mercoledì 29 febbraio 2012

Spazio al caso... (Ispirazione Pt. 2?)

È passato diverso tempo dall'ultimo post, per quanto avessi deciso di riscrivere qualcosa quasi subito.
Tra l'altro, proprio un mesetto e mezzo fa, una forte convinzione che mi ero messo in testa era quella di scrivere qualcosa di divertente o ironico su questo blog. Mi sono riletto qualche post vecchio, e sì, ok, è roba che mi piace, ma mancava quel brio... quel brio che peraltro sento davvero "mio", specie quando vado in giro, in macchina, a piedi, per la Metro.

Ecco, tante volte ho pensato che dovrei decisamente portarmi un taccuino per scrivermi tutte le cose esilaranti che mi viene da lanciare a quegli antipatici che spintonano in metro, quelli che ti superano e poi vanno a due km/h, e tutte le altre varie personalità che ti irritano. In quei momenti mi sento davvero in gran vena poetica... delle volte mi faccio anche ridere da solo :P per le cose che dico.

Poi mi piazzo qua, davanti al computer... e quelle cose divertenti non vengono fuori.
Non so chi sia Luigi Tenco (potrei googlare ma non lo faccio), ma qualche giorno fa, su Facebook, è uscito un suo aforisma:
"Perché scrivi solo cose tristi?"
"Perché quando sono felice, esco."
Il che non è molto dissimile da quello che succede a me qui sul blog. Io non credo di scrivere cose tristi - non solo e non sempre, almeno - ma è vero che quando va tutto bene, è molto più bello farsi una passeggiata fuori e respirare aria fresca, piuttosto che chiudersi in casa a scrivere. No?

Certo, peccato che così facendo si perde quell'attimo di "ispirazione", che in realtà andrebbe assolutamente colta, istantaneizzata, messa per iscritto. Ma forse non è così male, perché quel momento di felicità "lo vivi lo stesso", e lo vivi nel modo più giusto: usandolo per stare bene.
È così che bisognerebbe usare i momenti felici: per stare bene. Facendo cose belle.

I momenti riflessivi, invece, sono quelli che puoi spendere appunto chiudendoti da una parte, magari facendo un po' d'atmosfera con le serrande abbassate e la musica giusta, e scrivere.

Insomma, avete visto Toy Story, no?

- Se avete detto "", continuate a leggere.
- Se avete detto "no", che cavolo aspettate!??!?! È tipo uno dei miei film preferiti...

I giocattoli "servono" a giocarci, non a tenerli su uno scaffale a prendere polvere o dietro a una bacheca di vetro per collezione. I momenti sono un po' così: anche loro hanno un loro scopo. Quelli felici, come i giocattoli, non sono proprio fatti per essere presi e messi su un blog.

O almeno, io non ne sono capace... per ora. Vedremo più in là. :-)

Ultimamente sto ascoltando molta musica jazz. Non so se la musica che ascolti possa cambiarti, ma il modo in cui sto cambiando coincide curiosamente con la musica jazz.
Normalmente, quando scrivevo altri post, per esempio anche col post prima di questo, poteva anche succedere che rimanessi dei giorni a pensare cosa scrivere, ad elaborare il concetto, prima di buttarmi sulla tastiera.
Sì, in effetti di spontaneo c'era qualcosa, ma se dovessi onestamente descrivere mediamente il contenuto del blog, direi che è tutto piuttosto elaborato.

Penso a un concetto, lo esploro, me lo rigiro, e provo a scrivere.
Bello è che, scrivendo, magari esce fuori qualcosa di nuovo e inaspettato, ma una volta chiuso l'argomento, esaurito l'interesse, mi fermo lì.
E mi sposto verso un'altra idea.

Sto notando con interesse che il mio approccio alle cose sta cambiando.
Mi sto lasciando diversi spazi vuoti, qua e là.
E mi dico: "qualcosa li riempirà". E basta.
Magari sarà il mio istinto, magari sarà una sorpresa da parte degli altri, ma è piuttosto piacevole, per come sta andando, e porta anche tante sorprese.

La cosa che mi fa impazzire del jazz è che non ci sono filtri tra la musica e il musicista, e di conseguenza anche tra il musicista e l'ascoltatore, perché non ci sono barriere tra te e la voce del musicista, che è la musica.
La musica è la voce del musicista.

Ecco, questo è ciò che più si avvicina al mio concetto di spiritualità
Qualcosa di fatto "perché andava fatto". 
Qualcosa che viene direttamente dal tuo cuore, senza nessun processo intellettuale a modificarlo.

I musicisti jazz... improvvisano. Non intellettualizzano quello che suonano. Tutto quello che fanno è prendere il loro strumento e raccontare una storia.
Questo punto è qualcosa che mi sono perso per strada negli ultimi anni.
In effetti, a parte... ehm... negli sketch di cabaret, non sono mai stato un grande improvvisatore. Mi sono sempre sentito più un architetto.
Prendo i pezzi, li metto insieme, pianifico, gli do una struttura, e costruisco qualcosa.

Sto pensando se quindi questo non possa essere il passo successivo della mia creatività.
Magari non è una strada in cui riesco poi così bene - l'atteggiamento è una cosa, l'indole un'altra! Ma è una strada che ora mi sento di esplorare con curiosità. Vediamo dove ci porta.

Come dicevo, è passato più tempo di quanto pensassi tra l'ultimo post e questo perché semplicemente prima mi sedevo con l'intenzione di scrivere ma avevo più voglia di fare altro. Di vedere persone. Di fare cose (Tutto fuorché studiare, che cosa insolita...).
Ed è strano, perché ho sempre avuto molto a cuore questo mio piccolo processo di creatività che è scrivere su un blog.

Non solo. Ho sempre ritenuto questo "scrivere sul blog" come qualcosa di molto importante per essere pienamente soddisfatto con me stesso. Avere sempre "sott'occhio" quello che mi passa per la testa, concedergli la giusta importanza, eventualmente rileggerlo, senza mai sottovalutare la più piccola pulce nell'orecchio.

Scusatemi se continuo a fare paragoni con la musica, ma... è più forte di me.
È un po' come se un musicista smettesse di fare la musica che gli piace, ma comincasse a farla quasi per attrito, perché ormai si vede che è capace, e scrive musica "per compiacere gli altri".

(La sensazione è che succeda spesso con certi artisti, tra parentesi.)

Magari la musica che scrive in questo stato gli riesce pure bene, ma è l'antitesi della spiritualità che dicevo sopra. È più intelletto che cuore. Interessante, senza dubbio, ma...

"Spiritualità" è una sensazione che ti tocca e ti connette, e come raggiunge e connette te può raggiungere e connettere anche gli altri.

Vedo l'arte un po' come una sorta di specchio.
Quando crei qualcosa (anche egoisticamente) e poi lo "pubblichi", lo rendi fruibile al mondo, quel qualcosa diventa uno specchio. Il tuo specchio: sei tu a contatto col mondo.
Se a qualcuno capiterà di guardare a quello specchio esattamente come l'hai guardato tu, ci si vedranno riflessi. Si sentiranno raggiunti anche loro.
"Toccare", "raggiungere" le persone in questo senso fa capire alle persone che non sono sole a provare un determinato sentimento.
Per questo, quando ascolto musica mi sento spesso come se perdessi la mia individualità e riuscissi con la testa e col cuore a vagare un po' nell'infinito... come parte di una più grande collettività. Ed è una sensazione bellissima, tutto l'opposto della solitudine, è una splendida pienezza.
Mi fa pensare che in fondo non siamo mai soli, quanto brutta sia o possa essere la cosa che stiamo provando.

Un po' di tempo fa ho scoperto che una persona leggeva il mio blog.
Ero stupito che quella persona leggesse in generale, prima ancora che leggesse addirittura il mio blog...
A ogni modo, doppia, piacevole sorpresa, questa persona mi ha detto di come fosse sorpresa delle cose che riuscivo a tirare fuori da me. Ha detto qualcosa tipo "Devi avere davvero la testa piena di cose"...

Ecco, questo credo che sia il bello di un processo creativo, e ciò che lo rende davvero importante: la mia testa è assolutamente vuota. Comincia a riempirsi ad un certo punto, e magari arriva anche ad essere piena di qualcosa per un po', ma appena arriva in questo stato, appena è anche solo vagamente piena, succede che scrivo, scrivo, scrivo, scrivo qualsiasi cosa, e allora si svuota del tutto.

(Tanta gente su Facebook si lagna e scrive cose come "Aiuuuuto come faccio a spegnere il cervello?" a parte che per spegnerlo doversti prima averlo acceso, cosa di cui mi dovresti quantomeno concedere il beneficio del dubbio, ma a ogni modo, usarlo per fare qualcosa di nuovo, usarlo per cominciare una sorta di creatività tutta tua, credo sia la strada.)

Quello del mio amico è un "errore" comune tra le persone che non sfruttano la loro creatività  (ovvero: le persone che non fanno nulla per essere creative. Io credo che la creatività sia qualcosa di assolutamente insito in ognuno di noi e che andrebbe solamente "allenato").

Pensare che chi "crea" sia un serbatoio inesauribile da cui ogni tanto scaturisce qualcosa di bello.

Io non sono così, nessuno lo è.

Come invece altri ben sanno, mi capita spesso di attraversare periodi stantii in cui mi sento apatico, senza stimoli, vuoto, proiettato al nulla, poco incuriosito dal mondo esterno, poco stimolato in generale a fare qualsiasi cosa.

Cado in questi periodi proprio quando non viene fuori niente da me. Quando la mia testa - vuota - non si sta riempiendo con niente di bello e/o utile, e quindi non sto "accumulando" niente da elaborare, non ho niente di bello da poter dire. Tutte le cose che mi vengono in mente sono argomenti che ho già affrontato, cose che ho già fatto, già detto, già scritto... niente di nuovo, insomma.

Il bello di quando è quando faccio cose e raccolgo stimoli nuovi, e penso: "Wow. Questo sì che è qualcosa che davvero vale la pena fermarsi un po' a pensare." E tutto questo culmina in un preciso momento: quando è il momento giusto per tirare fuori tutto.

Ho un po' paura del fatto che "più avanti si va" più sono le cose che hai detto/fatto/pensato, e quindi sarà sempre più facile cadere in questo stato un po' moscio e fiacco, ma credo anche che in fondo là fuori sia davvero pieno di stimoli, e che anche se sono stimoli "vecchi", può essere che nel frattempo siamo noi ad essere cambiati e ad essere ora attratti da altri aspetti di quegli stimoli vecchi. Ma anche il semplice "ripetersi" può diventare frustrante. Anche perché ripetendoti non avrai mai, qualitativamente parlando, gli stessi risultati che invece avevi raggiunto la prima volta, magari sotto una bella ispirazione.

A ogni modo, ho sempre pensato ad una persona come ad un pozzo senza fondo.
Il giorno che non troverai più stimoli, sarà il giorno in cui sarai "pieno".
Ma essendo per adesso convinto che noi si sia tutti "pozzi senza fondo", vado moderatamente tranquillo... :-)

Ma è questa la cosa che mi spaventa di più: arrivare, un giorno, a dirmi: "OK, qui non c'è più niente da fare. Non ho più niente da dire. Non c'è nient'altro che possa tirare fuori dal cilindro".

Ed è così che mi sento, certi momenti. Ma per fortuna, oggi sono momenti piuttosto brevi, mai durati più di qualche settimana o mese, alla peggio.

Finora, sono stato in grado di risolvere questo fastidioso stato in due modi: il primo è entrare a contatto con persone. Se sono persone nuove, meglio. Se sono persone che già conosco, allora cerco di fare con loro cose nuove. Non c'è niente che mi faccia sentire ispirato come certe persone intorno a me.

Il secondo è ascoltare.
Musica, il più delle volte.
Altrimenti, altre persone.
Libri, ma quelli meno spesso, perché ogni tanto finisco con l'essere geloso di quello che riescono a scrivere e del modo in cui gli scrittori riescono a tirare gli spunti fuori da sé.
Con tutto che se ne parla tanto, credo che oggi "l'ascolto" sia qualcosa che molti sottovalutino.

Anche i film mi danno molti spunti.
Non quelli dichiaratamente "impegnati" - spesso neanche li guardo perché li trovo pretenziosi e mi irritano - e tantomeno quelli romantici.
Sono un fan dei film di paura. Detta così è un po' banale, intendo film un pochino inquietanti, anche quelli di Bergman vanno bene, insomma. Non degli splatter, che sono comunque divertenti. Intendo quelle storie dove veramente si focalizza un sentimento che a me interessa tantissimo e che non ha mai cessato di passarmi per la testa: quello della paura della morte.
Film, oppure libri: quelli che mi affascinano di più, generalmente, sono le storie "vecchie", per l'approccio più "istintivo" nei confronti della morte.

Ci sono momenti in cui mi capita di pensare alla morte. Quando muore un personaggio famoso, il più delle volte. Meno spesso quando muore qualcuno che conosco. Per fortuna, per ora è successo pochissime volte.

Probabilmente è giusto che non ci pensi molto, dal basso della mia giovine età.

Eppure...

È un po' come guardare verso una direzione, la tua direzione, dove ci sono le cose che ti interessano ma intravedere con la coda dell'occhio una luce flebile proprio dietro di te.
Per curiosità, capita di girarsi verso la luce flebile.

Poi come niente succede che tutto ciò che si vede è appunto una flebile luce in lontananza, e allora sticavoli, torni a guardare dove guardavi prima.

Eppure...

Eppure ogni tanto capita per forza di pensarci. E penso che sia proprio questa sfuggevolezza della paura della morte, a renderla così interessante. Forse è qualcosa di sfuggente perché troppo terribile per noi da controllare.

Non credo sia un pensiero così sbagliato. A pensarci bene, tutte le religioni e tutte le filosofie trattano proprio di come prepararsi e/o tranquillizzarsi all'idea della morte. Un'idea dolorosa e senza soluzione, per noi che siamo ancora vivi.

Qualcuno mi dice che esistono altri animali consapevoli anche loro dell'idea di morte. Ma per quanto mi sia sforzato di crederci, continuo a credere che l'unico davvero in grado di capire che prima o poi si muore sia l'uomo. Non che sia qualcosa che gli altri animali ci invidiano, visto che è una specie di ombra che condiziona tutta la nostra esistenza.

Le religioni servono ad attenuare questa sofferenza e distrarci, con l'idea di una vita dopo la morte. Senza contare alcool, droga, e - sarebbe interessante discuterne - magari anche la cultura stessa.

Quello che invece succede con l'arte e che ritengo splendido, unico e meraviglioso, è che fa proprio l'opposto: è proprio quella cosa che ci ricorda della nostra mortalità. Ti fa imprimere - nella musica, in una pellicola, tra le righe - da qualche parte le tue sensazioni: se così facendo stai fermando il tempo, ti accorgi che è anche l'unico modo di fermarlo, l'unico modo di lasciare un segnale di te, in un flusso che non si ferma davvero mai.

Credo che tutto questo sia terribile e meraviglioso allo stesso tempo, ed è tutto questo che mi fa giungere alla conclusione che la vita sia un dono, un dono che vada sfruttato condividendo quanto più possibile, vivendo e cercando di crescere e far crescere con tutte le cose che abbiamo dentro, siano pensieri interessanti come sensazioni passeggere.

La vita può volare via davvero.
L'altro giorno cercavo di ricordare quando avessi fatto una certa esperienza e mi sono accorto che erano passati già sei anni. Volati!
Eh!
La vita vola via davvero, e tutto sta nel modo in cui cerchiamo/decidiamo di dare un senso ai nostri giorni.

Quando penso alla morte e penso che "c'è ancora tempo" per pensarci, in realtà poi penso a tutto questo, ed è allora con un sorriso che torno a pensarci: meglio, che ci abbia pensato a vent'anni. Farò le cose con molto più gusto. :-)

Questo post è partito con sottofondo Miles Davis, John Coltrane, Bill Evans, Thelonious Monk e Chet Baker ed è finito con Comus e Scott Walker. Ho provato a farmi guidare esclusivamente da dove sentivo il bisogno di andare.

Non so se mi è venuto bene, ma appunto, è una strada che mi divertirò a esplorare finché ne avrò gli stimoli. Vediamo da che parte si va. :-)

Gli esami sono finiti. Tante cose che volevo-fare-ma-non-potevo ora diventano possibili.
È tantissima roba. Bisogna solo fare ordine. Ma lasciando anche un po' di spazio al caso... :-)

martedì 10 gennaio 2012

Ti ricordi?

Credo di poter dire di avere un'ottima memoria per i particolari.
I dettagli, quelle piccole cose che rendono più autentico quello che ti circonda.
All'inizio, per la verità, credevo fosse una cosa assolutamente comune. Capita, di ritrovarsi intorno a un tavolo di un pub, con un po' di birra, a ricordarsi e ridere di cose passate con qualcuno. In quei momenti è bello quando riesci a tirare fuori un ricordo che gli altri avevano rimosso. Aiuta a ridere con naturalezza, di gusto, e a costruire ancora di più un'atmosfera allegra - questo al 50% con la birra.

Però, insomma, per una cosa divertente che tu ricordi e gli altri no, ce n'è allo stesso modo un'altra divertente che gli altri ricordano e che tu hai dimenticato. Perciò non ho mai dato troppo peso a questo mio modo di ricordare.
Come tante altre cose, probabilmente non ci avrei ancora fatto caso se non fossero stati gli altri a farmi notare come fossero sorpresi dalle cose che ricordavo - e dal modo in cui le ricordavo. Si vede che per la verità dentro di me qualcosa covavo, perché questo non è stato altro che un piccolo spunto/trampolino verso altre riflessioni.

In effetti è vero, mi ricordo di molte cose. Specialmente quando si tratta di eventi...
Termine un po' vago. Con "eventi" intendo solo cercare di riassumere in una parola tutti quegli avvenimenti che, per motivi che non saprei spiegare, mi colpiscono, invece di scivolarmi sulla pelle. Trovano un'apertura e si annidano dentro di me, in attesa di essere magari ripescati, o soltanto per starsene un po' al calduccio.

Ecco, una cosa che non capita mai di dire agli amici quando sei intorno a un tavolo a mettere in comune ricordi e bere birra, è che non mi limito a "vedere" nella mia testa questi eventi. Il più delle volte riesco ad avere anche una memoria uditiva e olfattiva. Ricordo bene i suoni e - questa è una particolarità che sono riuscito davvero ad apprezzare solo da poco - gli odori.

Chissà perché gli odori, poi?
Magari adesso sono particolarmente esaltato con 'sta cosa soltanto perché è l'ultima che ho notato, eh, però stavo pensando... Internet e la TV ci bombardano di immagini e musica.
Vediamo ovunque, in riviste di viaggi, in pubblicità, su youtube o su qualche telefilm famoso, posti meravigliosi, maree che si ritirano, montagne innevate, foreste ammantate di bruma al mattino.
E magari assieme a queste immagini riescono anche a farci sentire il suono delle onde, il silenzio ovattato della neve fresca che si accumula, o il suono del vento tra le foglie.
Quasi ci riescono, a farci pensare di essere davvero lì: se non che manca proprio l'odore.
Quello non sono ancora riusciti a riprodurlo del tutto, per fortuna.
Ecco, l'odore forse è davvero l'essenza più vera e fisica dei corpi.

Ora, a parte che io non ho mai comprato un profumo in vita mia, perché non me n'è mai fregata una mazza e forse dopo queste riflessioni invece è il caso di considerare l'idea, ho scoperto che gran parte dell'emozione che provo quando vedo vecchie foto non è affatto dovuta alle immagini.
Forse anch'io sono stato in parte anestetizzato da questo bombardamento della società moderna, chissà.
Però le foto assumono davvero tutto un altro significato, quando, grazie ai soggetti ritratti, riesco anche a ricordarmi meglio dell'odore che c'era in quel posto.

Se penso al mare, sono contento. Impazzisco se percepisco la salsedine nei polmoni.
E così via, potrei andare avanti con tanti altri esempi.

Magari è una cosa che funziona così per tutti, però l'ho effettivamente notata solo da poco, e allora niente, sono carico!

Uno degli utilizzi più belli e soddisfacenti che riesco a fare di questa intensità nel ricordare è venuta fuori quando ho cominciato ad andare ai concerti. E non solo perché ricordo a memoria la scaletta alla fine, eh eh.
Inutile che cerchi di spiegarlo qui, c'è una magia speciale nell'andare a un concerto, e non è solo la gioia di vedere a pochi passi da te un musicista che ti piace, c'è tanto di più dietro, c'è un suono più vero, c'è quasi una sorta di comunione con quelle note da cui ti sei fatto felicemente e deliberatamente consumare. E per me, che ho un rapporto fisico e viscerale con la musica, andare a un concerto è quasi una sublimazione... è eccezionale, mi riempie di felicità! (... o forse proprio perché ho questo rapporto con la musica, che finisco con il viverla così? Boh, chissene frega)

Vi avevo anticipato che negli ultimi mesi mi stesse succedendo qualcosa che mi stesse cambiando profondamente. Succede un po' a tutti di dover ogni tanto rivedere le proprie priorità, e niente, in questa mia revisione interiore ad un certo punto mi sono trovato con la scrittura da una parte e la musica dall'altra.

Un po' come avere un kinder pinguì nella mano destra e un kinder fetta al latte nella mano sinistra. OK, sono strabuoni tutti e due e prima o poi tutti, nell'arco di due minuti, entrambi saranno spariti.

 Ma qual è il più buono? Quale mangio prima? Decido davvero di mangiare prima il più buono, o il più buono è quello che lascio per ultimo?

Mi sono sempre detto che, appunto, questa era una semplice questione di priorità.
"L'oggettività" non esiste, non c'è un criterio obiettivo attraverso cui tu possa dire che "il kinder pinguì è più buono del kinder fetta al latte": andrai semplicemente a saziare il bisogno che meglio si sposa con le tue necessità in quel momento. Sono buoni tutti e due, ma a volte avrai più voglia del kinder pinguì, e altre più del kinder fetta al latte.

Il che porta anche ad un altro ragionamento: non ha poi molto senso avere delle "cose preferite". Perché la cosa in sé non ci dice poi più di tanto, a parte "cioccolata-latte". Il fatto è che noi arriviamo a dover compiere delle scelte in certi momenti, e i momenti hanno una loro storia e delle loro circostanze: la fusione di tutti questi fattori ci porta a compiere una scelta che noi, in quel momento, preferiamo.

Ieri mi sono ammazzato di 4 kinder fetta al latte, perciò oggi mi ammazzo di kinder pinguì.

Ehm, a ogni modo, non era di questo che volevo parlare (intendo, di merendine kinder).
Scrivere o musica? È davvero una questione di priorità?
In un post di cui vado molto fiero di Dicembre 2010 ("Ispirazione") ho scritto di come la musica mi faccia impazzire: ma non era il mio modo di esprimere creatività. Per quanto adori la musica, il modo in cui riesco a tirare fuori qualcosa da me è la scrittura.



E allora, basta girarci attorno!, è più bello scrivere o ascoltare musica?

Beh, a oggi, penso che il ragionamento è sbagliato, fin dal punto di partenza.
Ecco come stanno invece le cose.
Ascolto musica per lo stesso identico motivo per cui mi metto davanti a una pagina bianca a scrivere.
E il motivo è connettersi a qualcosa di più profondo, qualcosa di più grande di un semplice me stesso, di un semplice ego.
La musica ha una maniera tutta sua di comunicare, di abbattere le barriere dei linguaggi, delle culture, della politica, delle religioni... tutte cose che noi abbiamo creato e che ci tengono a distanza gli uni dagli altri.
La musica ti spinge giù nel profondo, ma senza farti annegare: solo a farti scoprire limiti e libertà di te stesso, cose di cui neppure eri a conoscenza e di cui chissà quando saresti arrivato a sapere altrimenti.
La musica è ricevere a ogni momento dell'ascolto l'opportunità di imparare lezioni preziose e cogliere messaggi importanti, di curarsi e prendersi cura di sé stessi.

È anche per questo che quando ascolto musica parlo di "esercitarmi" e di "esercitare" le orecchie. Si tratta di un processo di filtraggio di emozioni, tra le note e noi stessi, e alla fine ne esco sempre pieno di gratitudine.

Proprio oggi, in metro, una tizia aveva uno zaino con su scritto "Music is life". Ecco, la musica mi ha davvero profondamente cambiato come persona, e ha pesantemente influenzato la mia vita. Non esiste nessun caso in cui sia disposto a fare eccezione nel dire che non l'ha cambiata e influenzata in meglio.

Non l'ho mai accennato qui, lo faccio adesso e forse ne riparlerò in futuro, ma in questi mesi ho cominciato ad andare a delle sedute di psicoterapia. Tranquilli, niente che non vada, non sono pazzo. Anche se quando ho cominciato ad andarci - più su suggerimento di altri che su mia reale necessità o bisogno - mi chiedevo a che cavolo servisse sdraiarsi su un lettino e parlare delle cose che ti passano per la testa senza nessi, adesso sto cominciando a capire l'utilità e l'efficacia di queste cose, specialmente se a sentirti c'è un tipo che sa il fatto suo...

Alla seduta di ieri, il tipo mi ha lanciato un altro assist interessante: è come se io stessi cercando "conferme", un "luogo", anche figurato, dove sentirmi al sicuro nel collocare/poggiare/lasciare i miei pensieri, le mie sensazioni e le mie credenze. E ho pensato per la verità di avere già trovato questo posto... nei volti e nei cuori delle persone, nell'anima di una canzone, nelle parole su di una pagina.

A lungo, rileggendo le pagine che ho scritto su questo blog dall'estate del 2008 a oggi, mi sono domandato se stessi diventando una persona "spirituale", visto che a tratti mi sembravo addirittura un santone.

La convinzione che ho maturato è che la mia "spiritualità" sta nel ricerare qualcosa e qualcuno e nel connettersi ad altri o ad altro. Se mi dovessero dire di categorizzare e generizzare le mie credenze, direi che la mia religione sarebbe semplicemente la mitezza e l'apertura.

La Vita (con la V maiuscola) intorno a noi ci lascia continuamente spunti su spinti, e non credo che tutti ascoltino con la dovuta attenzione. La mia "spiritualità" sta nelle lezioni che attraverso la quotidianità abbiamo la possibilità di imparare - e di cosa abbiamo la pazienza e la voglia di impararle.

E ho scoperto con sorpresa crescente che possiamo trovare messaggi utili e trovare la giusta connessione con le cose un po' ovunque - sì, anche nel death metal! - se solo abbiamo la voglia di ascoltare.

Si tratta di cogliere lo spunto - qualsiasi spunto. Ma lo cogli solo se hai le orecchie pronte a sentire. E non ha senso partire prevenuti e dire "Questo lo ascolto, questo no". Perché è solo precludersi spunti che invece, magari, con il giusto spirito critico, poi torneranno utilissimi. In positivo o in negativo.

Parlo di "predisposizione" proprio perché, come dicevo prima, siamo continuamente in mezzo all'andare avanti della nostra vita, con esami, cazzi, mazzi, dormire bene, dormire male, sentirsi in forma, sentirsi acciaccati... ci sono momenti in cui semplicemente cogliere questi spunti non è facile.
Sta comunque tutto a noi.

Insomma, prima di svagheggiare, vi avevo detto qualche riga più su che una delle cose più belle di questa mia memoria l'ho scoperta quando ho cominciato ad andare ai concerti: è bellissimo, a distanza di mesi e addirittura anni, riuscire a percepire ancora la magia di quei momenti, soprattutto se, come me, vivi quegli attimi con un'intensità molto forte.

Ci sono stati tanti momenti belli in tutti i concerti che ho visto, e sto scrivendo anche un file (devo ancora decidere come pubblicarlo, non saprei) che li riassuma in questo modo, ma stavolta dovendo dire quali concerti abbiano davvero avuto più significato per me, non avrei dubbi: si tratterebbe dei concerti degli Anathema.

Mi ricordo, per esempio, quando ho pianto per la prima volta quando nel 2008 suonarono, solo Vincent e Danny, piano, chitarra e voce, One Last Goodbye.
Quando invece, la volta dopo, nel 2010, mi trovai a mezzo metro da Vincent e Danny che headbangavano come pazzi durante l'assolo di Summernight Horizon, e di come rimasi impressionato dalla minuta Lee che cantava A Natural Disaster, di Danny che mi indica e sorride durante Everything, o di Jamie che dal palco viene a cercarmi in prima fila per stringermi le mani a fine concerto.
Sì, sono ricordi visivi, uditivi e olfattivi...



Eppure, ragazzi, è assurdo, e lo sembra a me prima che a voi proprio perché ho sempre fatto grandissimo affidamento a questa mia capacità di trattenere le emozioni...
Eppure... non ho ricordi della parte finale di quando hanno suonato live questo pezzo. Quella che nel video da youtube comincia a 4.08.
Ricordo l'istante prima che cominciasse e ricordo l'istante dopo.
In mezzo, niente. Come se fossi stato da un'altra parte, nel frattempo.
Completamente risucchiato. Completamente perso, avvolto in quella spirale, in quel delirio di suoni.
Solo un vago pensiero, avevo, in quei momenti: "Questa, questa sì, questa è Verità". Con la V maiuscola.
Un qualcosa di irripetibile, perché come vi dicevo prima, un'esperienza perfetta ha delle premesse e delle circostanze. Quella volta, avevano suonato tutto l'album di fila, in un climax ascendente che si perde ascoltando semplicemente così la canzone. Ma provate a immaginare!
Addosso, da allora, mi rimane una strana sensazione di estasi pura.
Auguro a tutti voi di provare un'esperienza simile. Spero che l'abbiate già provata!

Ancora non so dove sono andato in quei pochi minuti - i presenti dicono che ero sempre lì, ma non ne sono convintissimo. Con la mente ero da un'altra parte. Diciamo... una bella connessione, sì, sì.

Statemi bene, ragazzi. :-)

(... Come dite? Mi sono dimenticato di "parlare a favore" della scrittura? Non credo proprio... i "pro" della scrittura stanno proprio nella gioia e nella vitalità del riuscire a esprimere tutto questo post e tutto questo blog: tramutare quel blocco di marmo e cemento armato che sono io in un unico, meraviglioso flusso lieve di emozioni... sperando che abbia regalato qualcosina anche a voi)

PS.
A proposito, tra pochi mesi dovrebbe uscire il nuovo album degli Anathema. E il 30 Aprile sono a Milano. Peccato, a 'sto giro saltano Roma.
Non che mi interessi minimamente.
Sono già la.

PPS.
Lo so, lo so, siete sempre in fremente attesa del mio post sul Capodanno. Diciamo che questa era una sorta di premessa dai!

PPPS.
È cominciata la sessione d'esami. E il mio fegato è in erosione più del solito. Cosa c'è di buono in questo? Che se la sessione è cominciata, vuol dire che è un passo più vicina al finire, e quando finisce, finalmente posso riprendere le questioni in sospeso.
Che ho bisogno di portare avanti.
Specialmente un paio...

martedì 3 gennaio 2012

La Petroliera


Non riesco proprio a farti uscire dalla mia testa. Mi sembra di capire tutte le tue stranezze, ma non con la testa, con l'istinto. Tutto parte dai tuoi occhi.
Sì, sì, lo so cosa stai pensando, "uffaaaaaa, che pizza, basta con queste immagini stra-abusate, fai uno sforzo, sii un po' più originale!
Per voi maschietti, fate poco gli smargiassi!
Il punto è che non posso farci niente, non è colpa mia.
Per voi ragazze, è diverso. Non potete capire.
Ah! Per una volta, sono convinto che ci sia qualcosa che voi ragazze non possiate capire di noi ragazzi! Per una volta l'ordine naturale delle cose è cambiato!
Questa faccenda degli occhi è complicata e fortissima.
Quando ti guardavo negli occhi, non riuscivo più ad ascoltare cosa stavi dicendo. Erano troppo... ( ). Avete capito, no?
Chiaramente alla lunga la cosa era sconveniente, così a tratti dovevo fare lo sforzo di distogliere lo sguardo dai tuoi occhi e guardare qualsiasi altra cosa. Un succo di pera, un'altalena, qualsiasi cosa. Mi era difficile capire un senso nel discorso collezionando così parole a caso, ma almeno con un po' di fantasia le risposte venivano.
Che poi tanto mica ci riuscivo, alla lunga, a non tornare a guardarli, quei tuoi occhi.
Voi ragazze non potete capire, perché nei nostri, di occhi, non potrete mai leggere la complessità e la bellezza che invece ci sono nei vostri. È inutile che ci proviate tra di voi, non funziona. La chiave di lettura giusta ce l'abbiamo solo noi maschietti. Per fortuna. 
Noi bene o male siamo semplici... dacci una palla e siamo contenti...
In voi c'è così tanto di più... e noi possiamo ammirarlo in questo modo. Abbiamo anche questa fortuna!
... Certo che siete proprio sfigate!

PS.
Il post sulle riflessioni di Capodanno arriverà. Nel frattempo però ho sentito il bisogno di condividere queste due righe...

Ne approfitto comunque: buon anno nuovo a tutti :-)

PPS.
Il prossimo che mi viene a dire "^___^ l'amore è una cosa semplice, siamo noi a complicarlo ^___^" gli tiro una petroliera in faccia.

martedì 27 dicembre 2011

... White Christmas Pt. 2


... In fondo, non saprei farveli in modo migliore, che con la musica, i miei migliori auguri!

Sempre più convinto di quello che ho scritto un anno fa, a Natale scorso.
Anzi, forse quest'anno è tutto ancora più valido e forte, perché le situazioni sono tutte un po' peggiorate...
Bisogna un po' trovare il Natale in ogni giorno, credo.
Come bisogna un po' tirarlo fuori da noi stessi.
Una sorta di 50 e 50.

E c'è un'altra cosa che ho scoperto piacermi, del Natale.
In pratica, siamo a una settimana da Capodanno, il periodo in cui si tirano le somme per eccellenza. Ecco, mi piace che ci sia una festa così, subito prima. È un po' come celebrare degnamente l'anno che se ne va, senza pensarci, per l'ultima volta, e senza avere i propositi per l'anno nuovo che bussano alla porta. I giorni saranno gli stessi, certo, ma è inutile negare che comprare calendario nuovo ti faccia lo stesso pensare a quello che hai fatto negli ultimi dodici mesi.

Perciò... ecco. Manca ancora ben una settimana. Abbiamo da preparare regali e cenoni, tombole e pictionary... il tempo per tirare le somme verrà. Oggi, staremo bene, insieme.

(Tra parentesi, quest'anno mi sono divertito proprio tanto a fare i regali, e da non so quanto tempo sono rimasto diversi minuti al giorno al buio a guardare le lucine dell'albero di Natale!!!)

... Sì, è un modo vagamente storto che ho, forse, per cominciare a tirare fuori qualche altro discorso. In questi ultimi mesi è successo tanto, sto cambiando tanto, e non vedo l'ora di fare due conti, o di tirare le somme.

Ne riparleremo... il prossimo anno! :-)

giovedì 15 dicembre 2011

Midnight in Paris


Ieri sera sono stato a vedere Midnight in Paris, l'ultimo film di Woody Allen, e l'ho trovato - in una sola parola - delizioso.

Non sono uno di quei fan sfegatati di Allen, nel senso che ho visto qualche suo vecchio film, ma non l'ho mai seguito in maniera particolare.
Prima di proseguire: non credo di scrivere nessuno spoiler particolare, quindi potete tranquillamente andare avanti a leggere, se non l'avete visto e volete vederlo. Qualora mi accorgessi di stare scrivendo qualche cosa di rilevante ai fini della trama, ve lo segnalerò opportunamente... :-)

C'è questo Gil, scrittore di sceneggiature americane di successo, che si trova a passare del tempo a Parigi con la sua fidanzata Inez. Gil, innamorato di Parigi, sta provando a cimentarsi nella stesura di un romanzo, in cui il protagonista, da quello che ne sappiamo, è proprietario di un negozio-nostalgia, in cui vende oggetti vecchi di epoche addietro.
Una sera, la fidanzata se ne va a ballare con alcuni amici, e lui fa per tornarsene all'albergo, a piedi, vagamente alticcio.
Si perde per le strade di Parigi, e allo scoccare della mezzanotte viene passato a prendere da una macchina d'epoca. I suoi proprietari lo portano ad una festa dove conosce "Scott. Scott Fitzgerald."

Poco a poco, passa a conoscere anche Hemingway, Gertrude Stein, Picasso, Bunuel, Dalì, Degas, Gauguin, Eliot... si trova in qualche modo trasferito indietro nel tempo, proprio nella Parigi degli anni '20 da lui, americano del 2010, considerata "l'epoca d'oro".

E se nel "presente" non aveva fatto leggere a nessuno il suo romanzo, per l'incapacità di gestire le critiche, di fronte ad artisti di questo calibro si lascia andare. Fa leggere il libro alla Stein che gli consiglia di far volare un po' di più la fantasia: i mezzi li ha, ma l'artista non deve essere quello che si lascia andare alla paura della morte: è quello che trova la soluzione, si costruisce le ali per volare, trova il modo di tappare questo drammatico buco che ci si apre, dentro.

E Gil continua a girare Parigi, incontra quei grandi che oggi ammiriamo, si siede semplicemente al bar e parla con loro, delle sue turbe, dei suoi pensieri, delle sue emozioni, senza limiti o freni.
Il bello è che quelli, proprio perché artisti di livello, lo stanno ad ascoltare attenti. Sanno che è in quei momenti che nasce la creatività ed è di quei momento che, per primi, hanno massimo rispetto. A prescindere da chi abbiano davanti, se una persona che a malapena conoscono o uno scrittore che nulla ha a che vedere con le loro arti.

Ecco, uscito dalla sala mi sono chiesto che cosa mi fosse davvero piaciuto del film. E credo che mi abbia fatto impazzire questo ambiente, questa dimensione culturale in cui si conosce il valore di un'emozione pura, e la si rispetta al massimo, sia essa andata a realizzarsi in due parole scritte come in uno scarabocchio su una tela, in cui le stranezze passano in secondo piano, perché l'emozione vera è di gran lunga più interessante.

Ma c'è di più.
Credo ci sia in mezzo tutto il mio rapporto con l'Arte, la letteratura, la musica, la pittura, queste figure che ti ispirano e sono lì a portata di mano come persone qualunque.
E ancora la voglia di viaggiare, di andare lontano, nello spazio come nel tempo, perdendosi tra i ricordi di età che non si sono mai vissute.

E poi la storia d'amore...

Forse devo rivederlo.

Mugugni di piacere in particolare per tanti bei dialoghi.
Mi piacerebbe riportarne un paio, ma di andare a memoria, ovviamente, non se ne parla...
Gli altri li aggiungerò qua e là. Magari ci faccio proprio altri post. Devo decidere.

Gil: "Vedete, io in realtà... vengo dal futuro. Appartengo ad un'altra epoca. Eppure, contemporaneamente, mi trovo qui."
Bunuel: "E allora? Vivi in un mondo nella tua testa, e in un mondo che invece è il tuo presente. Non ci vedo niente di strano."
Gil: "Sì, ma questo perché tu sei un surrealista! Io sono una persona normale!"

Insomma, sapete che film vi consiglio di andare a vedere!

PS.
E mi ha fatto venire voglia di ballare un lento.

sabato 10 dicembre 2011

Colore N°3 - Taare Zameen Par, Bum Bum Bole


"A volte le cose, gli avvenimenti, sembrano accadere per caso, ma il caso non è mai casuale, è li che ti aspetta a modo suo. Vuol dire che alle volte il caso aspetta proprio te e non per caso, ma per destino appare come caso. Cogli il positivo che il caso per destino ti offre."

Sono parole che mi hai scritto un po' di tempo fa. Parole che mi avevi scritto su Skype, che ti erano capitate sotto gli occhi e che ti avevano fatto pensare "a me e alla cavalletta".
(Alla cavalletta-drago, aggiungerei io, ma tralasciamo!)
Lì per lì, non credo di aver veramente capito quello che intendessi. Non fino in fondo, almeno.

Questa musica mi fa ripensare a te: a quello che è stato affacciarsi alla finestra di quello che chiamare "un mondo magnifico e colorato" non sarebbe mai sufficiente.
Devo per forza aggiungere: "un mondo che non sarebbe mai potuto essere il mio".
Ma non prendete questa frase per ciò che non è: nessun tono lamentoso, niente lagne, solo una constatazione dopo una decina di mesi.

Ho riletto questa frase che mi avevi scritto, lo ammetto, per caso.
(Me l'ero naturalmente salvata.)
Oggi, mi ha aiutato a dare più un senso a quello che è stato.
Se mi guardo indietro, sento di poter dire con serenità che è stato bellissimo, forse i giorni più belli di questo 2011 che sta per finire... ma effettivamente il tuo mondo era (ed è) troppo diverso dal mio. In tutti i sensi.
Ne ero rimasto sconvolto e affascinato come non mi era mai capitato prima, e forse è anche per questo che il nostro stare insieme mi sia rimasto così dentro. Forse, il capire che le diversità sono torri elevate, ma le basi di mattoni sono uguali per tutti. Forse, il capire che qualcuno ti vede sempre, mentre sei invisibile.

Uno è così tanto preso dal mondo che gira intorno a lui, che si dimentica di guardarsi dentro.

Quando lo fai, rimani a bocca aperta nello scoprire a poco a poco che già solo il tuo mondo interiore è enormemente più grande di quanto potessi minimamente sospettare, e che quelli che credevi solo angolini bui e polverosi (francamente trascurabili), in realtà nascondono intere dimensioni.
Beh, allora cominci l'esplorazione di questo tuo mondo interiore.

... Per questo, la sorpresa è ancora più grande quando riesci a cogliere un piccolo baluginare di un altro mondo interiore, quello di un'altra persona.
Che poi oh, dai, cioè, quanto diverso potrà mai essere dal nostro?
In fondo siamo tutti e due esseri umani, tutti e due di Roma, tutti e due con una bella e fondamentale esperienza come lo scoutismo alle spalle...
Ecco. Era totalmente diverso.
Come un intero nuovo paradigma per affrontare le cose e vedere il mondo come una nuova realtà, ogni cosa come una diversa entità.

E poi, in particolare per noi, c'erano tante altre cose in più.
I silenzi, il mettere da parte aspetti di noi, il ritrovarsi.
Ma più di tutto, secondo me, il buttarsi.

Abbiamo deciso di buttarci.
Per cui, come niente il destino di cui sopra non è quello che davvero immaginiamo comunemente.
Forse a volte il "destino" si smuove anche solo per piccole cose, piccoli gioielli d'ambra su un tronchetto infelice un po' adombrato dalla grandezza della quercia.
Mi sono sempre immaginato "il caso" come l'Occasione da prendere al volo e rendere magnifica: l'irripetibile che ti passa davanti e da non lasciarsi sfuggire. E tenerselo stretto per sempre.

Oggi credo che, semplicemente, può anche non essere così.
Ci siamo incontrati.
Ci siamo buttati.
E ci siamo persi.
Il tutto in quanto tempo?
Un niente... eppure, quello che oggi conta e che ancora ricordiamo, è che ci siamo buttati.
Abbiamo fatto qualcosa di assurdo... due mondi lontani, due modi di vivere diversi... e, cavolo, a dirla tutta, anche 2.000 chilometri in mezzo, che non è che siano proprio roba da poco!

Però l'abbiamo fatto, davvero.
E allora forse eccolo, il vero messaggio: eccola, la vera occasione.
Eccolo, il senso dell'umorismo del tuo "destino".

Ci siamo incontrati per vivere quelle emozioni intensissime solo per avere il tempo di capire alla fine delle righe che... dobbiamo buttarci!
Non siamo stati insieme per molto altro, a dire il vero.
Trovo davvero ironico che quella parentesi di emozioni fortissime non sia stato altro che il tramite per capire questo messaggio: guarda quanto ti stai perdendo.

E quella sera, su quella panchina, con forza, stridendo contro i nostri modi d'essere e contro le nostre logiche, ci siamo voluti andare a prendere tutto questo.

E io ascolto ancora questa canzone - ricordo ancora benissimo quando me l'hai raccontata - e ripenso al mio mondo che scopriva il tuo, al mio paradigma che scopriva il tuo, al carbonio a cui vengono a dire che adesso non è più unico come credeva, e che la vita può crearsi anche in altri modi.

Ricordo l'odore nella tua macchina.
Ricordo il tuo profumo ("ti piace?? ... Beh, è da uomo!").
Ricordo i tuoi capelli (più aggrovigliati delle liane nella giungla).
E, beh, sinceramente ricordo tante altre cose tenere che forse in un post del genere è meglio non precisare oltre che non "il portone sotto casa tua"... :-)

Ripenso a quello stomaco chiuso che non voleva saperne di far entrare niente, anche se brontolava di brutto.
Ripenso a quel sonno devastante che avevo addosso, eppure la sensazione di non essere mai stato più sveglio.
Ripenso a quando veniva il momento di dormire, che non se ne parlava... l'unico modo era smettere di combattere quell'istinto che ti voleva fuori dalla mia testa: convincermi che non avevo bisogno di farti uscire dai pensieri per dormire... per farmi dormire!
E oggi ripenso anche a quella prima volta che sono tornato a casa dopo averti accompagnato... dai, oggi voglio condividere quel momento solo mio con tutti i lettori appassionati di questo seguitissimo blog: quando ho suonato il volante come un tamburo lanciando strani versi deliziati...

Non ho la presunzione di poter capire appieno quello che è stato, né tantomeno (magari l'hai pensato?) ti giudico per le tue scelte... come mi piace dire, i giudizi lasciamoli ai giudici. Io, mi limito a prendere posizione.

Siamo stati solo un piccolo gradino nella grande scala della vita dell'altro. Spero, e credo, un gran bel gradino. Ma le nostre scale erano un po' troppo diverse, e soprattutto non vanno per niente dalla stessa parte. Ma lo sapevamo già allora! Perciò è giusto che sia stato ciò che è stato, e oggi, dopo tanti mesi, posso dire con sicurezza di non avere più rimorsi.

Per l'ultima volta da amante (perché ti ho amata davvero): grazie.
Per la prima volta da amico sincero: qua la zampa, sorè!

Non so se tu sei arrivata alle mie stesse conclusioni, né so se riusciremo mai a ribeccarci.
A me sarebbe piaciuto dirti queste cose (e darti la zampa!) di persona, ma credo di aver riscontrato qualche difficoltà di troppo, in questo senso, da parte tua. Pazienza. Non è davvero importante, se l'hai superata, in un modo o in un altro.
Una volta passavi da queste parti, magari - chissà quando - ti capiterà ancora, e leggerai queste righe!

Tu continua per la tua strada, che è quella che hai preso e quella giusta per te: ecco, a questo punto magari tu c'eri già arrivata da un sacco, io invece, da bravo maschietto, ci ho messo un po' di tempo in più.

PS.
Ganesha è ancora qui, in camera mia, proprio sopra il tuo fazzolettone. Certe cose non sono affatto "ferite" e non credo di doverle mettere via. ;-)


PLAYLIST DEI COLORI:
- Nick Drake, Pink Moon
Toto, Africa
- Taare Zameen Par, Bum Bum Bole

giovedì 8 dicembre 2011

Il Piacere di Fare

Solo un veloce saluto qui per scrivere due paroline...
Ho appena finito di lavorare sul regalo che farò domani alla mia sorellina (auguri, Ghinghe!), una full immersion durata sulla carta quasi dodici ore, in quanto ho cominciato poco prima di mezzogiorno e finito poco prima di mezzanotte.
Che non vi stiate a preoccupare, non sono comunque diventato all'improvviso un workaholic, in mezzo ci stanno sempre tutte le pause del caso, leggi pranzo, cena, dessert, merenda, seconda merenda...

Sì, ho passato praticamente tutta la giornata a sistemare questa cosa. Una piccola scemata... scegli le immagini da internet, ridimensionale, stampale, poi prepara quel cartellone, taglia qui, accorcia là, fai i bordi di 3 centimetri per lato, occhio che la riga si è spostata, e poi dov'è la spillatrice? Eccola: prendi lo scotch che ovviamente cade quelle quattro-cinque volte, e ogni volta devi ritrovare l'estremità.

Alla fine, insomma, ho speso tanto tempo per un effetto sorpresa che durerà pochi secondi.
Ma sapete una cosa?
Sono proprio contento di averlo fatto.
Mi sento proprio bello stanco, e ho le ginocchia che mi fanno male, dopo aver passato la giornata per terra a tracciare linee a matita sui cartelloni.
È molto più soddisfacente di quanto ricordassi, il lavorare per qualcuno. Il fare qualcosa partendo da zero, il crearlo dando forma a quello che la tua capoccia suggerisce.
Dal nulla, con un po' di tempo e fatica, ti compare questo qualcosa davanti agli occhi, e lo hai fatto per una persona a cui vuoi bene...

Cosa significano allora tempo e fatica, quando è tutto volto e dedicato a una persona che ami?
Acquista tutto un altro senso. Quel tempo, quella fatica, le hai spese per lei - no, di più: con lei.
Si tratta di mettere a disposizione di quella persona il meglio che puoi dare in quel momento - in quel momento, con colla stick e forbici, ti stai prendendo cura della persona a cui vuoi bene, e non di un semplice cartellone.

Chissà, forse il mio prossimo passo in quest'ottica sarà imparare a cucinare per davvero! :-)

Ne è valsa davvero la pena, anche se era un giorno di festa in cui potevo andarmene in giro a fare altro.
Scelta giusta. Bel lavoro.
Speriamo che almeno le piaccia!

AGGIORNAMENTO DEL 9 DICEMBRE!!!


Beh, sembra che la cosa, caccia al tesoro compresa, ti sia piaciuta, Livietta!
Come sono stato contento... anche più di quanto potessi sperare!
Qualche documentazione fotografica, perché possiate capire che cavolo mi sono messo a fare!


La scacchiera di memes (ribattezzata "Trollscacchiera") in tutto il suo magnifico splendore...


Carrellata sui Neri: il re è ovviamente "AAAWWWWWYYYYYEA" (mentre per i Bianchi è "Trollface")


Notare che nessuno ha voluto in squadra con sé il povero "Forever Alone"...


... e notare anche il pedone d'avanguardia, quello che, almeno quando gioco io, è quasi sempre il primo che viene mangiato... "Ah, sono io? POKER FACE..."

sabato 3 dicembre 2011

Colore N°2 - Toto, Africa



Il secondo "ricordo" di cui sento fortissimo bisogno di scrivere è strettamente legato a questa canzone dei Toto.

Si tratta di quella che definisco l'esperienza più importante, forte, vera e formativa che abbia mai fatto da tanti anni, e, forse - forse esagero, ma se il dubbio viene, già è significativo - in assoluto.

Lo direste anche voi, se solo all'ascoltare questa canzone vi venissero in mente il blu, l'odore di eucalipto, lo stremo, fisico e mentale, il sudore, i vestiti appiccicati addosso, le divise, le mani arrossate, promiscuità di ogni genere, mangiare di corsa, l'acqua dolce, l'acqua salata, il cielo azzurro al mattino, il cielo viola al tramonto, dormire poco, persone, tante persone, spunti, spunti ovunque, e chissà cos'altro mi verrà in mente, che sicuramente aggiungerò.
Estate 2010.
Arbatax Park Resort.

A oggi, ancora non posso dire di aver compreso totalmente quell'esperienza, e cosa me l'abbia resa così speciale. Forse, semplicemente, il fatto che c'è stato tutto.

Una full immersion di tre mesi e mezzo in un ambiente prosciuga-forze, in mezzo a così tante persone diverse... sia ospiti, alcuni dei quali davvero speciali, sia ragazzi dello staff - d'animazione e non, giardinieri, cuochi, eccetera. Gli spettacoli serali,

Il punto è, credo, che in un ambiente del genere si tratta di sopravvivere o spezzarsi. Ed è in situazioni del genere che viene fuori il tuo vero "io": non puoi fingere di essere chi non sei quando sei in giro venti ore su ventiquattro, e continuamente a contatto con qualcuno che vuole sempre qualcosa da te.

Io, in questo posto, mi sono sentito a mio agio.
Mi sono sentito me stesso, non ho dovuto fingere niente: e alla sensazione, meravigliosa, di capire sulla propria pelle che ogni giorno ne uscivo più forte, irrobustito, si univa l'altrettanto splendida consapevolezza di quando capisci che stai vincendo una corsa.
Quella consapevolezza che puoi avere solo lì, in quel momento, quella pura, genuina, sincera sensazione di gioia mentre non solo ti rendi conto che stai andando bene, ma che stai staccando gli altri, e stai andando a vincere - no, vincerai, perché a quel punto ti è chiaro, sei il migliore, devi solo fare quello per cui sei nato, lo stai già facendo, devi solo portare a termine l'opera che già ti riesce.

Un'esperienza che, dal primo giorno, è stata una parabola ascendente. L'unica volta in tutta la mia vita in cui ho fatto qualcosa di importante, dall'inizio alla fine, senza pensare minimamente di mollare.
E la consapevolezza che non avrei davvero potuto viverla meglio.
Spesso ci sono rimpianti nel ricordare qualcosa, ma stavolta sono convinto di aver vissuto tutto il vivibile: se mi guardo alle spalle non cambierei assolutamente niente.
Con questo non intendo che ci siano stati solo momenti positivi: ma quando ci sono stati quelli negativi, abbiamo fatto le spalle larghe e li abbiamo sistemati.
Avrei voluto semplicemente che durasse di più. Tre mesi non sono sufficienti.
Chi fa quest'esperienza, come chi fa gli Erasmus, può capirmi.

Mi domando spesso da dove venga la fiducia in noi stessi. Ancora non credo di saperlo, ma so che lì, quell'estate, quella fiducia l'avevo, e non mi ha mai abbandonato: anche queste sono cose che ricordo con una forza devastante.
La certezza di fare bene. La sicurezza di saper fare bene, di saper fare la cosa giusta, e di saperla fare meglio, sempre meglio.

Quello che credo sia impressionante è soprattutto la forza, la densità dei ricordi che avverto, quando ripenso a quei mesi. Non è come quando dici "sembra ieri": è qualcosa di diverso. Mi verrebbe quasi da dire "sembra oggi, poco fa". Tutto si è piantato in me. Ancora oggi me ne salto fuori con ricordi nuovi di quella stagione, e ancora oggi non ricordo solo le parole, o i fatti: se respiro, riesco a sentirne anche gli odori. Riesco a sentire quell'aria sulla mia pelle, quella pressione nelle orecchie... come se fossi davvero ancora lì.

E ogni volta che ci ripenso, torno a emozionarmi ogni volta. E magari mi sembra davvero di essere di nuovo lì.

Insomma, non serve sottolineare ancora come questa esperienza mi abbia marchiato in maniera devastante. Doveva essere un'esperienza one shot: non sono riuscito a renderla tale. Tale è stato il segno che la mia prima stagione mi ha lasciato, che sono dovuto ripartire per una seconda stagione.

Non sono tornato ad Arbatax: questa è un'altra storia, che racconterò in un altro post, ma vi basti sapere che sono sempre rimasto in contatto con quel posto e chi invece ci era tornato. Mi sono sentito dire: "Le cose non sono come l'anno scorso, Fra. Più brutto, meno speciale... alla fine, tornando, mi sto solo sovrapponendo queste brutte sensazioni a quelle meravigliose che abbiamo provato insieme lo scorso anno."
Sarà. Io con tutto che a dirmi queste cose è stato un gigante dell'estate 2010, non ci credo. Non posso crederci. Non mi è possibile.
Ma, come dicevo, è una storia per un altro post.

Dopo un po' di temporeggiamento, decido di seguire il suggerimento dell'amica Beba e di provare a fare lo stage per entrare nell'agenzia di animazione Art Swiss Entertainment. Come al solito, mi sveglio all'ultimo, non c'è neanche il tempo di sostenere il colloquio orale con i responsabili dell'agenzia. Per mia fortuna, Beba lascia passare: "Ormai ti conosco, dai".

Lo stage, ad Aprile, è una boccata d'aria fresca.
Stare in mezzo alla gente a regalare emozioni: fare animazione è una di quelle cose che non si può mai davvero capire se non ci sei dentro. Un po' come tante altre esperienze. Soltanto che questa ne racchiude a sua volta talmente tante... relazione, spettacoli, cabaret, ballo, organizzazione, dietro le quinte, prove notturne, prove pomeridiane, e poi gli after, il trovarti a pensare nei vaghi momenti liberi a cose come "cosa mi spinge davvero ad andare avanti a farlo?" e il trovare la risposta solo quando riprendi a farlo...

Al termine della settimana a Djerba, in Tunisia, mi dicono di volermi proporre subito un contratto con destinazione. Non nascondo che sperassi di finire, in un modo o in un altro, al Cormoran, dove ho conosciuto Beba (e molti altri...) e dove ho lasciato un pezzettino di me...
La destinazione, invece, è tutto l'opposto: sarà Arbatax Park Resort.

In pratica, tutto l'opposto del Cormoran, che è piccolo, intimo, riservato... contro la gigantesca mole di Arbatax. Ettari su ettari di spazio. Un parco naturalistico con animali selvatici. In 55 nello staff d'animazione.
All'inizio, spaesamento.
Poi, la voglia pazzesca di mettersi alla prova.

Sapevo che sarebbe stata un'esperienza devastante, che avrebbe richiesto tutto quello che avevo, magari di più. E solo dopo capisco che era proprio quello di cui avevo bisogno.

La data è martedì 15 Giugno.
Trovo un volo diretto Fiumicino-Arbatax. L'aereo deve partire alle 8.30, alle 8 tutti e cinque i passeggeri sono su questa specie di alioscafo, e si parte lo stesso.
Ovviamente ricordo l'arrivo con la stessa intensità di quando l'ho vissuto lì.
Mi "riscaldo" col tassista facendomi fare uno sconto sulla tariffa, e arrivo a questi grandissimi cancelli.
Il tempo è nuvolosissimo. Non c'è uno spicchio di azzurro, in cielo.
Telefono a Marika, comunico l'arrivo, e mi dice di seguire i cartelli e raggiungerla in piscina centrale.
Ho due valigie. Passo in portineria e mi trovo all'entrata. Davanti, un lago con cigni. Alla mia sinistra e alla mia destra, due salite, con cui costruirò il solito rapporto di amore/odio.
Dove andare?
Cominciamo ad orientarci, cominciamo a sentire quei nomi che saranno CASA in tutti i sensi per molti mesi.
A sinistra, Borgo Calamoresca.
A destra, Telis Village.
Imbocco la via a destra.

Sapevo che il posto fosse grande e comincio a scoprirlo di persona. Mentre seguo disperatamente i cartelli con le due pesanti valigie al seguito, mi chiedo quanto ci metterò a imparare tutte quelle strade. Pochissimo, per la verità.

Sì, parliamo di strade: sembra davvero di essere in un villaggio di quelli veri, in un paese, ed ecco che ho il primo impatto con gli eucalipti del posto, che ormai sono presenti in qualunque ricordo.

La prima persona che incontro è Lara. Le chiedo qualche dritta su come arrivare in piscina centrale. Mi accompagna. Per strada incrocio Paolo. Lui fa Young Club. Io sono venuto per fare Young Club. Un tipo simpatico, sembra. Mi si accende subito un piccolo bagliore di competizione dentro, celato da sorriso e stretta di mano. Proseguo verso la piscina.

La piscina centrale è un posto speciale. Perché, lo impari vivendoci, è un po' il fulcro della vita quotidiana, laggiù. Un po' come le classiche piazze di paese, è dove tutti si incontrano, dove tutti si fermano... un crocevia con una grande piscina, un grande albero al centro e tanti fiori.

E, insomma, è andata. Subito, appena mollate le valigie dietro al Bar Centrale, la prima sigla, completamente improvvisata. Poi l'approdo con Marika al Bronx.
Sarebbe il dormitorio dello staff.
Bronx.
Fatevi due conti.
Sono artefice del mio destino: scelgo la camera 909, che è proprio di fronte ad un'altra camera vuota, ribattezzata "Sesso Point".
La camera comprende due letti e un armadio: prendo il letto contro il muro ed è gioia nel vedere che il muro è ricoperto di muffa, che si staccano pezzi di vernice, che ogni tanto cade qualche goccia dal soffitto.

Prima di pranzo, pronti via, c'è da accompagnare un gruppo di ospiti (ragazzi, si chiamano OSPITI, non CLIENTI!) in giro per il Parco Naturale. CHE? Sì? Accompagnarli? Manco ci sono mai stato? Sì baby, l'improvvisazione dovrà diventare la tua arma migliore! Ma tranquillo, ci sono altri ragazzi con te...

Conosco Cristiano Pota, saliamo insieme e vedo la Betta e Giulia. Sono solo pochi dei 55, ma è così bello scoprire che sono tutti distinguibilissimi, tutti diversi, ognuno con una sua storia e un suo passato, nessuna possibilità di sbagliarsi...

E poi il pranzo, seduto accanto a quello che poi diventerà una delle tre ispirazioni maggiori, Alessandro.

Più tardi, quella giornata, ci sarà anche il primo acquazzone dell'estate. Inzaccherato dalla testa ai piedi mentre corro assieme a Paolo da una parte all'altra del villaggio, per prendere stavoltanonmiricordocosa.

Quel giorno arriverà anche Roberto, canoista. Lo conoscevo dallo stage e sono felice di scoprire che si piazza in stanza con me: le nostre storie saranno molto diverse. Se io ho una parabola ascendente, lui forse non decollerà mai.

Difficile, in generale, dimenticare la prima riunione con Andrea Catavolo.
Ho detto di non voler fare nomi, ma qui è obbligatorio. Un po' perché, in fondo, appartiene al mondo dello spettacolo, e non credo di fargli danno, a parlarne, un po' perché se lo presentassi semplicemente come "Andrea" non renderebbe tutto il carisma e tutta la forza che invece il nome intero, compreso di cognome, trasuda.
Un cognome che apriva tutte le porte...

"Ciaaaaao, scusa se ti disturbo, mi serve questo..."
"Eeeeh vabbè ma non si può fare!"
*Sorrisetto* "Ma l'ha detto Catavolo..."
"Prego, fai pure!"

Parlerò ancora di lui. Per forza.

Riunione in anfiteatro Telis. Mi guardo intorno. Sto avendo un impatto devastante, tantissime facce nuove, e lui, al centro, in piedi, braccia incrociate, che ci scruta. Uno sguardo che potrebbe disossarci dalla testa ai piedi.
Mi da il suo benvenuto.

"Francesco, da oggi passi a Contatto."

Subito, secco, prima riunione, neanche ci passo per lo Young Club. Ma, oh, quanto mi emoziono a ripensarci! Questo cambio di settore, a esperienza neanche iniziata, sarà decisivo, fondamentale, sarà quello che mi cambierà tutta l'estate. Non in meglio. Di più.
Se dovevo cominciare la scalata, diciamo che mi era stata appena messa davanti la scala giusta.

Contatto vorrà dire tanto microfono, stare proprio in mezzo alla gente, non solo coi ragazzi... e tanto altro.

"Stasera faremo un cabaret. Chi vuole starci?" chiede.

Alzo la mano.
Ecco, credo che sia stato quello, il momento in cui ho veramente cominciato la scalata. Bello che sia stato proprio il primo giorno.
Mi guarda, occhiata veloce, e mi dice di mettermi da una parte, assieme ad altri che hanno alzato la mano.

Lo staff da 55 persone ha ovviamente dei Responsabili che sarebbero capivillaggio un po' in tutto il globo: e sono loro i protagonisti degli spettacoli dell'Arbatax Park. Andrea Catavolo, Pina, Fabio, Marika sono quelli che sono lì al momento. Mattia arriverà a breve. E ce ne saranno altri due, Marco e Svetlana, di importanti... che arriveranno ancora più in là.

Per cui, la mia storia nel cabaret comincia con uno sketch abbastanza scemo, ma piuttosto divertente.
Si chiama "If", ed è la storia di uno staff di animazione mancato. A turno, ognuno di noi esce sul palco e dice: "Se non avessi fatto l'animatore, avrei fatto qualcos'altro. Se non avessi fatto l'animatore, avrei fatto..." e qui partiva un mestiere random, tutto con una sua gestualità e una sua mimica.
Io sono stato il ciclista.
Lo sketch gioca molto sull'andare a tempo e sull'interazione dei diversi mestieri (per esempio, tra il fotografo e il maniaco...), e così dobbiamo provarlo due-tre volte, perché c'è chi non lo conosce.

Alla seconda volta, imbrocco "come fare il ciclista". :-)
Ridono tutti :-) mi ricordo le risate di Giulia, e soprattutto quella di Pina.
Andrea no. Andrea non ride. Andrea scruta. Andrea è il capo. Andrea guarda oltre. Guarda se funziona, non se fa ridere. C'è differenza.
Credo abbia funzionato, in quel momento.

Quella sera, il cabaret va benone. Faccio il mio compitino e ricevo i miei applausi. Solo un'impressione, o i miei si sentono un pochino di più di quelli di un paio di altri?

Dal cabaret successivo, da una sola parte scema, passerò a due parti sceme.
Dal cabaret dopo ancora, da due parti sceme, passerò a una parte da comparsa e una parte scema.

A fine stagione, sarò fianco a fianco con Andrea e Mattia nella commedia "Il Vizietto" a interpretare il ruolo di loro figlio, punterò la pistola contro Andrea ne "La Rapina" e condividerò il palco con lui nel ruolo di Mangiafuoco nel musical di Pinocchio.
Il gioco caffè, l'appuntamento di punta in piscina centrale, lo condurrò io.
Ah, e l'ultima volta che faremo "If" sarò il maniaco, il ruolo "finale" dello sketch.
A fine stagione, in una delle ultime riunioni pomeridiane, i primi complimenti di Andrea, e non me ne servono per la verità molti altri: "Francesco, ho visto pochissimi prima stagione come te. Sei migliorato tantissimo da Giugno. Al microfono sei migliorato tantissimo, forse te la giochi con Alessandro. Ciccio è da mo' che l'hai superato..."
Sono soddisfazioni. E sono cose che cerco di ricordare e a cui ripenso ogni volta che mi sento demotivato, o semplicemente un po' giù. :-)

E sono soddisfazioni se ripensi che eri davvero un prima stagione. Partivi da zero, e ti sei costruito così, in un colpo solo. Certo, sono anche consapevole del fatto che se ci fossero stati nello Staff altri personaggi con più esperienza, avrei senz'altro fatto più fatica a farmi notare. Ma anche la situazione più favorevole, nelle percentuali di riuscita, non sale oltre al 50%: il restante 50% dipende solo da te, e io credo proprio di avercelo messo. Forse è una regola generale: se parti sapendo di essere il migliore, allora il tuo 50% è già quasi in piedi.

Ma torniamo al nostro primo cabaret...

L'emozione è immensa.
Sono stanco morto, e non riesco a dormire.
Vorrei raccontare a qualcuno, ma nel Bronx, giù nel Bronx, il cellulare non prende.
Devo farmi una bella salita per arrivare dove prende.
Mando un paio di sms e torno indietro.
Passerò del tempo nel Bronx con Marzia, Roberto, Giulia e Paolo.
E poi a dormire.

La sveglia che terrò nel breve tempo in cui mi tratterrò al Bronx è "Autumn Leaves" di Bill Evans.
Ricordo anche come forse non c'è stata una singola volta in cui mi abbia effettivamente svegliato: ero sempre sveglio da prima, da molto prima a volte, e dovevo anche sbrigarmi a silenziarla, per non svegliare Roberto.

Sì, mi mettevo la sveglia una mezz'oretta prima del necessario, forse. Ma bisognava essere puntuali. Per non parlare del fatto che la colazione andava fatta con calma... tazza di latte al cioccolato a go-go!
Mi lavo e mi vesto, incrocio Paolo che si fa la barba, e via.

Riunione di mattina presto. Con tutto che sono io a dover tirare Roberto, sono subito stenti per lui, e arriva in ritardo.
Andrea mi assegna al mio "tutor", quello che sarà un altro importantissimo punto di riferimento per tutta l'esperienza: Kelly, dominicano puro, di quelli veri, che non c'è niente da fare, non puoi competere con la loro energia, stanno troppo avanti.

Con lui, starò nella Spiaggia Merengue, un altro polmone del Telis, assieme anche ad Alessandro e Mirko.

Ricordo bene l'impatto con il Merengue - si chiamava così la spiaggia, non mi riferisco al ballo... - ma curiosamente non ricordo affatto l'impatto con le prime persone che lì ho incontrato.
Kelly mi insegnerà cosa vuol dire appartenere al settore Contatto: andare in giro, parlare, scherzare, ridere, tirare su di morale, ma anche captare gli umori, capire cosa si può fare per migliorare, quali sono le critiche e le idee degli ospiti... raccogliere e incassare. Essere un vero e proprio elastico: sia fisicamente, che mentalmente.
Giro appiccicato a lui.
Ricordo alla grande la TERZA persona da cui ci fermiamo.
Era nella caletta sotto la cabina regia...
Una vecchiettina all'apparenza simpatica, ma che...

"Buongiorno signora!"
"Andate via, vi trovo davvero fastidiosi, lasciatemi in pace!"
"O_O"

Immaginatevi un palloncino abbracciato da un cactus e avrete la mia situazione in quel momento.
Ma non serve lasciarsi andare, mi spiega un Kelly sorridente. C'è anche chi fa così. Basta crearsi uno scudo. Con l'esperienza, certe cose non passeranno più.
Aveva ragione.

Le prime giornate sono di una densità pazzesca.
Ricordo bene come la sensazione fosse quella di svegliarsi, giorno dopo giorno, potendo davvero AVVERTIRE quanto avessi imparato rispetto al giorno prima.
Ricordo bene anche la mia predisposizione alle mazzate: ero sicuro che in un posto così grande avrei trovato gente d'esperienza che, per forza di cose, mi sarebbe stata davanti. Ero anche sicuro che avrei faticato a stare dietro ai ritmi del posto.
Mi sorprendo nel notare che, invece, riesco a stare bene in carreggiata. Reggo bene i colpi.

Faccio di tutto, tranne Young Club, quello per cui ero partito: mi si affida un torneo di Beach Volley e uno di Saltinmente. Il primo va alla grande e mi scopro a commentare il match in maniera divertente. Il secondo lo faccio assieme a Marika e a Ludovica, una gran gnoccona, ma che subisce troppo la pressione. Mi mette in difficoltà, criticando i miei criteri di arbitraggio davanti ai partecipanti del torneo. Prima difficoltà però superata senza troppi problemi: gli insegnamenti di Kelly e il supporto di Marika tornano davvero utili.

Marika è stata una delle figure chiave per il mio buon inizio.
La conoscevo dallo stage, era una delle responsabili a Djerba, ed è una persona che di suo non incute timore: la combinazione di questi particolari la rendevano la mia figura di riferimento, una coniugazione di aspetti come la fermezza nel comandare, prendere decisioni e l'essere semplicemente una persona amichevole.
Agli inizi è stata senza dubbio quella con cui mi sentivo più a mio agio nel parlare di problemi del posto, quella con cui fossi più in confidenza.

Era a capo di un settore, quello delle hostess, che in un posto come l'Arbatax Park è destinato a prendersi tanta, ma tanta merda, e pochissime soddisfazioni. Le hostess sono quelle che stanno all'Info Point (diventato poi "Ninfo Point"!) e danno informazioni agli ospiti: di fatto sono anche quelle che si beccano un sacco di lamentele, e se bene o male le lamentele ce le prendiamo anche noi di Contatto, almeno noi abbiamo le nostre soddisfazioni nell'essere punti di riferimento, nel preparare giochi, attività e spettacoli. Loro, semplicemente, non avevano quest'aspetto...

(Provate vagamente a pensarci... siete incazzati neri perché qualcosa, nella vostra vacanza che avete pagato, non funziona. Logica vorrebbe che andaste alla reception, non certo dall'animazione, che si occupa solamente di... animare, appunto, e non della logistica. Ma essendo noi quelli in giro, quelli vestiti diversi, quelli riconoscibili, beh, ecco che le lamentele arrivano a noi, in tutta la loro genuina incazzatura...)

Quando sono arrivato il 15 Giugno, in diversi erano già lì e già stavano provando il primo spettacolo "grande" che avremmo fatto, trattasi del sempreverde Grease, con le coreografie della mitica Pina.

La "prima" di Grease ha il compito di inaugurare il Teatro Bellavista, un gigantesco all'aperto (capienza di tipo 2500 persone) a metà strada tra Telis e Calamoresca. Io, che ero arrivato relativamente tardi per provare - e poi, diciamocelo, non è che sia comunque 'sta gran punta nel ballo... - faccio da maschera, aiuto la gente che arriva da Telis (in basso) e Calamoresca (subito sopra) a prendere posto in maniera ordinata e poi, dalla prima fila, mi godo lo spettacolo, curiosissimo perché non avevo mai assistito a uno spettacolo di quelle proporzioni, in villaggio.

Sono spazzato via.
Catavolo che fa Danny, Pina che fa Sandy, l'apice del "rimanere a bocca aperta" l'ho durante Greased Lightning, quando Andrea torna in scena cavalcando una vera macchinetta elettrica e poi salta sul tettuccio a continuare a ballare l'ultimo ritornello.
Finito lo spettacolo, vado dietro le quinte entusiasta a congratularmi con tutti, e appena metto piede dietro le quinte sento un'aria strana, pesante: c'è qualcosa che non va.
Musi lunghi a palla di cannone, chiedo: "Ma cos'è successo???"
Mi si risponde: "Eh, Andrea era incazzatissimo, dice che è venuto una merda..."

Si è trattato del mio primo impatto con la critica di Catavolo, ed è un qualcosa che mi ha profondamente segnato. In positivo.
Non era mai contento. Mai. E si accorgeva di tutto.
L'ho sentito incazzarsi con Terence per delle luci su un balletto di Pinocchio, quando in teoria lui era concentratissimo a ballare e recitare.

Nella mia ingenuità avevo sempre creduto che si dovesse essere o positivi o negativi, senza vie di mezzo. Lui mi ha insegnato che si può e si deve essere critici verso tutto, per puntare in alto e avere il meglio: poi, accontentarsi di quello che si ottiene può essere relativo. Ma anche di questo, penso che scriverò in altra sede.

Una prima lieve bottarella all'energia arriva alla prima domenica...
La mia esperienza di villaggio partiva e si fermava al Cormoran, dove la domenica è giorno di riposo.
Ecco, nessun giorno di riposo, all'Arbatax Park!
Animazione 7 giorni su 7!
E chi ha bisogno di fermarsi, tanto? ;-)
Le giornate con Kelly proseguono alla grande, mi muovo e mi destreggio tranquillamente anche senza essere al suo fianco e mi accorgo davvero di riuscire a tenere il passo con i ritmi del posto, dove altri invece cominciano ad accusare le prime difficoltà, per non dire ad arrancare. Non manca molto alle prime partenze: c'è chi, semplicemente, cederà e se ne andrà.

Paura? Macchè: solo altro motivo di orgoglio nel sapere di essere davvero nel posto più tosto, sfida più grande corrisponde a soddisfazione più grande.

Sono passati solo 10 giorni, e al varco mi aspetta qualcosa di decisamente inaspettato.
Prima di una riunione serale (c'erano tre riunioni dello Staff, al Telis: una alla mattina, prima alle 8.30 e poi spostata alle 9.15 con la stagione che entrava nel vivo, una al pomeriggio, alle 14, e una alla sera, alle 18) Andrea mi prende da una parte e mi fa una proposta che garantirei essere l'equivalente del termine "spiazzante".

Sono lì da solo dieci giorni. Ricordo molto bene le sue parole.
"Francesco, sto per dirti una cosa che potrebbe sembrarti eccessiva. Quello di cui voglio essere sicuro è che tu sappia che la mia opinione su di te non cambierà minimamente, anche qualora tu dovessi rifiutare. Sono stato chiaro?"
Lo era stato. Nella mia testa era altrettanto chiaro che, con premesse del genere, se perdi quel tipo di treni, forse non cambierà la sua opinione - difficile - ma sicuramente la prossima volta che ci sarà bisogno di un qualcosa di importante, non sarà da te che verrà...
Cosa mi ha proposto?
Dall'alto dei miei dieci giorni di esperienza come contattista al Telis Village, mi dice che vorrebbe provare a farmi ricoprire l'incarico di Responsabile Diurno nella zona Calamoresca - quando il Responsabile Diurno è quello che fa le veci del capovillaggio nel gestire e coordinare le attività diurne di un'area.
Io sono, effettivamente, spiazzato.
Dentro, non sono sicuro di essere sicuro di quello che sto per fare.
Gli ho detto di sì.
Heh.

Per molto tempo, durante la stagione, ho pensato al perché di quella mossa, e se una qualunque altra persona l'avrebbe fatta comunque.
Ci penso ancora oggi.
Non saprei. Forse glielo chiederò, a questo punto credo di poterlo fare :-)
Sta di fatto che tra l'averla vissuta e l'aver parlato coi vari Kelly, Monica e Wendy, Pina e Marco C., ho capito che il villaggio di Andrea Catavolo è l'unico posto veramente meritocratico: se fai bene, lui ti premia. Se fai male, ti affossa. Come è giusto che sia ovunque. All'inizio ti studia, cerca di capirti, decide come "lavorarti", e poi senza preavviso ti mette sotto pressione, nel modo che ritiene più opportuno, decide lui come e quando. Se superi questo periodo, allora stai appostassimo.

E ricordo bene quanto sentissi la pressione che mi metteva addosso Andrea. Una sensazione che chiamare "opprimente" è dire poco.

Ma è proprio questo, il momento in cui devi tirare fuori le palle.

Al Calamoresca passerò quasi tutto il resto della stagione. Tornerò al Telis richiamato da Andrea solo a fine Agosto, quando ci sarà da coprire i buchi dei big del Contatto come Alessandro e Kelly, che ripartiranno per tornare a casa.
Al Calamoresca avrò il "mio" staff, farò le mie riunioni, condurrò le mie serate, farò i miei primi cabaret da protagonista.

Non posso però non pensare che se la mia esperienza al Calamoresca oggi la ricordi come estremamente positiva, tanto è dovuto anche ai ragazzi che erano con me. E sono quelli con cui sento di aver legato di più, con cui ho davvero condiviso stanchezza, sudore, preoccupazione, ansia, esaltazione, spaesamento...
Fabio e Tania, due sportivi da far paura. Ragazzi con tanta esperienza che decidono senza fiatare di farsi coordinare da un pivellino come me.
Claudio, canoista folle armato di un altoparlante di nome Wilson.
Federica e Monica, del Miniclub.

Non voglio perdermi in chiacchiere, di loro ci sarà modo di parlare.
La sensazione è che fossimo davvero una squadra.
E i risultati, alla lunga, si sono visti.

Credo anche di sapere quando questa intesa sia cominciata.
Al Teatro Telis è di scena l'Andrea Catavolo Show, monologo di cabaret del nostro capovillaggio, chiara attrattiva centrale della serata. Noi, al Teatro Calamoresca, per proporre un'alternativa, andiamo con una serata Uomini contro Donne.
A condurla dovrebbero essere due contattisti rodati e d'esperienza come Alessandro e Ciccio.
I due salgono al Calamoresca, cenano con le ballerine invece che con gli ospiti, vedono che c'è poca gente in teatro, e cinque minuti prima del presunto inizio di serata, mi dicono: "Francè, c'è poca gente, di' a tutti di scendere al Teatro Telis a vedere il monologo. Ciao."
E se ne vanno, lasciandoci lì.
Nella merda fino al collo, aggiungerei.
Sì, non c'è tanta gente, parliamo di cinquanta persone, bambini inclusi.
Ma vacci te, su un palco, davanti a gente comodamente seduta, a dire che devono prendere un pullman e andare dall'altra parte del villaggio, e che non si fa più nulla...

Rapido briefing coi miei. Siamo tutti prima stagione, tranne Fabio, che è alla seconda.
Mi ricordo di averlo guardato negli occhi. Lui mi dice: "Decidi tu. Noi siamo con te, quale che sia la tua scelta."
Io mando silenziosamente il mondo a fare in culo. Dovevo presentare una serata davanti a della gente. Senza la minima preparazione psicologica. Senza mai averlo fatto. Ah, e con un microfono in mano.
"Non me ne frega un cazzo. Facciamolo."
Silenziosi cenni col capo degli altri.
Luca, il tecnico audio/suoni/luci, che sghignazza ironico mentre si avvia alla cabina regìa. "Daje, ragà!!!"

E l'abbiamo fatto!

Questo è il bello.
Sarà venuto una merda, saranno rimasti con noi solo quegli ospiti diventati nostri amici durante le attività diurne al Cala, ma ci siamo buttati. E abbiamo salvato la serata, ottenendo comunque un risultato, bello o brutto che fosse.

Potevamo rifiutarci. Potevamo scrollarci di dosso ogni responsabilità. Non sarebbe certamente stata colpa nostra.

Eppure abbiamo deciso di provarci lo stesso. E vi assicuro che lì non c'era più nessuna sensazione gradevole di mettersi alla prova, c'era solo l'acqua alla gola e tanta paura di fare una colossale figura di merda e/o bruciarsi definitivamente davanti ai nostri ospiti.

Forse in quel momento abbiamo capito di essere una squadra, che insieme potevamo davvero rappresentare qualcosa di valido e di significativo.
Che non è la forma, quanto la sostanza.

Ricordo come quella sera, in discoteca, dopo le prime serate, sia andato da Andrea. Incazzatissimo.
Sta parlando con un suo amico, non ricordo chi fosse.
Noto che mi guarda in modo diverso, mentre mi fermo davanti a lui e aspetto che finisca di parlare.
E non mi stupirebbe sapere che già solo guardandomi possa aver capito che dentro di me è scattata una molla.
"Lui mi piace. Mi piace molto." dice al suo amico. E lo molla senza problemi per venire da una parte a sentire cosa ho da dire.
Mi sfogo.
E lui mi parla.
... Mani nei capelli.
Sono spazzato via da tutto quello che mi dice.
Ogni sua singola parola ha una potenza immane, mentre mi spiega cosa vuol dire davvero il ruolo che mi ha assegnato. Cosa si aspetta davvero da me. COME si aspetta che lo faccia. E mi da dritte, mi spiega trucchi, mi suggerisce chiavi di lettura per le persone.
Rimango inchiodato dove sono, ad ascoltarlo.
Quella sera, ho avuto la possibilità di affacciarmi e dare un'occhiata al mondo interiore di uno dei personaggi - scusate l'aggettivo esagerato - più geniali che io conosca.
Se ci ripenso, credo proprio di poter asserire con sicurezza che sia stato quello lì, il momento in cui sono diventato, irrimediabilmente, un catavolino.
;-)

Potrei andare avanti all'infinito a parlare di quest'esperienza.
Mi sono reso conto, però, che quell'estate ho avuto altre canzoni, riferite più nello specifico ad altri momenti, per cui per ora mi fermerò qui.

Non vi ho però detto perché proprio "Africa" dei Toto. Cos'ha di speciale.

Niente, era la seconda canzone di un cd di musica vagamente rilassante che mettevamo quasi sempre al Calamoresca dalle 16, alla ripresa pomeridiana delle attività.
Non so perché mi sia rimasta così incollata dentro, se era la seconda. La prima, per la cronaca, era "Walk on the Wild Side" di Lou Reed.

In realtà, a pensarci bene, quel momento racchiude molte sensazioni. Tante.

Racchiude la stanchezza del ripartire quando ti sei un pochettino fermato a riposare - e non ditemi che quando vi siete appena seduti/sdraiati dopo un'intera mattinata di movimento, non vi scocciate a rialzarvi...

Racchiude tutte le sensazioni post-riunione con Catavolo, siano esse sensazioni belle derivanti da una forte motivazione, siano sensazioni brutte dovute a un cazziatone o ad una situazione interna difficile.

Racchiude il caldo del sole estivo. E quella vaga sensazione di sonnolenza post-pranzo da piena digestione.

E le sensazioni che adesso devi farti forza, perché non puoi apparire fiacco, devi essere carico, devi essere il più esplosivo di tutti. Solo con la coda dell'occhio del cervello noti quel pensiero sullo spettacolo serale - cazzo, c'è Dreamin' in the Dark, dovrò posizionare le torce in Merengue...

Insomma, era forse il momento centrale della giornata, il punto d'incontro fondamentale di tutti i momenti, quando ripensi alla mattinata, ti proietti al pomeriggio e alla sera, ma nel frattempo hai quei cinque secondi per respirare e rilassarti mentre monti le casse e inserisci un cd.
Da cui, appunto, nel momento in cui ti butti su una sedia a scrutare la piscina centrale del Calamoresca ancora vuota, parte questa musica.
"Africa", dei Toto.

... Fino all'ultimo giorno, il 19 Settembre, a sbaraccare la Piscina Centrale - in un vago momento di sosta in cui con Rosario, Lorenzo e Gianluca ci siamo messi a giocare a palla con l'ultimo pallone da Beach Volley, poi immolato su di una palma - ad un certo punto parte proprio questa canzone.
E succede quella cosa stereotipata, sì... quel flash in cui ti ripassa tutta la stagione davanti agli occhi in un momento solo. E ti capisci che è finita.

Ho deciso di inviare il post, in gestazione per oltre un mese ma praticamente tutto scritto di getto in una mattinata, alla luce dell'ennesima coincidenza degli ultimi giorni, forse quella sorta di lasciapassare che aspettavo per convincermi a pubblicarlo...

Dopo un sacco di tempo, mi sono rimesso ad ascoltare in streaming l'Andrea Catavolo Show, il programma radio del nostro capovillaggio, su Radiostudiopiù.
Ecco, indovinate qual è la prima canzone che mette?
Esatto.
Proprio "Africa" dei Toto.
Ed è stata una vera consacrazione...
Dal loro sito, gli ho inviato un sms. Chissà se l'hanno letto. Chissà se possono pensare che il "Francesco" ero io. :-)

Ragazzi, come dicevo, farò altri post riguardo quest'esperienza estiva, di cui per la verità ho raccontato pochissimo.
Ma quando ci ripenso, mi viene in mente che insieme abbiamo fatto qualcosa di davvero grande. Forse non sarete "le persone più importanti della mia vita", ma siete le persone con cui ho dato il meglio che abbia mai avuto fino a questo momento. E questo vi rende persone speciali, con cui sento di aver condiviso e vissuto qualcosa di fondamentale. Secondo me, questa era "vita" vera. Non c'era giornata che passasse incolore.
Grazie.


PLAYLIST DEI COLORI:
- Nick Drake, Pink Moon
Toto, Africa