuttosto che domani.
La cosa bella del rimboccarsi le maniche è che puoi farlo davvero in qualunque istante. Quindi: adesso vai dal tuo vicino e bacialo. Quindi: adesso vai in metro e urla "YUHUUUUUUU!!!". Quindi: adesso entra nel primo negozio che ti capita e mettiti dietro al bancone a servire la gente (anche se non ci lavori davvero). Quindi: lo so che è un luogo comune quello di migliorarsi giorno per giorno, affrontare le proprie paure, e cose così.
Però chiediti se lo stai facendo.
Fai una lista.
Io ho sempre odiato le liste perché credevo fossero restrittive.
Qualche volta lo sono, e spesso è difficile farle: ma sono dannatamente schiette e dirette.
Non puoi scappare da una lista. Tira fuori quello che ti fa paura e scrivilo.
Poi non è che le liste debbano sempre essere fatte su cose sgradevoli! Una volta che ti sembra di stare trattenendo belle sensazioni, fai una lista su come pensi di poterle conservare.
Perciò ecco il nuovo motto: fìdati e sfìdati.